Finita la tregua fra Hamas e Israele, il governo israeliano ha dato ordine di estendere la sua offensiva di terra anche nell’area sud della devastata Striscia di Gaza. Un area densamente popolata, che inizialmente l’esercito israeliano aveva identificato come zona sicura per i civili.
Ma sappiamo che questa non è mai stata la verità. Giornalisti, campi profughi, corridoi umanitari verso sud, difatti, sono stati costantemente bombardati da Israele già da molto prima della fine del cessate il fuoco. Adesso però per la popolazione non c’è più via di fuga. E all’aumentare della violenza non corrisponde ancora una risposta diplomatica forte da parte dei governi occidentali. In quei pochi casi, Israele ha risposto con una aggressività politica sproporzionata nei confronti dei leader di quei Paesi che hanno espresso il proprio disappunto. Netanyahu è forte della protezione e della strettissima alleanza con gli USA, dietro alla quale si nasconde una fitta rete di interessi economici comuni e attività di lobbing.
La ripresa del conflitto tra Israele-Hamas: è guerra totale
Purtroppo è tornata la guerra a Gaza dopo la rottura della tregua tra Israele e Hamas. E stavolta anche la regione sud della Striscia è sotto le bombe. Qui i bombardamenti israeliani erano stati meno pesanti rispetto alla zona nord di Gaza. Ma adesso è guerra totale. A Sud, la zona di Khan Younis difatti, dove molti palestinesi erano fuggiti nelle prime settimane di guerra su ordine di Israele, oggi è l’obiettivo primario degli ultimi raid. Dove il portavoce dell’Unicef ha parlato di “bombardamenti implacabili”. Il portavoce dell’Idf, Daniel Hagari, ha annunciato che l’esercito sta espandendo l’offensiva di terra a “tutte le aree della Striscia di Gaza”. La popolazione locale è stata “invitata” a spostarsi nella città di confine di Rafah. Ma è un’area disastrata dal punto di vista umanitario, dove il sovraffollamento e la mancanza dei servizi più basilari stanno generando epidemie.
La dura linea di Israele con gli alleati occidentali e il ruolo delle lobby al Congresso USA: che cos’è l’AIPAC
I dati ufficiali oggi parlano di più di 15.523 civili uccisi dal 7 ottobre, più della metà delle quali donne e bambini. Dinanzi a questo orrore che va avanti ormai da due mesi, pochissime sono le voci fuori dal coro nel blocco occidentale a esprimere i propri dubbi circa i metodi poco limpidi di Israele. E a quelle poche eccezioni come il neo primo ministro spagnolo Sanchez, che si è detto contrario ai metodi violenti di Tel Aviv. E di nutrire “molti dubbi sul fatto che Israele stia osservando le leggi del diritto internazionale”. Il governo Netanyahu ha risposto con la massima protesta diplomatica, richiamando il proprio ambasciatore dalla Spagna a Gerusalemme. Che lascia ben intendere a chiunque degli alleati occidentali che voglia seguire le orme di Madrid quale sarà la “vendetta” di Tel Aviv. Che non ammette mezze misure, e che sa di poter tirare la corda perché forte dell’appoggio politico e militare del gigante USA.
Un rapporto d’amicizia quello con Washington quasi incondizionato e che ha radici profonde. La ricerca e l’assicurazione di un solido appoggio politico bipartisan al Congresso USA nei confronti di Israele, avviene anche e soprattutto attraverso un attento lavoro di lobbing. Dove uno dei gruppi di pressioni più influenti è l’AIPAC, American Israel Public Affairs Committee, una lobby israelo-americana fondata negli Anni Cinquanta. Nota per il suo forte sostegno allo Stato di Israele, è considerata il più potente e influente gruppo d’interesse dell’intero panorama politico americano, i cui componenti comprendono democratici e repubblicani. Il suo “appoggio” consegna una buona fetta di elettorato, non a caso molti dei politici corteggiati oggi sono governatori degli Stati americani.
Gli obbiettivi dell’AIPAC al Congresso e come elude la legge anti-corruzione
Dal principio questa lobby in realtà portava il nome di American Zionist Committee for Public Affairs. Che lascia ben intendere dunque a quale scopo e per quale linea politica da decenni tesse le fila. L’AIPAC esercita difatti da sempre una pressione sui membri del Congresso, e sulle alte sfere del potere americano, affinché gli Stati Uniti perseguano in Medio Oriente gli stessi obbiettivi di Israele. E ammorbidiscano le numerose critiche della comunità internazionale contro i crescenti insediamenti dei coloni israeliani nei territori palestinesi. Il gruppo di pressione organizza ogni anno viaggi da migliaia di dollari in Israele per i politici americani. Che putacaso non rientrano nel raggio di azione della legge anti-corruzione approvata dal Congresso nel 2007 contro questo tipo di attività, come viaggi pagati ai politici.
L’escamotage è stato reso possibile, come affermano le parole di Craig Holman, esperto della macchina pubblica statunitense, grazie al gemellaggio a fine Anni Novanta dell’AIPAC con l’AIEF, The American Israel Education Foundation. Che essendo classificata come organizzazione attiva nel “social welfare”, occupandosi di educazione universitaria, consente all’AIPAC secondo la legge di rientrare in quelle organizzazioni che hanno la facoltà di spendere più del 20% delle proprie risorse in attività di lobby sul governo. L’alleanza e la protezione incondizionata degli USA dunque avviene da anni e per motivi ben specifici. Ed è anche per questo che il Congresso americano ha “le mani legate” nel gestire la questione israelo-palestinese.