Si sono svolte il 20 dicembre le elezioni presidenziali e legislative nella Repubblica Democratica del Congo ma i cittadini dovranno attendere 10 giorni prima di conoscere i risultati. La campagna elettorale è stata caotica. Le forze dell’opposizione al presidente uscente, ricandidato per un secondo mandato, Felix Tshisekedi, accusano il Governo di frode e violenza elettorale. Il Congo è uno dei maggiori paesi di tutto il continente africano e, con la sua superficie e i suoi 100 milioni di abitanti, è grande quanto tutta l’Europa occidentale.
In gioco non c’è solo la legittimità della prossima amministrazione. Le controversie elettorali nella Repubblica Democratica del Congo spesso innescano violenti disordini con conseguenze potenzialmente di vasta portata. In un paese che è il terzo produttore di rame e il primo produttore di cobalto al mondo. Il cobalto è uno dei minerali più importanti in assoluto, così come il litio, ad esempio, per le batterie elettriche delle auto e, più in generale, per il compimento della transizione verde.
Congo, la rabbia popolare
Secondo i dispacci Reuters il 20 dicembre si sarebbero verificati ritardi e code, ma anche violenze e devastazioni ai seggi elettorali in diverse città del paese. A cominciare dalla parte orientale del Congo, tormentata dai ribelli filo-ruandesi Ma anche nella capitale Kinshasa. “È un caos totale” ha detto il candidato presidenziale Martin Fayulu, secondo classificato nelle contestate elezioni presidenziali del 2018. “Se tutte le persone non votano in tutti i seggi elettorali indicati dalla CENI (Commissione elettorale nazionale), non accetteremo queste elezioni” ha avvertito.
Nelle città orientali di Goma e Beni, alcune persone hanno faticato a trovare i loro nomi sulle liste elettorali. Circa 44 milioni di congolesi sono registrati per partecipare al voto. A Bunia, sempre nel Congo orientale, le forze di sicurezza hanno sparato colpi di avvertimento per disperdere i manifestanti dopo che un centro elettorale è stato vandalizzato, ha riferito un giornalista della Reuters.
Un funzionario della Commissione elettorale provinciale ha detto ai giornalisti che le persone sfollate a causa della violenza nella regione avevano protestato perché volevano votare nelle loro città d’origine. Per mesi, la Commissione elettorale nazionale del Congo ha insistito sul fatto che avrebbe espresso un voto libero ed equo come promesso in tutto il secondo paese più grande dell’Africa. Sebbene, invece, osservatori indipendenti e critici segnalino irregolarità che, secondo loro, metterebbero a repentaglio la legittimità dei risultati.
Il Premio Nobel è in corsa
A livello internazionale, ha ottenuto grande visibilità la discesa in campo del Premio Nobel per la Pace 2018. Il dottor Denis Mukwege ha rotto gli indugi a settembre, dopo le forti insistenze della società civile. Basti dire che i 100mila dollari necessari come cauzione per potersi candidare sono stati raccolti dalla gente comune. Uomini e soprattutto donne che hanno donato ciò di cui disponevano per poter garantire la candidatura al ginecologo che cura le vittime degli stupri di guerra.
In queste settimane, la campagna elettorale di Mukwege è stata coerente col messaggio che da anni il dottore porta avanti in ogni contesto internazionale in cui si trova. Ovvero: giustizia sociale, pace, equa distribuzione delle ingenti ricchezze del Congo. E perseguimento nelle sedi giudiziarie nazionali e internazionali di chi si è macchiato per vent’anni di crimini di guerra e contro l’umanità. In molti continuano a sperare e sognare un paese diverso, sotto una guida illuminata e al di sopra delle logiche corruttive e correntizie. Ancora troppo pesanti nella Repubblica Democratica del Congo.