Figli di coppie lesbiche, atti di nascita annullati a Milano: “Non possono esserci i nomi di due madri”
La Corte d'appello ribalta la decisione del Tribunale che in primo grado aveva sancito la trascrizione dopo la procreazione assistita all'estero
Tre coppie omosessuali, tutte formate da donne, si sono viste annullare a Milano le trascrizioni dei riconoscimenti dei propri figli, nati in Italia dopo procreazione assistita all’estero, sugli atti di nascita dei bambini. Il 6 febbraio, infatti, si è avuta notizia che la sezione famiglia della Corte d’appello del capoluogo lombardo ha accolto il ricorso della Procura contro alcuni decreti del Tribunale. Decreti con cui i magistrati, il 23 giugno scorso, avevano di fatto ritenuto valide le trascrizioni dei riconoscimenti dei bambini. I giudici di secondo grado hanno invece dichiarato illegittime le iscrizioni “sul Registro degli atti di nascita delle doppie maternità” dei piccoli.
La Corte d’appello di Milano ha perciò ordinato “all’ufficiale di Stato civile” la rettifica degli atti di nascita dei figli delle tre coppie di donne, che avevano iscritto la “doppia maternità dei bambini“. Ossia i nomi di entrambe le donne in quanto genitori. Attualmente “nel nostro ordinamento non esiste una norma che preveda la possibilità per il genitore d’intenzione“, ossia quello non biologico, di “far annotare nell’atto di nascita il riconoscimento del minore nato in Italia” con fecondazione assistita all’estero. E “non è ammessa la formazione di un atto di nascita indicante quali genitori due persone dello stesso sesso“.
Figli di genitori gay, manca una legge
A sostegno della decisione sui figli delle tre coppie lesbiche i giudici milanesi in 15 pagine di provvedimento citano giurisprudenza della Cassazione, ma anche della Corte Costituzionale. Tuttavia la Corte “riconosce che la materia di cui si tratta richiede l’intervento del Legislatore“, ovvero del Parlamento che dovrebbe disciplinare per legge questioni così delicate. E che finora non lo ha fatto.
Il legislatore è infatti, hanno spiegato i magistrati della Corte d’Appello di Milano, “l’unico soggetto capace di operare un articolato disegno normativo. Idoneo a declinare in modo corretto i diritti dei soggetti coinvolti nella vicenda procreativa umana medicalmente assistita.” E questo perché così si realizzerebbe “il bilanciamento di diritti di rango costituzionale che non devono venire a trovarsi in conflitto tra loro, ivi inclusi quelli del nascituro, soggetto capace di diritti, nel suo essere e nel suo divenire“.
“I bimbi senza più una delle madri”
La “decisione della Corte d’Appello è doppiamente miope” ha replicato l’avvocato Michele Giarratano, legale di una delle coppie di donne con figli. “In diritto, perché non conferma la corretta ricostruzione giuridica di primo grado del Tribunale di Milano“. Ma anche “anche rispetto all’interesse del minore. Il quale di fatto si vede cancellata con questa decisione una delle sue due madri, che lo ha voluto fortemente e che si prende cura di lui fin dal primo istante“. Il legale ha chiarito che ora si dovrà valutare se ricorrere in Cassazione contro il provvedimento. Anche perché le sue assistite sono “giustamente molto stanche” per la situazione che hanno dovuto vivere.
La battaglia legale potrebbe quindi continuare e, comunque, ancora una volta sarà la magistratura a riempire il vuoto legislativo del Parlamento italiano, refrattario a occuparsi di questioni che toccano diritti e doveri dei cittadini quando in gioco ci sono questioni eticamente molto complesse, opinabili e delicate. Sull’inizio della vita umana, sulla genitorialità, o sul fine vita. Si pensi a tutta la vicenda del suicidio medicalmente assistito che nel nostro Paese è stato reso legale dall’intervento della giurisprudenza, ma non da quello del legislatore, mancato anche a livello regionale, in Veneto poche settimane fa.