Che cosa può accadere se l’Italia dovesse subire attacchi alle basi nucleari della NATO presenti sul suo territorio, o ai suoi porti, come quello di Trieste, dove transitano navi con missili nucleari? La domanda, che finora poteva sembrare surreale, è divenuta di attualità. Perché siamo a due anni dalla guerra in Ucraina, mentre le truppe della Russia sembrano progressivamente avere la meglio. E a 4 mesi dalla guerra a Gaza, in cui Israele sembra impantanato e il conflitto può estendersi a tutto il Medio Oriente. Lo scenario di un’aggressione all’Italia non è più fantascienza, considerato che sosteniamo Kiev e stiamo per partecipare alla missione militare nel Mar Rosso contro i ribelli Houthi filoiraniani.
Non solo perché lo ha fatto capire il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Il quale in un’intervista alla Stampa del 30 gennaio scorso ha spiegato come l’Italia debba prepararsi al mondo che cambia predisponendo riservisti militari. Personale specializzato che dovrà “difenderci insieme alle forze armate” nel caso sia necessario “doversi difendere sul proprio territorio“ da atti di guerra. Più di recente, lo scorso 6 febbraio, la Tavola per la Pace del Friuli Venezia Giulia ha denunciato il prefetto di Pordenone. L’accusa è di aver omesso di rispondere a una reiterata richiesta d’informazione sui Piani di emergenza nucleare alla base aerea militare statunitense di Aviano, a 15 chilometri dalla città, dove transitano anche ordigni atomici. Al tempo stesso il deputato di Alleanza Verdi Sinistra (AVS), Angelo Bonelli, ha presentato un’interrogazione parlamentare ai ministri della Difesa degli Interni.
Perché c’è paura nel Nord-Est
La denuncia fa seguito all’attesa di un anno, durante la quale Tavola per la Pace ha sollecitato invano, più volte, una risposta. Fino a giungere a una formale diffida nei mesi scorsi, anch’essa caduta nel vuoto. Tavola Pace FVG (Friuli Venezia Giulia) è un organo portatore di pubblico interesse che aveva già ottenuto nel 2007, i Piani di emergenza nucleare militare del porto di Trieste in base alla legge 230 del 1995. Il 26 settembre 2022 ha presentato al prefetto di Pordenone una “Richiesta di Piani d’Emergenza in caso d’incidente nucleare alla base di Aviano”.
Tale richiesta era giustificata col pericolo determinato dalla guerra in Ucraina che potrebbe provocare una ritorsione russa verso le basi nucleari di Ghedi (Brescia) e Aviano (Pordenone). Un pericolo reso assillante per lo scoppio della guerra in Palestina. Ma anche a causa di una possibile esplosione di conflitti nucleari dopo l’abbandono dei trattati di non proliferazione nucleare da parte della Russia.
Testate nucleari a Ghedi e Aviano
Sia la NATO che la Russia continuano a effettuare massicce esercitazioni militari, anche di tipo nucleare, che stanno destando preoccupazioni più che legittime in tutto il Nord-Est d’Italia. Anche per questo il prefetto di Brescia ha ricevuto una delegazione di richiedenti i Piani di emergenza, allarmati per la mancanza di notizie sui rischi di attacchi alla base nucleare di Ghedi. Nella sola base di Ghedi si calcola che siano presenti fra le 20 e le 40 testate atomiche, in base al programma di nuclear sharing della NATO.
La Tavola per la Pace del Friuli Venezia Giulia afferma che sia “nota la sostituzione in corso a Ghedi e Aviano delle bombe nucleari B61 a caduta con le B61–12 dotate di supporto missilistico“. Bombe atomiche, cioè, atte a penetrare nel terreno, e la cui potenza può diventare maggiore degli ordigni di Hiroshima e Nagasaki. Bombe il cui uso è adatto al campo di battaglia e che perciò fanno aumentare le possibilità di divenire bersaglio di primo colpo, o di ritorsione da parte del nemico.
I Piani di emergenza in Italia
Gli esponenti della Tavola per la Pace, a cominciare al referente Alessandro Capuzzo, sostengono che, in base ad alcuni studi, in caso di esplosione nucleare alla base di Aviano la ricaduta radioattiva potrebbe estendersi fino in Polonia, a oltre mille chilometri di distanza.
Il segreto militare o di Stato su notizie necessarie a una puntuale informazione non vale però per i nuovi Piani di emergenza nucleare militare. La loro pubblica conoscenza è dovuta in base alle Direttive europee e al Decreto Legge 101/2020. Stesso discorso vale per l’informazione a favore di Enti locali e popolazione sui rischi dovuti alla presenza di armi nucleari in Italia. Con le relative misure di protezione in caso di incidente, attentato o atto bellico che si dovesse verificare. Uno scenario, quest’ultimo, che non è più fantascienza, come delineato dal ministro della Difesa, Crosetto.