Julian Assange potrebbe tornare libero in base a una trattativa, che sarebbe in corso da tempo, fra i suoi legali e l’Amministrazione Biden degli Stati Uniti. Secondo un articolo del Wall Street Journal – che cita come fonti “persone a conoscenza della vicenda”, incluso uno degli avvocati di Assange – il dipartimento di Giustizia americano sta valutando la possibilità di consentire al giornalista di dichiararsi colpevole di reati minori. Ciò rispetto ai reati penali gravissimi di cui lo accusano gli Usa, ovvero spionaggio e divulgazione di segreti militari di Stato. Sarebbe questo un modo per consentire un patteggiamento che porti al rilascio del fondatore di Wikileaks dal carcere di Londra dove è detenuto dal 2019.
Il Wall Street Journal afferma che gli avvocati di Assange hanno avuto discussioni preliminari con funzionari del dipartimento di Giustizia. L’obiettivo è quello di porre fine al lungo dramma legale: “Una situazione di stallo piena di complessità politiche e legali“, scrive il quotidiano statunitense. Contatti avvengono da mesi dietro le quinte. Julian Assange ha trascorso già 5 anni dietro le sbarre, per qualcosa che una larga fetta dell’opinione pubblica internazionale considera libertà di informare più che un reato. Come è noto, in base alle leggi e alle scelte politiche dei governi americani dell’ultimo decennio, l’attivista è responsabile di aver reso pubblici sulla piattaforma WikiLeaks segreti di Stato. In particolare su crimini di guerra americani in Afghanistan e Iraq, e sulla violazione dei diritti umani nella prigione di Guantanamo a Cuba.
Assange, che succede se accetta il patto
Dal momento dell’arresto a Londra – dopo aver vissuto fra il 2012 e il 2019 nell’ambasciata dell’Ecuador, paese che gli aveva dato asilo politico, salvo poi ritirarglielo – Julian Assange combatte una lunga battaglia legale con il Governo britannico che lo vuole estradare negli Usa. In America il prigioniero dovrebbe affrontare un processo su 18 capi d’accusa per cospirazione e spionaggio. Tutto per avere diffuso intorno al 2010 migliaia di documenti militari riservati statunitensi sulle guerre in Iraq e Afghanistan.
Si tratta di notizie vere, fanno notare i suoi avvocati, che qualsiasi giornalista avrebbe pubblicato. La posizione dei procuratori americani è che la fuga di notizie ha messo a rischio la sicurezza nazionale, svelando anche nomi, cognomi e indirizzi di fonti informative ora in pericolo. E dunque deve essere duramente sanzionata.
Ma adesso, se i pubblici ministeri permettessero ad Assange di dichiararsi colpevole di cattiva gestione di documenti riservati – un reato minore – i 5 anni trascorsi in carcere a Londra conterebbero ai fini di qualsiasi condanna negli Stati Uniti. Significa in pratica che il giornalista potrebbe ritrovarsi con la pena già scontata e libero di lasciare la prigione. Poco dopo la conclusione di un accordo del genere.
Una strada in salita
La realizzazione di uno scenario come quello che il Wall Street Journal ha delineato è tutt’altro che semplice. Servirebbe l’approvazione ai massimi livelli da parte del dipartimento di Giustizia. Barry Pollack, uno degli avvocati di Assange, ha detto di non avere alcuna indicazione che l’amministrazione stia pensando davvero di accettare il patteggiamento. Un portavoce del dipartimento di Giustizia ha rifiutato di commentare, aggiunge il Wall Street Journal. Nel frattempo si attende la decisione dell’Alta Corte britannica, che impiegherà ancora settimane per scegliere se concedere ad Assange un ulteriore ricorso in appello contro l’estradizione. Se questa istanza fosse respinta, nel giro di un mese l’attivista potrebbe essere tradotto negli Stati Uniti.
Ma il punto è politico. Perché il caso Assange è ormai divenuto emblematico della libertà di stampa in Occidente. Specie se rapportato a ciò che avviene in altri paesi, come la Russia, dove il blogger e politico dissidente Alexsei Navalny è morto in carcere in circostanze mai chiarite lo scorso 16 febbraio.
Ma un un patto con Assange è utile
La faccenda diventerebbe dunque l’ennesima patata bollente nelle mani del presidente uscente, e ricandidato, Joe Biden. Un politico già sotto il fuoco delle critiche per la sua gestione sostanzialmente inerte della guerra di Gaza, con il massacro di quasi 32mila palestinesi a opera dell’esercito israeliano e la popolazione che ormai comincia a morire di fame e carestia.
La vicenda di Assange è da tempo controversa, anche perché chiama in causa la protezione della libertà di stampa, protetta dal Primo Emendamento della Costituzione americana. Ecco perché il presidente americano, già in serie difficoltà nei sondaggi, preferirebbe arrivare al duello finale con Trump il 5 novembre senza questa ulteriore fonte di polemiche. E un’ipotesi di patteggiamento, per improbabile che sia sul piano legale, potrebbe diventare uno scenario plausibile.