Non fanno che moltiplicarsi i campanelli d’allarme per lo stato di salute, è il caso di dire, degli ospedali e più in generale della sanità pubblica italiana. Eppure durante la pandemia di Covid avevamo giustamente celebrato l’eroismo di dottori e infermieri, salvo poi abbandonarli al loro destino. Stando ai dati che ha presentato il Fossc – il Forum delle 75 società scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari – fra il 2019 e il 2022 oltre 11mila medici hanno lasciato gli ospedali pubblici. Negli ospedali italiani dal 2020 al 2022 sono stati tagliati 32.500 posti letto. Diminuiscono anche i nosocomi, con 95 strutture (il 9%) chiuse negli ultimi 10 anni.

Molto pesante il calo delle risorse destinate alla sanità pubblica. Nel 2024 il finanziamento del Fondo sanitario è aumentato in termini assoluti rispetto al 2021 ma è diminuito il rapporto con il Prodotto interno lordo. Inoltre l’aumento del tasso di inflazione ha eroso fortemente il Fondo stesso. Il Forum chiede quindi al Governo una “grande riforma strutturale. E misure urgenti per salvare il Servizio sanitario nazionale” sottolineando che sono “a rischio le cure per tutti“.

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I medici eroi della lotta al Covid

Sono lontani i tempi in cui i medici venivano invocati a ogni piè sospinto come eroi dai cittadini e sui media. Erano i mesi più duri della pandemia di Covid, nella primavera del 2020, l’Italia era uno dei paesi più colpiti al mondo, dottori e infermieri del Servizio sanitario nazionale (Ssn) dimostrarono una resilienza e uno spirito di sacrificio e di altruismo davvero straordinari. Salvarono la vita a molte persone.

Si disse in quel momento – e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo ha affermato a più riprese in questi anni – che il Ssn è una risorsa imprescindibile per l’Italia. Da rafforzare per mai più trovarsi con ospedali che scoppiano a causa di una pandemia imprevista. E senza più la medicina del territorio quasi smantellata, con medici di famiglia costretti a seguire 1500 pazienti ciascuno.

Ospedali, quali sono i problemi

Non si è posto rimedio a tutto questo. Dopo 4 anni, a Covid archiviato (adesso è paragonabile a un’influenza se si è vaccinati) c’è carenza di personale negli ospedali. I cittadini sono sfiduciati per le lunghissime liste d’attesa, salvo pagamento di laute cifre per esami e interventi chirurgici in regime di libera professione. Esiste ormai una vera e propria emigrazione ospedaliera: sono tanti i medici e gli operatori che se ne vanno all’estero o nella sanità privata perché meglio pagati e con ritmi di lavoro più equi.

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I problemi principali della sanità pubblica oggi sono le liste d’attesa, la mancanza di medici, infermieri, anestesisti; di ospedali e di posti letto. Ma non basta. I concorsi vanno deserti; le specializzazioni spesso hanno pochi iscritti, il progressivo definanziamento mette in crisi il sistema. In appena due anni, durante l’emergenza Covid, il numero dei posti letto è diminuito, oggi ne mancano 32.508. Nel 2020 erano 257.977, ridotti a 225.469 nel 2022. Più in generale, rispetto al fabbisogno odierno, si stima che negli ospedali italiani manchino almeno 100mila posti letto di degenza ordinaria e 12mila di terapia intensiva.

I giovani medici sono pochi

A preoccupare è anche lo sfoltimento del personale sanitario. L’età media dei medici è sempre più elevata, con ben il 56% che ha più di 55 anni rispetto al 14% della Gran Bretagna e percentuali anche più basse in altri Paesi. Entro il 2025 andranno in pensione 29mila camici bianchi e 21mila infermieri, senza un sufficiente inserimento di nuovi professionisti. E sempre più giovani, formati a spese dello Stato (circa 150mila euro ognuno) vanno all’estero, dove ricevono stipendi anche tre volte superiori rispetto all’Italia e con condizioni di lavoro nettamente migliori.

Cosa fare per la sanità pubblica

Il Forum delle 75 società scientifiche dei clinici degli ospedali argomenta che “sono necessari sostanziali aumenti retributivi. Soprattutto per le specialità mediche neglette, ad esempio Emergenza-Urgenza, Anestesiologia e Rianimazione, Radioterapia e alcune Chirurgie“. In queste discipline “i bandi per i corsi di specializzazione negli ultimi anni sono rimasti in gran parte deserti. A nulla servono i minimi aumenti stipendiali dell’ultimo contratto rispetto alle retribuzioni molto più elevate che i nostri giovani medici trovano in altri paesi europei, anche confinanti con il nostro“.

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Ma quanto investe l’Italia nel Servizio sanitario nazionale? In base ai dati della Fondazione Gimbe, la spesa sanitaria pubblica del nostro Paese è fra le più basse della Ue: si attestava al 6,8% del Pil nel 2022, di 0,3 punti percentuali sotto la media europea del 7,1%. Sono 13 i paesi d’Europa che in percentuale del Pil investono più dell’Italia, con un gap che va dai +4,1 punti percentuali della Germania (10,9% del Pil) ai +0,3 dell’Islanda (7,1% del Pil).