Dietro le quinte dei principali fronti di guerra, in Ucraina ed in Israele, lo scontro sotterraneo fra Cina e USA sta diventando sempre più pericoloso. Nel Mare cinese meridionale infatti la tensione fra le due superpotenze continua a salire.
Se da una parte i numerosi colloqui fra i due Stati negli ultimi mesi, dovrebbero far pensare ad una situazione più distensiva. Dall’altra, alla prova dei fatti, la guerra economica, mediatica e politica, non si è mai davvero fermata. Nel Mare cinese meridionale né Pechino, né Washington arretrano di un millimetro. E la scintilla ad oggi potrebbe scoppiare non solo a Taiwan, ma soprattutto nelle Filippine. Paese alleato degli USA, determinato a difendere le proprie pretese marittime ai danni di Pechino.
Gli interessi nel Mar cinese meridionale per la Cina: petrolio, gas, rotte commerciali
Non è un caso se il Mare cinese meridionale rappresenta oggi l’epicentro dello scontro fra Pechino e Washington. A rendere quest’area di grande interesse infatti non vi sarebbe soltanto la questione politica di Taiwan. Ma anche ragioni economiche e geopolitiche di più ampio respiro. Queste acque sono una vera e propria miniera d’oro, si stima infatti che ospitino circa 10 milioni di barili di petrolio e 25mila miliardi di metri cubi di gas. Materie prime vitali per la Cina, che nei prossimi decenni desidera intraprendere una scalata economica globale ai danni degli USA. Inoltre il mare cinese meridionale è anche florido per la pesca. Si stima che il 10% del pesce commercializzato al livello globale provenga proprio da queste acque. Non a caso le ZEE dell’area sono soggette a rivendicazioni territoriali sovrapposte da parte di più Paesi, tra cui Cina, Filippine, Vietnam, Malesia e Taiwan.
Tutta l’area bagnata dal Mar Cinese meridionale possiede un ruolo strategico per Pechino, soprattutto per i suoi traffici commerciali col mondo. Circa 3 trilioni di dollari di merci infatti transitano attraverso queste acque, che rappresentano circa il 30% del commercio marittimo globale. La Cina teme fortemente che la presenza USA possa interrompere questo importante flusso commerciale tramite i conflitti e l’annessione di nuovi alleati nella regione. Washington infatti vuole impedire un pieno dominio cinese nell’area dato che consiste in una delle rotte commerciali più trafficate al mondo. E per questo motivo negli ultimi anni ha intensificato la propria presenza militare, rafforzando le proprie alleanze con alcuni Paesi, tra cui le Filippine e il Vietnam. Ma la Cina non è di certo rimasta a guardare, e ha costruito nel frattempo numerose isole artificiali, militarizzandole, e fornendole di sistemi missilistici e jet da combattimento. Ma non è tutto.
L’industria navale di Pechino e i timori di Manila
A conferma della volontà cinese di dominare i mari, Pechino sta incrementando la propria industria navale militare. L’isola di Changxing si sta trasformando in una colossale base di costruzione navale. Questa piccola isola ha attualmente più capacita di costruzione dell’intera industria navale USA. Nel 2023 infatti oltre il 50% della produzione globale di navi è stata sfornata proprio dalla Cina. E le stime prevedono che entro il 2028 la Cina raggiungerà 440 navi da battaglia, con un aumento di quasi 140 imbarcazioni in un decennio. Contro le attuali 295 in possesso degli USA. Dinnanzi alla gigantesca potenza di fuoco cinese, i Paesi della regione cercano riparo sotto l’influenza statunitense. Come le Filippine, che hanno un estremo bisogno delle risorse energetiche che giacciono infondo il mare cinese meridionale. Dato che a breve la risorsa naturale di cui usufruiscono e che garantiva a Manila circa il 20% delle risorse, si esaurirà.
La rivendicazione della Cina di circa il 90% delle acque contestate nel Mare cinese meridionale rappresenta un nodo politico molto delicato. Pechino attacca con sempre più maggiore frequenza le imbarcazioni filippine non solo con cannoni ad acqua ma anche con un potente dispositivo acustico a lungo raggio che disorienta l’equipaggio. Gli americani stanno rispondendo a loro volta con aumento di navi e aerei da combattimento nella zona, in quelle che chiamano “operazioni di libertà di navigazione”. Ma esiste una linea rossa, ribadita recentemente anche da Biden. Che consiste nel trattato di mutua difesa firmato con Manila nel 1951, e che stabilisce, in caso di attacco, l’obbligo di intervenire in soccorso dell’alleato. Qualsiasi attacco contro aerei, navi o forze armate filippine potrebbe far scattare il peggio.