Massimiliano Cardia, dalla periferia alla sua Accademia di Cinema: “io ho fame di emergere, non di soldi”
L'attore e imprenditore romano è in sala con "Accattaroma" e si racconta in un'intervista esclusiva a VelvetMAG
La vita di Massimiliano Cardia, attore e fondatore di una delle più rinomate accademie cinematografiche italiane, Studio Cinema International, racconta non solo una storia di riscatto sociale, ma anche il percorso di un giovane ragazzo che, nonostante le sfide della sua infanzia nella borgata romana di Torpignattara, ha inseguito il proprio sogno con fermezza fino a realizzarlo. Le difficoltà lungo il cammino non hanno mai minato la sua determinazione, alimentando ancor di più la sua voglia inarrestabile di realizzazione personale.
Oggi, Massimiliano Cardia non è più il ragazzo con pochi euro in tasca e con un futuro incerto. È diventato un uomo che ha conquistato il riscatto, sia individuale, che per il suo quartiere. Mantenendo viva la grinta e la determinazione di sempre, ha dimostrato che il successo è possibile anche partendo da zero, quando si ha il coraggio di credere in se stessi e nelle proprie capacità.
Il suo impegno, malgrado le circostanze più avverse, gli ha permesso di realizzare alcuni dei suoi sogni, inclusa la produzione di un film, Accattaroma, che dal 9 maggio è uscito nelle sale cinematografiche e di cui è protagonista insieme ad alcuni studenti della sua scuola.
Massimiliano Cardia: dalla borgata romana a Studio Cinema International
Massimiliano Cardia è cresciuto nella difficile realtà di Torpignattara, borgata romana, e ha attraversato una storia di trasformazione e riscatto. In un contesto sociale e culturale avverso, in cui le aspettative future erano scarse e le tentazioni della strada e delle amicizie sbagliate abbondavano, Massimiliano ha dovuto affrontare sfide enormi. Tuttavia, consapevole che restare nella dimensione del suo quartiere significasse condannarsi a un futuro incerto e negativo, ha scelto di intraprendere una strada diversa.
Provando diversi lavoretti saltuari e sperimentando il teatro, infatti, ha lottato contro la mentalità di strada che avrebbe potuto trascinarlo verso una vita senza prospettive. Ed anche quando ha vissuto momenti di isolamento e depressione, ha mantenuto viva la speranza di un cambiamento radicale. Un incontro casuale in un locale romano, poi, lo ha portato a proporre una master class di recitazione con Michele Placido, un’opportunità che ha abbracciato con tutte le sue forze. Questa esperienza ha segnato l’inizio di un percorso verso il successo.
Con il passare del tempo, Massimiliano ha ampliato i suoi orizzonti nel mondo dello spettacolo, organizzando corsi di recitazione e creando una scuola per giovani aspiranti attori ed attrici, Studio Cinema International, oggi una delle più importanti d’Italia. Ha costruito la sua identità e la sua carriera da zero, trasformando la sua visione in realtà.
Intervista Massimiliano Cardia su VelvetMAG: “il teatro ha aiutato ad emanciparmi”
Il motivo principale è stato proprio il diversificare la mia vita entrando a contatto con altre persone che vivevano realtà diverse dalla mia, che non conoscevo. La situazione dove sono cresciuto era piuttosto dura, perciò il piacere di voler interpretare il cinema criminale, non nella strada ma nella finzione, mi spingeva a cercare di fare teatro.
Avevo fatto un piccolo ruolo in un film con Marco Giallini, Shangai, che non è mai uscito. Interpretavo un ragazzo della periferia di Roma, precisamente del Quadraro, uno spacciatore, avevo 27 anni. Quando mi è stata affidata la parte ero felicissimo perché dentro di me scherzando ho detto “che bello faccio il cattivo senza andare in galera”. Nella borgata era molto difficile, ho avuto un po’ di problematiche, non lavoravo e non avevo soldi. Mi sono, quindi, avvicinato al teatro iscrivendomi in una scuola che stava a Trastevere.
Qual è stata la tua motivazione principale nel decidere di abbandonare la vita di strada e concentrarti sul teatro?
Non c’è una vera scelta, ma piuttosto il rendersi conto che esiste un’altra vita. Non è questione di scelta, quanto piuttosto di riconoscere, a un certo punto, che il mondo non si limita al tuo mosaico. Io me ne sono accorto quando sono salito su quel palcoscenico accanto a ragazzi “normali”, ragazzi tranquilli che provenivano da una realtà più agiata. Mi sono reso conto che esisteva anche un altro modo di pensare e non solo quello “tu mi guardi io ti meno”. Ora ho 50 anni e per carità non la penso così, ti parlo di un percorso passato.
Posso dire che a me il teatro, il cinema, il mondo dell’arte ha aiutato a emanciparmi con la società, mi ha fatto un po’ da comunità, anche se fortunatamente io non ho mai avuto problemi di droga. Il mio unico problema era soltanto provenire da un posto dove purtroppo la realtà era molto dura e io facevo parte di quella durezza ed ero molto duro anche io. Mi ha addolcito parecchio il fatto di conoscere nuove persone, fare spettacoli. E questa non è stata una scelta, ma l’opportunità di guardare oltre la finestra, come Vittorio che cammina su quella via che poi diventa a colori. Io, un po’ come lui, ho varcato i confini della mia realtà e ho visto che esisteva un mondo normale che non era il mio, ma un mondo alternativo, quello giusto.
Dalla depressione al successo
Perché ad un certo punto decidi di interrompere il corso di teatro chiudendoti in te stesso?
Avevo 32/33 anni ed era molto duro fare teatro, i provini, perché non conoscevo nessuno. Nel frattempo continuavo a lavorare umilmente, facevo il cameriere, ma la mia voglia di riscatto nella società da dove ero venuto e di quello che facevo era troppo forte. A Torpignattara dicevano: “lo sapete che il Cardia ha sbroccato sta facendo teatro” questa era la mentalità. Io avevo voglia di riscatto con la famiglia, con gli amici, non volevo essere quello che era impazzito. Questo, però, non accadeva e quindi ad un certo punto a 33 anni ero diventato un cameriere bravo, senza soldi, senza niente, senza conoscenze.
È arrivata la depressione e la scelta era se tornare nella giungla o continuare. E io ho continuato, mi sono chiuso 9 mesi dentro casa, avevo attacchi di panico, non parlavo più, non riuscivo ad uscire, è stato un brutto periodo. Poi, grazie a un incontro con un conoscente di Michele Placido, ho deciso di organizzare una master con lui. Michele Placido ha accettato e da lì è iniziata la mia carriera. Ho lavorato con Albertazzi e i più grandi nomi del cinema. Piano piano mi hanno apprezzato come organizzatore di accademie e successivamente andando avanti hanno anche apprezzato la mia parte attoriale. Gabriele Muccino mi ha fatto fare A casa tutti bene perché mi voleva non perché glielo abbia chiesto io. Facevo il bandito – scherza – però…
Com’è nata l’idea di organizzare una master class con Michele Placido?
Perché io ho fatto una master a Cinecittà con Anna Strasberg molti anni fa. E durante questa master avevo scritto un monologo grazie al quale ho vinto una borsa di studio in America. Il monologo si intitolava Il figlio, parlava di un figlio che era arrabbiato col padre perché non gli aveva mai fatto conoscere la parola “papà”. Poi, però, io non avevo i soldi per andarci, non avevo nulla, non parlavo nemmeno in inglese. La scuola mi reputava anche un po’ matto, gli avevano detto “no quello meglio di no”. E quindi è nata da qui l’idea, mi sono detto: “faccio le master class”. Mi ero reso conto di essere bravo ad organizzare.
Con soltanto 20 euro in tasca dopo la master class, cosa ti ha spinto a continuare nonostante le difficoltà?
Chi viene da una periferia è abituato a stare senza soldi. Io se domani dovessi tornare “povero”, se dovessi perdere tutto il mio lavoro e tornare anche con meno di 20 euro in tasca di certo il sorriso non mi si leverebbe mai. Chi è cresciuto nella periferia, dove un giorno hai 1000 un giorno hai 0, non si preoccupa di quello che viene dopo.
Io ho fame di emergere, non di soldi. Perché io con la mia accademia che è diventata una delle più grandi di Italia potrei anche stare tranquillo, nel senso non creare film, ma io ho fame proprio di riscatto societario. Non del classico ragazzo di borgata che vuole riscatto, perché io questo l’ho avuto, sono 20 anni che sono fuori dalla periferia. Il mio “dentro”, però, mi rimane perciò se dovessi tornare a 0 io sorriderei uguale. Ma io non ci torno perché la fame che ho io in questo mondo non ce l’ha nessuno. Ho un’energia che difficilmente si ha altrimenti non sarei arrivato dove sono ora, io sono partito fuori dal cinema.
L’ascesa di Studio Cinema International: “è la mia passione”
Puoi descrivere il processo di creazione e crescita della Studio Cinema International? Quali sono state le principali sfide?
La crescita della mia accademia sono stati i docenti che hanno creduto in me partendo da Pino Pellegrino il casting director. Giancarlo Giannini che è stato vicino a me per moltissimi anni insegnandomi tutto. E poi tanti altri come anche Gabriele Muccino. Ma la vera forza è stata non fermarsi mai. Prima non era come adesso che ci sono migliaia di scuole e di accademie. La differenza anche oggi è che io ho una scuola di 1000 metri quadrati a Colli Albani, ho creato un piccolo studio cinematografico molto lussuoso, sembra Hollywood. Per me un’accademia è una vera e propria azienda e soprattutto è la mia passione. Perciò il cuore che ci ho messo ha fatto la differenza non è solo il botteghino di quello che paga il ragazzo.
Come hai affrontato il passaggio dalla gestione di una piccola scuola di recitazione a un’istituzione di successo con sedi in più città?
Aumentando il personale e stare ogni giorno al chiodo, tutti i giorni e anche di più. Perché anche se diventa un supermercato ti devi ricordare, come fa la Conad, che siamo una famiglia, altrimenti rischi di perdere i pezzi. Prima era un negozietto e da supermercato potevo aumentare il personale, dando lavoro a persone e a famiglie, educandoli nel mio pensiero sono riuscito a far crescere la scuola, ma a non perdere la professionalità che io voglio.
Studio Cinema International: dalla visione alla realtà
Qual è stata la tua visione per Studio Cinema International quando hai iniziato e come è evoluta nel corso degli anni?
La mia visione è creare una scuola dove le persone possono incontrare grandi nomi, e così è, possono avere l’opportunità di farsi conoscere. Infatti, abbiamo creato anche un’agenzia, che si chiama Rosebud, seguita da Cristiano Piacenti, dove noi prendiamo i talenti per poterli spendere anche nei vari casting. La mia visione futura è diventare una casa di produzione, cosa che è successa ai ragazzi della scuola che hanno recitato in Accattaroma perché sono loro i protagonisti.
E un giorno la mia grande visione è quella di essere un’azienda talmente importante che lavora nel settore cinematografico da diventare un’accademia totalmente gratuita per i talenti, per e persone che vogliono studiare cinema. Oggi ancora non ci riesco, ma spero di farlo in futuro. Senza prendere sovvenzioni dallo Stato altrimenti rischi di perdere i nomi. Far diventare la mia accademia una detrazione fiscale degli incassi del film.
Cosa consiglieresti ai giovani che si trovano in situazioni simili a quella in cui ti trovavi tu all’inizio della tua carriera?
Dipende di quali giovani parliamo, non è facile. Io in generale posso dire che anche io sono stato giovane e non ero nessuno e non conoscevo nessuno. Oggi non mi sento qualcuno però io ho voluto veramente e fermamente qualcosa e l’ho ottenuta. E se uno vuole qualcosa nessuno ti può fermare, ma lo devi volere veramente e spendere ogni minuto della tua vita per fare quello: perseveranza. C’è un detto che dice: “l’ossessione batte il talento” e, secondo me, è così.
Massimiliano Cardia tra l’arte dell’attore e la gestione dell’Accademia
Come hai trovato un equilibrio tra la tua carriera di attore e il ruolo di fondatore e direttore di Studio Cinema International?
È stato molto delicato, inizialmente mi sono fatto tanti problemi, perché volevo lasciare spazio ai ragazzi della scuola. Però cercando un personaggio della mia età, il regista mi conosce bene e mi ha detto: “Massimiliano sei cresciuto lì, sai tutto. Un attore conosciuto oggi è un problema trovarlo, non solo per i costi, ma ho paura che intrepretando questo ruolo venga fuori un’imitazione di Franco Citti. Io non voglio un’imitazione di Franco Citti, ma una persona vera” e io cammino così. Infatti, in tante interviste ho detto che io non imito nessuno. Pasolini veniva in periferia da noi, non siamo noi che andavamo da Pasolini. Cioè, lui riprendeva come camminavano loro e io faccio parte di loro.
Quanto pesa Pasolini in questo film?
Il film era una citazione a Pasolini quindi ognuno può dare una propria interpretazione, ma questa è la mia risposta. E da attore devo dire che alla fine Daniele Costantini ha fatto bene a scegliere me. Perché mi ha dato di nuovo quel sapore e quell’amore per il mestiere dell’attore che per me era diventato ultimamente solo un business. Cioè, il ragazzo si iscrive vuole fare l’attore, pago le bollette, pago il professore. Invece, mi ha fatto riscoprire di nuovo il loro animo, che era anche il mio. Perciò mi sono rinnamorato della parola “attore”.
Tutto è ripartito da Gabriele Muccino che mi ha fatto fare Gli anni più belli e A casa tutti bene, in cui ho fatto due stagioni dove interpretavo uno dei delinquenti. Da lui è ripartita la voglia dentro di me, che mi spaventava perché io non volevo che ritornasse questo ego e, invece, come si dice “il primo amore non si scorda mai”. Però senza mai trascurare Studio Cinema International perché sono due cose diverse, ma contemporaneamente sono mie.
Cosa cerchi di trasmettere agli studenti aspiranti attori?
Io a loro prima di iniziare la scuola dico: “se vuoi fare l’artista mettiti per strada fai un quadro e guardatelo. Il cinema è business. Diventa un buon prodotto, diventa bravo e forse puoi farcela. E soprattutto devi avere ossessione”. Tanti mi capiscono tanti altri no. “Se tu diventi un buon prodotto una produzione, un regista può investire su di te. L’importante è diventare bravi non essere belli”. Cerco di insegnare ai giovani che, se loro mantengano una linea: diventare bravi, entrare in un’agenzia, fare un provino possono farcela. Ma la prima cosa è diventare bravi. Cerco di spronarli su questo. Umiltà la prima cosa, essere bravi, disciplina e andare avanti. Chi non riesce a fare questo deve cambiare mestiere.
Accattaroma: una produzione indipendente e il messaggio della continuità storica
Sei riuscito ad auto produrre e portare sul grande schermo il tuo film Accattaroma. Come hai gestito le sfide logistiche bel processo di produzione? Cosa speravi di comunicare al pubblico attraverso questa storia?
Sul lato di produzione fortunatamente avendo una sede enorme e dei dipendenti mi sono anche avvalso della mia forza lavorativa. Anche perché nel 2022, quando abbiamo girato, periodo Covid non si trovava nemmeno un organizzatore di produzione, neanche un camion. Perciò ci siamo messi lì sotto, sappiamo di cinema, avevamo delle figure di riferimento assolutamente, e abbiamo iniziato con le nostre forze a fare tutta la produzione. Giustamente il film è girato quasi interamente su un’unica via, perciò era un film scritto in una maniera che era anche semplice da organizzare in un mese. Perché non era un film difficile sul lato scenografico, avevamo poche location.
Anche voi avete fatto la scelta difficile della citazione del bianco e nero…
Ma la forza del nostro film è stata proprio questa. È uscito un articolo su La Repubblica in cui hanno scritto che il nostro film dal punto di vista tecnologico è molto più vicino a Woody Allen che alla Cortellesi. Perché il nostro bianco e nero su quella via non l’ha trasformata è quella, se la vedevi 50 anni fa o oggi è sempre la stessa via. Io credo che il messaggio che questo film vuole fare arrivare ai giovani di oggi che se non conosci il passato non andrai avanti nel futuro. Perché i vecchi ci insegnano quello che è stato e quello che si ripete oggi col cellulare. Ci sarà sempre un Pasolini che racconterà una vita odierna. Tanti registi possono essere Pasolini che vengono in periferia, è solo l’epoca che cambia. Ma io credo che conoscendo le epoche vecchie forse puoi capire quelle di adesso.