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Everest, il ghiacciaio arretra e restituisce i corpi degli alpinisti

Manca ancora quello di Andrew Irvine, in cordata con Mallory nel 1924. La sua macchina fotografica potrebbe far riscrivere la storia dell'alpinismo

Sulle pendici dell’Everest i cambiamenti del clima stanno producendo i loro effetti in maniera molto sensibile. Vasti strati di neve e ghiaccio si stanno sciogliendo lentamente ma progressivamente facendo riemergere i corpi di centinaia di alpinisti morti nel tentativo di raggiungere il tetto del mondo.

Tra coloro che quest’anno hanno scalato la vetta più alta dell’Himalaya c’era una squadra il cui obiettivo non era raggiungere la cima di 8.849 metri, ma recuperare i resti di esistenze dimenticate. Tra molti rischi, il team ha già recuperato 5 cadaveri congelati, poi riportati a Kathmandu, la capitale nepalese. Due sono stati pre-identificati in attesa di “test dettagliati” per confermare la loro identità, secondo Rakesh Gurung del ministero del Turismo del Nepal.

Everest montagna recupero corpi alpinisti morti
Foto X @AFP

Everest, corpi nella “zona della morte

Questa campagna nepalese tra l’Everest e le vicine vette Lhotse e Nuptse è difficile e pericolosa, precisa l’agenzia di stampa Agi. “A causa degli effetti del riscaldamento globale, corpi e rifiuti diventano sempre più visibili man mano che la copertura nevosa diminuisce” dice Aditya Karki, maggiore dell’esercito nepalese a capo di una squadra di 12 soldati e 18 alpinisti.

Più di 300 persone sono morte sulla vetta dall’inizio delle spedizioni, un secolo fa, negli Anni Venti del Novecento. Otto di loro hanno perso la vita solo nell’ultima stagione. Molti corpi sono rimasti indietro, alcuni nascosti dalla neve o nei crepacci profondi. Altri cadaveri, con ancora addosso la colorata attrezzatura da arrampicata, sono diventati punti di riferimento verso la vetta per gli scalatori. E portano soprannomi come “Stivali verdi” o “La bella addormentata“.

Parecchi cadaveri di alpinisti sfortunati vengono ritrovati nella cosiddetta “zona della morte“. Ossia là dove, quasi alla cima dell’Everest, bassi livelli di ossigeno aumentano il rischio di mal di montagna acuto. A più di quota 7.600 metri di altitudine queste scarse quantità di ossigeno possono diventare fatali oltre un certo tempo trascorso in tali condizioni.

E ci sono volute 11 ore per liberare uno dei cadaveri bloccato nel ghiaccio fino al torso, adoperando acqua calda ed estraendolo anche grazie a un’ascia. “È estremamente difficile“, insiste Tshiring Jangbu Sherpa che ha guidato la spedizione. Secondo la guida, alcuni corpi sono ancora quasi come al momento della morte, vestiti con l’equipaggiamento completo, con ramponi e imbracatura.

Monte Everest campagna di recupero rifiuti
Foto X @AFP

Recupero pericoloso

Il recupero in alta quota dei cadaveri degli alpinisti morti sull’Everest resta comunque un argomento controverso. È un’impresa che costa migliaia di dollari e richiede fino a 8 soccorritori per ciascun corpo. In alta quota è difficile trasportare carichi pesanti, ma un cadavere può pesare più di 100 chili. Per Aditya Karki, tuttavia, questo sforzo è necessario.

Dobbiamo riportarne indietro il più possibile“, dice. “Se continuiamo a lasciarli indietro, le nostre montagne si trasformeranno in cimiteri“. Ma c’è di più. Se il corpo di George Mallory, alpinista britannico scomparso nel 1924, fu finalmente ritrovato nel 1999, quello del suo compagno di scalata, Andrew Irvine, non fu mai ritrovato. E nemmeno la loro macchina fotografica, che potrebbe fornire la prova di una scalata riuscita che potrebbe potenzialmente riscrivere la storia dell’alpinismo. Adesso i ghiacci, sciogliendosi, potrebbero restituire tutto.

La pulizia dei rifiuti

L’intera campagna sull’Everest, con un budget di oltre 600mila dollari, ha mobilitato 171 guide e facchini nepalesi per riportare indietro 11 tonnellate di rifiuti. Tende fluorescenti, attrezzatura da arrampicata in disuso, bombole di gas vuote ingombrano la strada verso la vetta. “La montagna ci ha dato tante opportunità” osserva Tshiring Jangbu Sherpa, “dobbiamo restituirgliele“.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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