Giovanni Raspini: “Paolina Borghese la mia musa. Supestones è un lavoro di squadra”
L'innovativo designer ed architetto si racconta in un'intervista esclusiva a VelvetMAG
Una creatività senza confini in grado di stupire collezione dopo collezione. Giovanni Raspini, ideatore e deus ex machina del marchio globale di argenteria e gioielli in cui le radici della progettazione classica si fondono con gli elementi del design contemporaneo con lo sguardo rivolto al futuro, stupisce il pubblico con il nuovo progetto della Maison toscana.
La mostra Superstones – Gioielli dal cuore della Terra è una celebrazione del brand che affascina con trenta creazioni uniche in cui i minerali si sostituiscono alle gemme preziose. L’esposizione itinerante, dopo aver impreziosito gli spazi della Fonderia Napoleonica Eugenia di Milano, ha raggiunto la suggestiva Coffee House di Palazzo Colonna a Roma per terminare il suo percorso a Palazzo Biscari a Catania. In occasione del vernissage della tappa capitolina abbiamo avuto il piacere di intervistare Giovanni Raspini.
Giovanni Raspini, l’intervista esclusiva VelvetMAG
Dopo Il giro del mondo in ottanta gioielli, torna nella Città Eterna per una nuova esposizione, cosa prova?
Avere una buona accoglienza a Roma, dove in molti sono più che convinti di aver visto tutto non è facile. Questo è un palcoscenico difficilissimo per un creativo, perché c’è un pubblico esigente, preparato, selettivo, a volte anche annoiato e distratto. Ci troviamo in una posizione meravigliosa, con Palazzo Colonna c’è un legame affettivo, siamo già venuti qui con la nostra precedente mostra Il giro del mondo in ottanta gioielli. C’è un legame di bellezza tra noi e questo spazio così barocco e rococò romano, pensiamo subito alle suggestioni e ai tipi di ispirazioni che ci sono in questi luoghi. Quando uno sa che deve esporre in questi contesti dice a se stesso: “me lo devo meritare“, perché questi sono luoghi in cui non si possono portare creazioni maldestre, bisogna avere qualità, creatività, intensità e valore.
Ha ideato trenta gioielli unici, creazioni in cui ha lavorato dei minerali semipreziosi e ha dato loro forme particolari. Quanto lavoro c’è dietro a questo suggestivo iter creativo?
In tanti casi parliamo di pezzi non preziosi, ad esempio il cristallo di rocca, che per me è affascinante ed ha una grande tradizione, l’ho utilizzato ricoprendolo di bronzo con la cera. Ho preso delle lastrine di cera l’ho scaldate con le mani e le ho modellate numerandole, sono tutti pezzi diversi, sono stati poi fusi in bronzo e dorati. E’ nata una collana che ha una sua ragione d’essere anche con un minerale molto crudo, grezzo, difficile da farlo diventare gioiello.
C’è anche una particolare tiara, come è stata realizzata?
E’ un nostro incubo, è una tiara non indossabile, inchiodata sulla testa del manichino. E’ nata grazie alla collaborazione di un amico, un gioielliere di valore, Alessio Boschi, un talento naturale. Non ho progettato tutto io, sono un regista, un organizzatore, un coordinatore, cerco la qualità nei collaboratori e poi ognuno fa la sua proposta. Nel caso della tiara queste orche marine che si combinano con gli elementi del mare, con le punte di cristallo di rocca provocano un effetto di grande magia e intensità.
Grazie a Superstones ha stretto una collaborazione con l’università di Firenze per l’ideazione di alcuni pezzi della collezione.
Abbiamo deciso di partire da dei materiali particolari, la mineralogia richiede delle vere competenze. Il professor Giovanni Pratesi, geologo e divulgatore scientifico, ci ha accompagnato e ha anche smascherato degli errori che avevamo fatto su pietre non idonee. Quando si affronta un tema così vasto, così’ nuovo, c’è bisogno di un contributo, di una collaborazione. In questo caso il mondo accademico è venuto in nostro aiuto.
Quanto secondo lei è importante il lavoro di squadra?
E’ fondamentale, io da solo non vado da nessuna parte. Quando in azienda mi vedono con un ferretto o un attrezzo per la cera, la prima cosa che pensano tutti i miei collaboratori è: “ora si fa male“. Io sono capace un pochino a disegnare perché porto avanti una tradizione, sono architetto e oramai fra un mese sono cinquant’anni che mi sono laureato a Firenze. Sono felice se riesco a infondere qualche stimolo, un sogno che si realizza, una suggestione anche di tipo plastico, estetico nel fare i gioielli. Alla fine il gioiello deve vestire, deve dare luminosità al volto, l’obiettivo è dare luce.
Nella nostra precedente intervista aveva dichiarato proprio ciò riguardo la collana.
E’ la verità, ho un tipo di progettazione tradizionalmente di tipo maschile, grezzo, brutale che deriva dai miei studi di architettura. Ad un certo momento ho deciso di fare gioielli, ma in questo passaggio ho dovuto femminilizzare la mia creatività, perché il gioiello è un qualcosa di leggero, di etereo, di sottile in cui il tipo di progettazione, in cui in precedenza utilizzavo pezzi grandi, ferro, oggetti per la tavola di grande dimensione, non funzionava più. I primi gioielli che ho ideato erano veramente pesanti, non indossabili, poi pian piano grazie alla collaborazione di ragazzi di grande bravura si riesce ad arrivare anche a questi risultati.
Supestones è una mostra itinerante che abbraccia tutto lo Stivale e persino Catania.
Nella precedente edizione eravamo andati a Trani, ora per una forma di equilibrio e di rispetto dalla Puglia siamo passati alla Sicilia. Milano, Roma, Catania è un percorso che ci trova a confrontarci con degli spazi di grande suggestione. Dopo aver toccato la Fonderia Napoleonica e la settecentesca Coffee House romana, chiudiamo con Palazzo Biscari, trionfo dell’architettura barocca, un edificio costruito dopo un grande terremoto. C’è un legame, un percorso artistico con il quale ci confrontiamo con umiltà perché noi siamo artigiani, però portiamo in questi scenari anche una toscanità, una tradizione, un legame con il territorio, facciamo dei gesti che dalle nostre parti facevano anche duemila anni fa.
Ha mai pensato che le sue esposizioni sarebbero apprezzate anche all’estero?
Noi siamo sempre felici di proporci, un giornalista sa bene che la merce più rara e ricercata è l’attenzione, averla è difficile. Pensiamo che ci siano dei posti in cui c’è una tradizione artistica, una sensibilità, all’estero il mondo è infinito. Si canta per chi ha orecchie per ascoltare, si parla per chi capisce la nostra lingua.
Intanto da poco è sbarcato su Tmall, tra le piattaforme più influenti e popolari in Cina.
C’è una collaborazione con un distributore locale, con il quale abbiamo avuto una condivisione. Ciò nasce dalla passione dei nostri interlocutori cinesi che abitano in agglomerati di otto milioni di abitanti. Tutto ciò ha fatto smuovere il loro entusiasmo nei confronti del nostro lavoro, essere su Tmall è un inizio, vedremo cosa succederà.
Le sue creazioni sono intrise dello stile animalier. C’è un animale in particolare che affascina l’architetto Giovanni Raspini?
E’ chiaro che noi utilizziamo l’argento perché solo l’argento riesce a regalarci delle texture, grazie alla sua enorme variazione, dal nero profondo, al lucido, al bianco più lampante, fino al massimo con l’argento lucidato. Questo valore si ritrova in alcune texture degli animali, ad esempio la pelle del coccodrillo, le squame del serpente, i gusci delle tartarughe, i coralli, sono tutte texture che ci affascinano e ci consentono di realizzare ciò che facciamo. Abbiamo un tipo di modellato plastico che diventa organico, animalier e questo è un elemento distintivo del nostro lavoro.
La nuova testimonial del brand Giovanni Raspini è Matilde Gioli. Se potesse sceglierne una del passato?
E’ difficile rispondere, direi visto che siamo a Roma Paolina Borghese, perchè la vediamo immortalata dal Canova e dà questo senso di ieraticità, sospensione del tempo, sarebbe stata la mia musa.
Fra le celebrità attuali invece chi predilige?
Ci sono dei volti del cinema di grande intensità, penso ad una Sigourney Weaver, una personalità maschile, cruda, matura, che però ha ancora tanto da esprimere. Una donna non elegante, non una bellezza classica, ma molto ruvida, la vedrei bene.
L’ultima fatica è stata il restauro ad Arezzo del Palazzo dei Topi d’Argento, espressione del Made in Italy e dell’artigianalità.
E’ un contenitore, cercavamo in luogo che avesse un fascino, una suggestione, un’ambientazione in Toscana, dove risediamo e dove si riescono a trovare degli spazi che non sono stati alterati, né snaturati da restauri che li hanno deturpati. Abbiamo trovato a Monte San Savino, a pochi chilometri dal nostro laboratorio, la casa di Andrea San Savino, il grande scultore rinascimentale e architetto, acquistata da suo padre nel 1508, abbiamo recuperato persino il contratto originale dell’epoca. Abbiamo acquisito la dimora intatta, ci siamo occupati soltanto di un piccolo consolidamento strutturale, ci è parso il luogo ideale per ospitare le nostre opere.
Un museo Giovanni Raspini?
In realtà è l’espressione corretta, anche se la parola museo odora un pò di polveroso. Desidero che sia un luogo vivo in cui si fanno delle mostre, delle feste, ospitiamo dei visiting artist e principalmente abbiamo i ragazzi delle scuole ai quali insegniamo come si lavora la cera, la scultura, il disegno. Una realtà aperta al pubblico gratuitamente tre giorni la settimana, un posto totalmente vivo dove sviluppare la creatività e le arti.