Non traggano in inganno gli aneddoti sulla frugalità tutta olandese, da appassionato ciclista, di Mark Rutte. Ovvero il premier uscente dell’Aia che dal 1° ottobre sarà il nuovo segretario generale della NATO. Tantomeno richiami un’idea di dolcezza la silouhette della premier estone Kaja Kallas, sul punto di diventare Alta rappresentante della politica estera della Ue. Si tratta di due nomine che, nel pieno di questa estate, già delineano con molta chiarezza l’indirizzo dell’Europa dei 27 e dell’Alleanza atlantica per il futuro prossimo.
Una linea politica, diplomatica e militare che sarà improntata alla durezza senza sconti verso la Russia di Vladimir Putin. Ma soprattutto a una certa presumibile inflessibilità verso gli stessi Stati membri dell’Unione sull’obbligo del riarmo e su un percorso di sostanziale economia di guerra per gli anni a venire. Beninteso, Rutte e Kallas, che opereranno da sponde diverse ma non confliggenti, riaffermeranno senza requie l’intento dell’Occidente di cercare “una pace giusta e duratura” per l’Ucraina. E non lesineranno strette di mano e pacche sulle spalle a ciascuno degli alleati. Ma la sostanza non cambierà, anzi. Per uno Stoltenberg e un Borrell che lasciano, e che saranno ricordati (se mai lo saranno) come due bravi ‘soldatini’, questi loro sostituti in arrivo potrebbero anch’essi lasciare a desiderare.
Rutte alla prova dei fatti
Non è difficile immaginare che Rutte e Kallas lasceranno a desiderare chi al terzo anno di guerra russa in Ucraina auspica sì la difesa di Kiev – è ovvio – ma anche e soprattutto un rilancio con grande coraggio dell’agonizzante diplomazia occidentale. Incapace di imporre una mediazione verso accordi di pace nel mondo, sia in sede Ue che ONU. Di ridisegnare insieme alla Cina, agli Stati Uniti, ai BRICS e alla Russia stessa nuovi equilibri internazionali. Basati sulla cooperazione fra gli Stati più che sulla competizione; sulla solidarietà e sul multilateralismo, più che sull’ostilità e sulla chiusura nei nuovi nazionalismi e regionalismi esasperati.
Perché si è smarrito completamente lo spirito di Helsinki, tanto che la stessa Finlandia, assieme alla Svezia, ha abbandonato la tradizionale neutralità ed è entrata nella NATO? Sì, Putin fa paura. Ma in piena Guerra Fredda, nel 1975, sotto l’incubo che potesse saltare da un momento all’altro l’equilibrio del terrore nucleare fra Usa e Urss, a Helsinki nacque l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) e si avviarono nuovi rapporti di distensione internazionale.
Ma oggi mancano statisti
Il fatto è che a quei tempi non c’era soltanto l’equilibrio del terrore fra le due superpotenze mondiali. C’erano in giro per il mondo degli statisti, con rispetto parlando per Rutte e Kallas. Uomini e donne che di mestiere facevano politica e diplomazia con la convinzione di dover costruire un futuro di pace, apertura e prosperità collettiva, non di chiusura. Un futuro da misurare per un intervallo di decenni, possibilmente. Un nome fra gli altri? Aldo Moro, il cui contributo a Helsinki ’75 fu importante.
L’obiettivo della Conferenza di Helsinki fu “il miglioramento delle relazioni reciproche tra gli Stati” recitano i documenti. Tale da “assicurare condizioni nelle quali i loro popoli possano godere di una pace vera e duratura, liberi da ogni minaccia o attentato alla loro sicurezza“. Oggi, cinquant’anni dopo, quell’Europa non esiste più e per tanti aspetti è molto migliorata.
It is a tremendous honour to be appointed Secretary-General of NATO. The Alliance is and will remain the cornerstone of our collective security. Leading this organisation is a responsibility I do not take lightly. I’m grateful to all the Allies for placing their trust in me. I…
— Mark Rutte (@MinPres) June 26, 2024
Bisogna parlare, anche con i lupi
Ma mentre allora si parlava di disarmo e blocco della proliferazione nucleare, oggi si vuole imporre a ciascun Paese europeo il riarmo a un minimo del 2% del Pil. Certo, la sostanziale dittatura neo-staliniana di Vladimir Putin in Russia impone un cambio di paradigma. Ma perché seguire l’autocrate di San Pietroburgo sulla strada della guerra e di una nuova cortina di ferro? Alla fine potrà dire di aver vinto lui.
L’italiano Francesco di Assisi, narra la leggenda, andò a parlare col lupo che seminava morte e distruzione. Così come andò a parlare col Sultano (e non è una leggenda). Questo è il cambio di paradigma che servirebbe oggi: dialogo oltre la guerra, spes contra spem, avrebbe detto Giorgio La Pira, Padre Costituente e sindaco ‘santo’ di Firenze. Per fare questo però ci vogliono dei visionari. Con rispetto parlando per Rutte e Kallas.