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Camorra, il boss Schiavone era “pentito”? No, torna al 41-bis

Questa è la conclusione del procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, che ha verificato come non attendibili le presunte "rivelazioni" del boss dei casalesi

La procura di Napoli ha interrotto il processo di collaborazione con Francesco Schiavone, 70 anni, il boss del clan camorrista dei Casalesi, noto anche come Sandokan. Lo scorso marzo aveva deciso di diventare un collaboratore di giustizia, e cioè di fornire agli inquirenti informazioni rilevanti sui meccanismi interni alla criminalità organizzata in cambio alcuni benefici circa la pena detentiva. 

Inserendo Schiavone nel programma per collaboratori, i pubblici ministeri speravano di ottenere qualche chiarimento sui legami tra camorra e politica, sui capitali nascosti dell’organizzazione criminale, o informazioni utili a indagini ancora in corso. Un tema rilevante è anche quello del traffico di rifiuti tossici nella cosiddetta ‘terra dei fuochi‘ (e non solo), ossia parte della provincia di Napoli e di quella di Caserta colma di discariche abusive e smaltimento illegale con incendi a cielo aperto.

Boss Schiavone arresto
Francesco ‘Sandokan’ Schiavone oggi (nel riquadro in alto) e all’epoca dell’arresto nel 1998. Foto Napoli.coriere.it

Trent’anni dopo l’omicidio di don Diana

Il pentimento presunto di Francesco ‘Sandokan’ Schiavone aveva fatto rumore e destato molte attese, lo scorso marzo. Non soltanto perché avvenuto dopo un quarto di secolo dall’arresto del boss dei casalesi nel 1998. Ma anche perché emerso in coincidenza con il trentesimo anniversario della morte di don Peppe Diana.

Ossia il giovane parroco controcorrente di Casal di Principe (Napoli) brutalmente assassinato dalla camorra il 19 marzo 1994. Un prete che, per il ruolo di coscienza religiosa e civile nelle comunità locale, è paragonabile a don Pino Puglisi di Brancaccio, a Palermo, anch’egli ucciso dalla mafia, pochi mesi prima di don Diana, il 15 settembre 1993.

Gratteri lo rimanda al 41-bis

Tuttavia durante gli interrogatori di Schiavone, l’ultimo dei quali condotto una settimana fa dal procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri, i magistrati non hanno scoperto nulla di nuovo o di utile dalle sue dichiarazioni. Di conseguenza la procura partenopea –
l’ufficio inquirente più grande d’Italia con 110 pm – ha chiesto alla Commissione centrale (del ministero) per i collaboratori di giustizia la revoca del programma di protezione, che era provvisorio.

Il ministero guidato dal Carlo Nordio ha quindi disposto per Schiavone il rientro in cella al 41-bis, ossia in regime di cosiddetto carcere duro. Lo stesso regime carcerario in cui Schiavone si trovava detenuto prima del presunto pentimento, a marzo scorso, riservato ad alcuni condannati per criminalità organizzata.

Emanuele Schiavone figlio del boss Francesco 'Sandokan'
Emanuele Libero Schiavone figlio del capo del clan dei Casalesi Francesco “Sandokan”. Foto Ansa

Chi è il boss Schiavone

Oggi Francesco ‘Sandokan’ Schiavone ha 70 anni ed è in carcere, come detto, dal 1998. È stato uno dei principali boss della criminalità organizzata attivi in Italia fra gli anni Settanta e Ottanta. Ha fatto parte di Cosa Nostra, la mafia siciliana, ma è stato anche capo del clan camorristico dei Casalesi. Quest’ultimo è un clan tristemente attivo in molte parti d’Italia e all’estero, ma che si sviluppò a partire dalla Campania.

Durante il suo periodo di attività criminale Schiavone ha gestito traffici illegali di armi, droga e rifiuti, sia in Italia che fuori dal nostro Paese. E ha partecipato a guerre e scontri armati con vittime tra clan nell’area del Casertano, in Campania. Non si può escludere che all’origine del bluff del pentimento di Sandokan ci sia anche la scelta di suo figlio Emanuele Libero Schiavone, 36 anni, che non ha condiviso l’iniziativa paterna, contrariamente a un altro dei suoi figli, Walter Schiavone, collaboratore di giustizia dal 2021. Anzi, Emanuele Libero avrebbe voluto ricostituire il clan dei casalesi, secondo alcuni osservatori, dopo la sua scarcerazione lo scorso aprile. Tuttavia a metà giugno è stato di nuovo fermato e incarcerato.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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