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Latina, arrestato il datore di lavoro dell’indiano morto dissanguato: “Omicidio doloso, non colposo”

Secondo la procura, se soccorso invece che abbandonato, Satnam Singh si sarebbe salvato. Per questo l'imputazione cambia e si aggrava

Svolta nell’inchiesta della procura di Latina sulla morte di Satnam Singh, il bracciante indiano di 31 anni, morto dissanguato il 19 giugno al San Camillo di Roma, due giorni dopo aver perduto un braccio lavorando nei campi a Latina. Il 2 luglio i carabinieri hanno arrestato Antonello Lovato, 38 anni, datore di lavoro di Singh, con l’accusa di omicidio doloso e non più colposo. Secondo quanto ricostruito sinora, invece di chiamare subito i soccorsi o trasportarlo all’ospedale, Lovato avrebbe abbandonato Singh presso il luogo in cui abitava. L’uomo aveva un braccio amputato, stritolato da un macchinario mentre lavorava.

Sulla scorta delle risultanze “della consulenza medico-legale la procura ha variato l’ipotesi di reato inizialmente configurata (omicidio colposo). E ha contestato il reato di omicidio doloso con dolo eventuale“, si legge in un comunicato dei magistrati inquirenti. La consulenza medico-legale “ha accertato che nel caso in cui l’indiano, deceduto per la copiosa perdita di sangue, fosse stato tempestivamente soccorso, si sarebbe con ogni probabilità salvato“.

Singh ucciso per i mancati soccorsi Lovato arrestato
In primo piano Antonello Lovato, datore di lavoro di Satnam Singh (nel riquadro piccolo). Foto roma.corriere.it

Nella nota la procura di Latina ha aggiunto che “le condizioni del lavoratore dopo l’infortunio sono risultate talmente gravi da rendere evidente la necessità di un tempestivo soccorso“. Per gli inquirenti, la decisione del datore di lavoro di “omettere il doveroso soccorso ha costituito accettazione del rischio dell’evento letale e ha integrato la causa che ha direttamente determinato il decesso“. L’attività di indagine prosegue “con riferimento al delitto oggetto di contestazione e ad altri delitti connessi. Con riguardo specificamente all’accertamento delle condizioni di lavoro“.

La vicenda di Latina

Come detto Satnam Singh è morto il 19 giugno in ospedale a Roma a seguito di tardivi soccorsi. Ma non certo per responsabilità dei soccorritori. Due giorni prima, il 17 giugno, aveva perso un braccio, stritolato da un macchinario agricolo, e poi era stato abbandonato dal proprio datore di lavoro: Antonello Lovato. Quest’ultimo lo aveva portato non in ospedale ma nel luogo dove il lavoratore abitava con la moglie, ‘scaricandolo’ lì.

L’infortunio sul lavoro, divenuto mortale a causa del deliberato mancato soccorso da parte del datore di lavoro, secondo la procura di Latina, è avvenuto nei campi di borgo Santa Maria, alla periferia della città. La signora Sony, moglie del bracciante morto, aveva reso la sua testimonianza ai carabinieri: “Ho visto l’incidente, ho implorato il padrone di portarlo in ospedale. Ma lui doveva salvare la sua azienda agricola. Ha messo davanti a tutto la sua azienda agricola“.

Latina caporalato campi agricoli
Foto X @TgrRaiVeneto

La testimonianza oculare

Accuse durissime, di fronte alle quali, dopo che il caso è esploso mediaticamente, Renzo Lovato, il padre di Antonello Lovato, datore di lavoro del bracciante, intervistato dal Tg1, si era detto dispiaciuto ma aveva scaricato la responsabilità sulla persona defunta, Satnam Singh. Fino ad affermare: “Lo avevo avvisato di non avvicinarsi al mezzo ma ha fatto di testa sua…“.

La moglie del bracciante, testimone oculare, aveva riferito ben altro. “Il padrone ha preso i nostri telefoni per evitare che si venisse a sapere delle condizioni in cui lavoriamo. Poi ci ha messo sul furgone togliendoci la possibilità anche di chiamare i soccorsi“. A raccontare questa storia, che denota il livello di caporalato sul lavoro che si è raggiunto in alcune zone dell’Italia centrale, come Latina, è stato il quotidiano La Repubblica.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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