Vangelo secondo Maria racconta una Madonna artefice del proprio destino, una donna decisa. Tratto dal libro sovversivo e controtempo di Barbara Alberti, abbiamo intervistato l’attrice Lidia Vitale che nel film interpreta la madre di Maria, ed il regista Paolo Zucca.
Dal Nuovo Testamento al romanzo del 1979 di Barbara Alberti che è anche co-sceneggiatrice del film. Dalla Galilea alla Sardegna dalle caratteristiche arcaiche. Il film di Paolo Zucca, Vangelo secondo Maria, uscito nelle sale il 23 maggio scorso con Vision Distribution e prodotto da Amedeo Pagani e Indigo Film, è una storia d’amore e di formazione. Ma è anche la storia di una donna decisa ad essere l’artefice del proprio destino.
Sono tanti i punti di riflessione che il lungometraggio apre. Una fotografia ben nitida mette in rilievo quanto il piano di Maria – interpretata da Benedetta Porcaroli – e quello di Dio, non coincidano affatto. Ma quali potrebbero essere i punti di riflessione che stimola questo film? Ne abbiamo parlato con Lidia Vitale che il 14 giugno ha aperto la prima stagione del teatro Robin Wood (Il teatro nel bosco) con il suo spettacolo dedicato ad Anna Magnani, Solo Anna oltre ad essere nel cast di Maschile plurale di Alessandro Guida- sequel di Maschile Singolare – dal 20 giugno su Prime Video, e con il regista del film, Paolo Zucca.
In esclusiva per VelvetMAG, Lidia Vitale
Lavorare al film di Paolo Zucca, Vangelo secondo Maria, cosa ti ha lasciato?
Vangelo secondo Maria. Mamma mia che domanda da un milione di dollari! Allora, sicuramente la cosa che ti posso dire è che sono stata contenta di partecipare. A tratti anche combattuta! E’ un tema che mi tocca in modo particolare. Tutto ciò che riguarda l’emancipazione femminile e quello che stiamo cercando di fare – ovvero tirare fuori questa voce e farci sentire – è diventato il motivo del mio lavoro. Alla base c’è questo. C’è l’urgenza di liberare il femminile. E questi progetti che hanno a che fare con l’empowerment femminile, sono per me fondamentali per poi diventare un mezzo per comunicare qualcosa. Anche questa chiacchiera che ci stiamo facendo io te, è un modo di sviluppare la comunicazione rispetto ai temi, e di darmi questa opportunità.
Qual è il tuo rapporto con la religione?
Allora, innanzitutto io mi reputo una persona di profonda religiosità, perché sono buddista da 35 anni. E’ da quando ne avevo 17 che io pratico il buddismo. Questa cosa sicuramente ha influenzato a 360 gradi la mia vita e la mia carriera. Io credo che oggi, più che mai, c’è lo strumento religioso. Ma più che altro la spiritualità e la religiosità sono un mezzo veramente potente. Oggi devono diventare dei mezzi per dar voce, per aprire, per illuminare. E il fatto di essere nati artisti è un grande privilegio. Io sono molto grata al fatto di aver perseguito il mio sogno di bambina di fare l’attrice.
L’artista ha il privilegio di poter aprire i cuori della gente, o di illuminarli. Ha questo dovere civile. Quindi per me – e l’arte e la religione – oggi devono essere a servizio dell’apertura del dialogo. C’è qualcosa nel film che io credo sia necessario definire. Il dialogo che si instaura tra Maria e Giuseppe è quello proprio del dialogo. Oggi più che mai il vero nuovo femminismo è aprire il cuore e dire: “Guarda, tu quanto me, sei vittima”. Quando ad un certo punto mio marito – nel film – gli dice a Giuseppe: “E le donne? E le donne?”, tutti e due siamo vittime di un modello che va scardinato.
Sai qual è il mio motto? “Non c’è differenza tra un ‘signorsì’ e un blogiob perché lo gesto, è lo stesso!”. Questo è il mio motto ironico sul tema. Più che mai oggi, il femminile deve entrare nel sociale. Ci deve essere un’apertura che riguarda me e riguarda te uomo. Per assurdo, il nostro compito di imparare ad andare a caccia era più semplice. Loro devono imparare una cosa ancora un po’ più complessa, che è l’intelligenza emotiva.
C’era la Murgia che diceva “anche le donne hanno introiettato il patriarcato”, perché per poter raggiungere certi obiettivi hanno dovuto accogliere quel modello e diventarlo. Io oggi non voglio diventare quella. Io voglio diventare una donna che si prende il potere quello pulito, quello di esprimersi. E voglio prendere per mano l’uomo e dirgli facciamolo insieme. Io oggi, più che mai, ho bisogno che gli uomini capiscano che sono vittime di un modello, perché ho bisogno del loro aiuto.
Nel film Vangelo Secondo Maria, tu Lidia, hai interpretato la madre di Maria. Cosa vorresti che questo film restasse nelle persone che lo hanno visto o lo vedranno?
Non lo so se ci sono andata fino in fondo nel mio compito. Con Ti mangio il cuore sento che c’ero andata fino in fondo. Non è la prima volta che mi capita di fare personaggi che hanno questa funzione, ovvero di introiettare il male. In questo film io sono quella che ha introiettato il patriarcato come lo ero in Ti mangio il cuore. Che vuol dire illuminare i cuori della gente comune? Se solo una persona, se solo una donna si riconoscesse e dicesse “c***o, perché faccio così?”, avrei già vinto.
Lidia Vitale: «Quando fai questi personaggi, sempre là devi tornare: alla ferita»
Cosa ti è rimasto addosso della tua interpretazione in questo film, e come lo hai costruito?
Quando fai questi personaggi, c’è sempre la logica per cui chi è stato abusato conosce solo quel modello. Qual è dunque la difficoltà? E’ sradicare il modello. Questo è da esseri umani. Questo è quello che faccio come attrice e come donna. Poi, quando fai questi personaggi, sempre là devi tornare: alla ferita. Per cui replichi quella ferita su un altro esser umano, perché non sai fare altro. Se tu hai conosciuto solo le mazzate e per generazioni t’hanno detto “stai zitta”, tu fai fatica a tirar fuori la voce.
Ecco perché ci son voluti 45 anni a creare il movimento Me Too. Ci sono voluti 45 anni per strutturarsi, per diventare una rete. Dunque, per costruire quel personaggio, sempre alla ferita devi tornare perché chi è stato abusato replica l’abuso al 99,9% e questo non lo dico io, lo dice la psicanalisi, lo dicono le grandi regioni. E come mi disarmo? Devo riconoscerlo e scardinarlo. Quindi, io quando faccio questi personaggi patriarcali che hanno introiettato questo modello e dico: “guarda che grande fortuna”, questo processo l’ho fatto, lo conosco. Non ho paura di entrare in quell’inferno. E’ questo ciò che faccio quando interpreto questi personaggi. Bisogna avere il coraggio di entrare in quel dolore per metterlo in scena.
Nel film diretto da Paolo Zucca, tra i tanti momenti forti, di importante narrazione, vi è quello che vede Maria – interpretata da Benedetta Porcaroli – sfidare Jahve. Un Dio che decide, che detta regole e che impone situazioni invadendo la vita di Maria. Cos’altro vorresti aggiungere?
Io vorrei che si andasse verso quello che è l’empowerment che ci dobbiamo ricordare che in gabbia non ci si chiude un micetto, ma ci si chiude una tigre di cui si teme la forza. Quindi in quella gabbia non c’è un micetto impaurito, ma una leonessa, una tigre e che bisogna veramente tirarlo fuori quel ruggito del leone e quella voce che tante volte si blocca. Maria in qualche modo non ha paura di perdere niente. Piuttosto s’addormenta il giorno in cui deve incontrare l’uomo che la deve sposare, il figlio del re. Quella è la sua resistenza interiore e per assurdo, è l’intuito sano.
Intervista al regista de Vangelo secondo Maria, Paolo Zucca
Quando è ‘scattata’ l’idea di fare questo film?
Questo film è nato tanti anni fa! Son passati ormai 15 anni. Io e Barbara Alberti abbiamo iniziato a pensarci proprio nel 2009. E questo film è nato quando io feci vedere a Barbara un mio cortometraggio che si intitola L’arbitro, dal quale poi ho tratto un film con Stefano Accorsi. L’arbitro ebbe molta fortuna, un sacco di premi in giro per l’Europa. Glielo mostrai. Parliamo di un corto in bianco e nero, girato in Sardegna con dei panorami molto astratti, molto selvaggi, con dei volti di figura del mondo. La campagna sarda. Anche con un taglio un po’ etnografico. Barbara vide questo lavoro e mi disse: “In questa tua Sardegna, in questo tuo mondo personale intuisco qualcosa di biblico, qualcosa di metafisico”. Mi consigliò poi di leggere il suo romanzo per fare la Bibbia di Sardegna.
Ci incontrammo un giorno, a Roma, raccontandomi tutto d’un fiato il romanzo e ricordo che mi spaventai un po’ perché quando mi raccontò come finiva il libro – e posso dirlo perché non è un segreto –
con l’interruzione di gravidanza di Maria che dice “questo Gesù non lo faccio proprio nascere”, questa cosa mi spaventò e io dissi: “Guardi Barbara -le davo ancora a lei all’epoca – la storia mi sembra molto bella, però di buttarmi così come primo film – in quanto dovevo fare ancora il mio primo film – in una provocazione così forte, non è una cosa che mi interessa”.
Quindi le dissi fondamentalmente di no! Mi diede poi il libro e lo lessi il giorno dopo tutto di fila, la chiamai la sera e le dissi: “Barbara, anche se ci scomunicheranno, il libro Vangelo secondo Maria è così bello, mi ha talmente aperto le porte della fantasia che ho cambiato idea. Ho paura, però facciamolo”. Per un film così dirompente nel 2009, i tempi non erano ancora maturi. Poi con Barbara ci siamo sempre detti “menomale che non siamo partiti 15 anni fa, perché all’epoca, Benedetta Porcaroli era alle scuole medie” (ride, n.d.r.).
Benedetta Porcaroli ha interpretato Maria: come impatta la sua interpretazione sul film?
Sin dal primo giorno la mia preoccupazione principale sul set era stare con col personaggio di Maria a raccontare le sue emozioni. Il mio focus assoluto in quanto il regista è stato il personaggio di Maria e quindi di Benedetta. Chiaramente, poi, mi sono dedicato a tutti gli altri personaggi con altrettanto impegno. Il primo giorno abbiamo girato una scena di lei con Alessandro (Gassmann nel ruolo di Giuseppe, n.d.r.) una persona molto intelligente.
Gli ho detto subito: “Alessandro ti chiedo scusa, ma in questa scena lei sarà a fuoco e tu sarai fuori fuoco, perché questo è un film che ha una protagonista unica che è femminile, quindi non averne a male. Sarai quindi leggermente sfocato”. Lui ha capito subito sulle priorità che avevo nel racconto. Anche il personaggio di Giuseppe è un personaggio molto bello, molto ben scritto che ha tutto un suo sviluppo di cui parleremo tra poco.
Con Benedetta è stato entusiasmante lavorare. Lei ha 25 anni e lavora da quando ne ha 15. Quindi ha fatto molti più film di me. Conosce perfettamente la macchina del cinema. E’ una ragazza talmente sveglia che capisce tutto, anticipa i problemi, sa dove andremo a incastrarci anche sulle piccole cose pratiche. Io ho imparato un sacco da lei. Ho imparato moltissimo anche se è davvero molto giovane e, nonostante ciò, era come lavorare con un veterano del cinema. Io non posso che dirne ogni bene possibile.
Poi sì, da buona ‘ragazzina’, finché c’era da aspettare si lagnava tutto il giorno: del caldo, del freddo, dell’attesa, di tutte le cose di cui si lagnano i giovani. Finché poi non sentiva la parola “azione” e diventava un leone, un soldato scelto che si buttava tra le rocce con i piedi insanguinati. Tra le spine, nell’acqua fredda finché non dicevo “stop”. Questo film lo abbiamo fatto come quando si gioca a tennis: punto per punto, scena dopo scena.
In effetti, tutto torna se penso al personaggio di Maria che attraversa una sorta di evoluzione ben scardinata nel film, passo dopo passo.
Sì, e aggiungo anche un’altra cosa. Nel film, Benedetta, ha un monologo finale che ha subito percepito come una cosa un po’ impegnativa, un po’ difficile in quanto un monologo tutto nuovo da sola, lei sulla roccia. Era un po’ spaventata e l’intento era quello di provarlo un po’ di volte. Poi, questa prova, l’abbiamo così sempre rimandata che alla fine siamo arrivati all’ultima settimana delle riprese del film. Lei ricordo che mi disse: “Paolo, lo faccio e basta. Non non voglio provare nulla, andiamo e facciamo”. E l’ha fatto! Era già completamente dentro il personaggio. Pronta, evoluta spiritualmente e difatti – secondo me – ha fatto un bellissimo monologo.
Paolo Zucca: «Maria doveva essere la fiamma, Giuseppe la roccia»
Giuseppe invece, come sappiamo ha quasi un ruolo marginale nella storia cristiana e nel film, invece, ci dà qualcosa di più.
Il personaggio di Giuseppe è buono, positivo in un mondo pieno di retrogradi e di prepotenti. È un personaggio che già nel libro è raccontato molto bene. Poi ecco, nella sceneggiatura con Barbara abbiamo aggiunto qualche scena, qualche dialogo per dare una credibilità ancora maggiore al fatto che questo personaggio sia quasi l’uomo del Rinascimento calato nella preistoria morale della Terra Santa, dell’Anno Zero. Per cui abbiamo aggiunto – per esempio – una scena in cui Giuseppe interpretato da Alessandro Gassmann parla col padre di Maria raccontando di aver viaggiato, di aver preso le navi e conosciuto: Alessandria, Atene, Roma. Gli abbiamo dato un piccolo background di viaggiatore un po’ per giustificare sia la sua evoluzione culturale e sia per dargli anche un passato che potesse giustificare anche la sua rinuncia a consumare – per esempio – il matrimonio.
Alessandro mi chiese: “Ma perché quest’uomo si arrende così, subito? E perché accetta questa cosa?”. Io gli risposi che probabilmente Giuseppe, dopo una vita intensa, non aveva più quell’urgenza bruciante che può avere un adolescente. Io poi ho scelto Alessandro e Benedetta anche in virtù di una distanza di età tollerabile per la nostra sensibilità. Maria nel film doveva essere la fiamma, Giuseppe la roccia e credo che si percepisca benissimo.