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Fiat Topolino (e non solo): cos’è la storia delle polemiche sulle bandiere italiane

Sequestrate per un adesivo col tricolore: sono prodotte in Marocco. L'ipotesi di reato? Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

Le recenti polemiche riguardanti l’uso della bandiera italiana sulla Fiat Topolino hanno sollevato molte discussioni. Al centro della questione vi è il sequestro, lo scorso maggio, di 134 unità del modello Topolino al porto di Livorno, causato dalla presenza di un adesivo raffigurante il tricolore italiano, nonostante le maestranza avessero prodotto le vetture in Marocco.

Sequestro delle Fiat Topolino

Il sequestro delle Fiat Topolino è avvenuto a causa della presunta violazione delle normative sull’Italian sounding. In buona sostanza, il reato contestato è vendita di prodotti industriali con segni mendaci: non si possono usare simboli nazionali su prodotti non interamente realizzati in Italia. L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, insieme alla Guardia di Finanza, ha quindi ritenuto che l’uso del tricolore potesse indurre in errore i consumatori circa l’origine della Topolino.

Fiat Topolino Roma Italia
Foto Ansa/Riccardo Antimiani

La reazione di Stellantis

Stellantis, la casa madre di Fiat, ha espresso il suo disappunto per il sequestro delle Topolino. E ha sostenuto che tramite l’apposizione dell’adesivo sulle auto non aveva intenzione di ingannare i consumatori. Bensì semplicemente di sottolineare l’origine imprenditoriale italiana del design e dello sviluppo della vettura. A parere dell’Agenzia delle Dogane e dei militari della Finanza le cose però non stanno così.

Perciò Stellantis è corsa ai ripari. E, onde evitare ulteriori future controversie su altre vetture – e un pesante danno d’immagine per il gruppo che fa capo a John Elkann – l’azienda ha preso provvedimenti. E ha deciso autonomamente di rimuovere la bandiera italiana dalle nuove Fiat 600 – prodotte in Polonia e non in Italia – e da altri modelli come l’Alfa Romeo Junior.

Contesto politico ed economico

Questa vicenda si inserisce in un contesto di tensioni tra il Governo Meloni e Stellantis. L’esecutivo italiano ha criticato duramente la decisione di produrre all’estero veicoli che portano simboli italiani, come nel caso dell’Alfa Romeo Junior. Questa vettura, inizialmente chiamata “Milano” è stata poi ribattezzata “Junior” proprio perché la sua produzione avviene in Polonia. Il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, ha spinto per un maggiore rispetto delle normative sul “Made in Italy” e per un incremento della produzione di auto e veicoli all’interno dell’Italia e non fuori di essa.

Elkann Fiat Topolino polemiche
John Elkann. Foto Ansa/Alessandro Di Marco

La rimozione del tricolore dalle Fiat 600 e dalle Topolino rappresenta un tentativo di Stellantis di conformarsi alle normative italiane e di prevenire ulteriori polemiche. Di certo Stellantis sta ridimensionando, da tempo, la sua produzione nel nostro Paese. Non siamo più di fronte alla ‘onnipotente’ Fiat di Gianni Agnelli, e neppure a quella salvata dal fallimento da Sergio Marchionne.

Stellantis è una multinazionale che ha sede legale in Olanda, rafforza la sua produzione in Francia mentre l’ha ridimensionata alla storica fabbrica di Mirafiori di Torino. Il Governo di destra ha ingaggiato un duello con John Elkann e gli eredi Agnelli circa il destino degli aiuti italiani a Stellantis. La questione della tutela a trecentosessanta gradi del marchio “Made in Italy” rimane dunque un tema caldo, con la premier Meloni e i suoi ministri che continuano a promuovere politiche per aumentare la produzione di veicoli in Italia, compresa la Topolino. E, al tempo stesso, intendono contrastare pratiche che potrebbero ingannare i consumatori riguardo alla vera origine dei prodotti.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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