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Il tramonto di Stoltenberg, il Segretario della NATO troppo fedele agli Usa

Dal primo ottobre lo sostituirà Mark Rutte che forse potrà tenere una linea diversa: non improntata soltanto al riarmo dell'Occidente

Il Segretario Generale uscente della NATO, Jens Stoltenberg, conta ormai i mesi di lavoro prima di passare la mano all’ex premier olandese Mark Rutte che lo sostituirà. Di lui si ricorderà la fedeltà, anche troppo cieca, agli Stati Uniti. Il presidente Joe Biden, sul cui destino pesa la possibile autoesclusione dalla corsa alle elezioni del 5 novembre, lo aveva incontrato lo scorso 18 giugno a Washington discutendo con lui vari temi cruciali per l’Alleanza Atlantica. Fra questi l’incremento della spesa per la difesa tra gli alleati europei e il Canada, che ha registrato un forte aumento nel 2024.

L’uomo del riarmo

L’incontro tra Stoltenberg e Biden, tenutosi alla Casa Bianca, ebbe al centro della discussione l’importanza di una maggiore cooperazione transatlantica in materia di sicurezza e difesa. Stoltenberg disse che l’aumento della spesa per la difesa è fondamentale per affrontare le nuove sfide globali, sottolineando che “una NATO forte rende l’America più sicura“. È però di questi giorni l’annuncio da parte del presidente ucraino Volodymyr Zelensky circa l’invito di non meglio precisati “rappresentanti russi” a una nuova conferenza di pace che Kiev vuole organizzare dopo il fallimento di quella di giugno in Svizzera, alla quale la Russia non c’era.

Nato Stoltenberg armi Ucraina
Joe Biden (a sinistra) e il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg (a destra). Foto Ansa/Epa Michael Reynolds

Può sembrare un paradosso, ma la strada per la pace passa per un maggior numero di armi all’Ucraina” disse Stoltenberg in occasione dell’incontro con Biden. Una sua verità che però non sembra tener conto del fatto che gli ucraini sono prostrati dalla guerra. E che Putin ha riconvertito l’economia della Russia affinché sostenga il peso di questa e altre guerre per chissà quanti anni. Insomma, ci sarebbe bisogno di rilanciare la diplomazia e, dal punto di vista della NATO, offrire soluzioni negoziali. Non solamente il “si vis pacem para bellum“.

Stoltenberg e la Cina

Ma il Segretario uscente dell’Alleanza atlantica viaggia su un altro modo di ragionare. “La realtà è che la Cina sta alimentando il più grande conflitto armato in Europa dalla Seconda guerra mondiale” ha affermato a Washington il 18 giugno scorso. “E allo stesso tempo vuole mantenere buone relazioni con l’Occidente. Ebbene, Pechino non può avere entrambe le cose. A un certo punto, a meno che la Cina non cambi rotta, gli alleati devono imporre un costo“.

Stoltenberg Ucraina Zelensky
Stoltenberg con Zelensky l’11 luglio 2024 a Washington. Foto Ansa/Epa Jim Lo Scalzo

La guerra in Ucraina dimostra che la nostra sicurezza non è regionale, ma globale. Non da ultimo per il sostegno che sappiamo che la Russia sta ricevendo dalla Cina e da altri Paesi. Pechino sta condividendo tecnologie di alto livello come i semiconduttori e altri prodotti a duplice uso. L’anno scorso la Russia ha importato dalla Cina il 90% della sua microelettronica, utilizzata per produrre missili, carri armati e aerei. La Cina sta anche lavorando per fornire alla Russia una migliore capacità satellitare e immagini“.

Inoltre, sempre in occasione della visita a Biden di giugno, un’intervista alla Bbc Stoltenberg aveva rilanciato le accuse a Pechino facendo sapere che “colloqui sono in corso” su possibili sanzioni. La Cina, ha detto Stoltenberg, “cerca” di sostenere lo sforzo bellico della Russia e allo stesso di mantenere i rapporti con gli alleati europei, ma “questo non può funzionare nel lungo periodo“.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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