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Ergastolo per Alessia Pifferi, le motivazioni della sentenza di condanna

La madre della piccola Diana, morta il 20 luglio 2022 dopo giorni di abbandono, avrebbe agito senza alcuna empatia né responsabilità

Alessia Pifferi, 38 anni, è stata condannata all’ergastolo con l’accusa di aver lasciato morire la figlia Diana, di soli 18 mesi, abbandonandola per quasi 6 giorni senza alcuna cura o attenzione. La bambina fu ritrovata senza vita il 20 luglio 2022 nella casa della madre a Milano. La donna era andata a trascorrere un lungo fine settimana fuori città con il suo compagno. La sentenza, emessa dalla Corte d’Assise di Milano, ha scioccato l’opinione pubblica per la sua severità, ma anche per le circostanze agghiaccianti del caso. Le motivazioni del verdetto gettano luce su un atto definito di “elevatissima gravità umana”.

La piccola Diana è morta di stenti e disidratazione, chiusa in casa mentre sua madre trascorreva un weekend fuori città con il compagno. Questo dettaglio, emerso durante il processo, ha suscitato profonda indignazione. Secondo la Corte Alessia Pifferi ha agito con totale indifferenza verso la vita della figlia, preoccupandosi unicamente dei propri desideri e bisogni personali.

Pifferi condanna ergastolo
Alessia Pifferi in tribunale a Milano. Foto Ansa/Matteo Corner

Le motivazioni della sentenza

Il comportamento di Pifferi è stato descritto come privo di empatia, con una completa assenza di senso di responsabilità genitoriale. Durante il processo, è emerso che la donna aveva lasciato la bambina da sola per periodi prolungati già in precedenza, ma quel tragico weekend di luglio 2022 si è rivelato fatale.

Le motivazioni della sentenza sottolineano l’assoluta mancanza di considerazione per la vita della piccola Diana. I giudici hanno sostenuto nella sentenza come Alessia Pifferi fosse pienamente consapevole delle conseguenze delle sue azioni, ma che, nonostante ciò, avesse deciso di abbandonare la figlia.

La pubblica accusa ha descritto l’omicidio come volontario, aggravato dalla premeditazione, sebbene questa circostanza non sia stata riconosciuta dai giudici. Il giudice ha sottolineato come Alessia Pifferi non abbia mai mostrato segni di pentimento o rimorso, neanche di fronte alla morte della figlia. Questo atteggiamento ha contribuito alla decisione di infliggere la pena massima prevista dal codice penale, cioè l’ergastolo.

Tribunale Milano caso Alessia Pifferi
Foto X @Agenzia_Ansa

Le reazioni al caso Pifferi

La condanna di Alessia Pifferi ha suscitato diverse reazioni, sia all’interno dell’aula che fuori. I familiari di Diana hanno accolto la sentenza con un misto di sollievo e dolore, consapevoli che nulla potrà mai restituire loro la bambina. La difesa, d’altro canto, ha annunciato l’intenzione di ricorrere in appello, sostenendo che Pifferi non era in grado di comprendere pienamente le sue azioni a causa di un presunto disturbo mentale. Questo caso ha sollevato importanti riflessioni sulla protezione dei minori e sulla responsabilità genitoriale. La storia di Diana è diventata un simbolo tragico di come la mancanza di empatia e la trascuratezza possano portare a conseguenze devastanti.

Il caso di Alessia Pifferi non è solo un dramma umano, ma rappresenta anche un precedente giuridico significativo. La severità della condanna, motivata dalla necessità di tutelare i minori e di affermare l’importanza del ruolo genitoriale, potrebbe influenzare future sentenze in casi simili. Questa vicenda ha scosso l’opinion pubblica italiana e ha portato alla luce le profonde lacune nel sistema di supporto per le madri in difficoltà e i pericoli derivanti dall’isolamento sociale e affettivo. La storia di Diana continuerà a essere un monito contro l’indifferenza e la disumanità. Non basta però. Occorre che la società si attrezzi per offrire supporto e cure alle donne, tanto più se giovani, che non appaiono in grado di gestire da sole l’impegno e la responsabilità della maternità.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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