La peste suina torna a fare paura nel Nord Italia: avanza in Lombardia e in Piemonte e minaccia gli allevamenti di maiali. A innescare l’epidemia sarebbero stati la sottovalutazione delle misure di biosicurezza e gravi ritardi nel segnalare i primi casi. Secondo la ricostruzione di Mario Chiari, direttore generale welfare della Regione Lombardia e sub commissario Psa, “la falla è apparsa nell’allevamento di Vernate, ufficialmente quarto focolaio. Ma probabilmente il primo a essere realmente contagiato”. Poi il virus si è diffuso tra gli allevamenti nelle province di Milano, Pavia e Lodi.

Come riporta Il Giorno l’innesco sarebbe stato la presenza del virus della peste suina nei cinghiali all’interno di una zona vicina agli allevamenti dei primi focolai. Ufficialmente il primo è stato quello di Basate, un allevamento a conduzione famigliare con 500 suini, di cui 80 riproduttori, non in filiera e quindi senza uscita di animali a rischio. Poi la diffusione è stata tra Milano, Pavia, Lodi, con distanze molto significative tra i focolai. Ma in realtà i primi casi, non segnalati, potrebbero essere stati nell’allevamento di Vernate.

Foto Ansa

Ritardi e nessuna misura di sicurezza

Il ritardo, molto grave, nel segnalare gli episodi di peste suina avrebbe determinato l’attuale diffusione della malattia. Dall’indagine congiunta con i carabinieri dei Nuclei antisofisticazioni e sanità (Nas) “sono state riscontrate una ventina di carcasse sotterrate nel retro dell’allevamento (di Vernate, ndr.), tutte positive al virus“, ha detto Chiari.

Nell’allevamento di Vernate sarebbero pressoché assenti le misure di biosicurezza. “Il medesimo allevatore ha prestato opera anche in altri allevamenti, e il veterinario aziendale, nell’inconsapevolezza, si è mosso sul territorio. Questo ha generato almeno 8 focolai ed è stato l’innesco dell’epidemia sul territorio regionale“, spiega il direttore generale welfare di Regione Lombardia.

Peste suina, la mappa dei contagi

Dai dati riportati da Il Giorno, al 29 agosto, risultano in Lombardia 17 focolai di peste suina, tra Pavia, Lodi e Milano, per un totale di 58.656 capi di maiali coinvolti. “Con i recenti focolai lodigiani – commenta il responsabile scientifico di Legambiente Lombardia, Damiano Di Simone – il virus è ormai a un passo dal divampare nel cuore della grande porcilaia lombarda. Con i suoi 4,5 milioni di capi allevati tra le province di Cremona, Brescia e Mantova”.

Animalisti contro gli abbattimenti di cinghiali e maiali, a causa di focolai di peste suina tra Piemonte e Liguria nel 2022. Foto Ansa/Luca Zennaro

Dopo gli otto nuovi focolai individuati tra fine luglio e inizio agosto – 6 fra Trecase (Novara), Besate e Vernate (Milano), Mortara e Gambolò (Pavia), Ponte dell’Olio (Piacenza) – ora l’allarme è scattato in tre allevamenti della provincia di Lodi. Ossia a Vigarolo di Borghetto, Marudo e Sant’Angelo Lodigiano, una trentina di chilometri a sudest di Milano. Vicino alla provincia di Pavia già pesantemente colpita dai cinghiali infetti che pullulano lungo l’Appennino.

In totale, queste strutture ospitano 5.500 capi. Sono saliti così a 159 i Comuni italiani (in 8 regioni) con almeno una positività accertata. In Piemonte, dopo i 3 allevamenti in provincia di Novara, uno a Vinzaglio e due a Trecate, è emerso un altro caso a Lignana (Vercelli). Da segnalare che la peste suina in Lombardia può rappresentare un danno economico a parecchi zeri, considerando che qui si alleva il 40% dei suini d’Italia: 30 miliardi di reddito per la mancata esportazione.