Perù, addio a Fujimori: l’ex presidente è morto a 86 anni
Portò una lotta senza quartiere contro Sendero Luminoso ma i suoi uomini compirono gravissime violazioni dei diritti umani
Alberto Fujimori, ex presidente del Perù, è morto all’età di 86 anni. La notizia è stata confermata il 12 settembre 2024. Si tratta di una delle figure più controverse della storia politica latinoamericana. Fujimori, che aveva guidato il Paese tra il 1990 e il 2000, è stato protagonista di eventi cruciali nella recente storia del Perù. Fra cui la lotta contro il terrorismo marxista di Sendero Luminoso e la sua successiva caduta dovuta a scandali di corruzione e violazioni dei diritti umani.
Chi era Alberto Fujimori
Alberto Fujimori, figlio di immigrati giapponesi, emerse come un outsider nella politica peruviana quando vinse le elezioni presidenziali del 1990 contro lo scrittore Mario Vargas Llosa. In un periodo di forte instabilità economica e sociale, Fujimori riuscì a guadagnarsi la fiducia della popolazione promettendo riforme drastiche.
La sua presidenza è nota per la sua lotta contro l’inflazione galoppante. Così come per le politiche di austerità adottate su consiglio del Fondo Monetario Internazionale. Tuttavia, la sua figura divenne davvero prominente per il modo in cui affrontò la minaccia del gruppo terroristico Sendero Luminoso, che aveva terrorizzato il paese con atti di violenza e sabotaggio.
Ascesa e caduta di un presidente
Sotto la guida di Fujimori, il Governo peruviano lanciò una campagna feroce contro il terrorismo. Con il supporto delle forze armate, riuscì a catturare il leader di Sendero Luminoso, Abimael Guzmán, nel 1992, infliggendo un duro colpo all’organizzazione. Questo evento gli garantì un ampio consenso popolare, ma la sua amministrazione fu segnata da metodi brutali che portarono a gravi violazioni dei diritti umani.
Le operazioni antiterrorismo di macchiarono di esecuzioni, torture e sparizioni forzate di sospetti militanti del terrorismo. Ma non solo. Una delle accuse più gravi riguarda la sterilizzazione forzata di migliaia di donne indigene nell’ambito di una controversa campagna di controllo della popolazione, che segnò per sempre la sua eredità politica.
Declino e fuga in Giappone
Mentre la sua prima presidenza fu segnata da successi economici e dalla sconfitta dei terroristi, il secondo mandato di Fujimori vide un aumento del malcontento. Scandali di corruzione travolsero il suo Governo, culminando nel famoso caso del suo braccio destro, Vladimiro Montesinos, coinvolto in traffici illeciti e corruzione. Di fronte a uno scandalo crescente, Fujimori fuggì in Giappone nel 2000, presentando le dimissioni via fax.
Il Giappone gli concesse asilo politico in virtù delle sue origini familiari, ma il governo peruviano avviò un processo di estradizione. Dopo anni di esilio, Fujimori fu arrestato in Cile nel 2005 e successivamente estradato in Perù, dove finì sotto processo per una serie di crimini, tra cui violazioni dei diritti umani e corruzione.
La prigionia di Fujimori
Nel 2007, Fujimori fu condannato a 25 anni di prigione per le atrocità durante il suo Governo, compresi i massacri di Barrios Altos e La Cantuta, dove decine di civili furono uccisi dalle forze speciali. La sua incarcerazione fu un evento spartiacque nella politica peruviana, con la popolazione divisa. C’era chi vedeva in lui un salvatore e chi lo considerava un dittatore. Nel 2017 il presidente Pedro Pablo Kuczynski concesse a Fujimori un controverso indulto per motivi di salute, suscitando proteste in tutto il Perù. Tuttavia, nel 2018, la Corte Suprema revocò l’indulto, ordinando che Fujimori scontasse il resto della sua pena.