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TFR e Fondo Pensione: qual è più conveniente?

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Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) rappresenta una parte fondamentale della retribuzione dei lavoratori italiani. Ogni anno il datore di lavoro lo accantona e può essere lasciato in azienda o destinato a un fondo pensione. Questa decisione non è da sottovalutare, poiché può influenzare significativamente il montante previdenziale che il lavoratore riceverà al termine della carriera lavorativa. Quali sono le differenze tra le due opzioni e quale conviene di più?

Il TFR: cos’è e come funziona

Il TFR è una somma di denaro che il datore di lavoro accantona per ogni dipendente, pari a una percentuale dello stipendio annuale. Questo importo viene solitamente liquidato alla fine del rapporto lavorativo, sia per pensionamento che per dimissioni o licenziamento. Se il TFR rimane in azienda, il suo rendimento è fissato per legge: l’importo cresce con un tasso pari all’1,5% annuo più il 75% dell’inflazione. In questo modo si garantisce una crescita modesta ma sicura. Tuttavia, negli ultimi anni, i rendimenti sono stati inferiori rispetto a quelli offerti dai fondi pensione.

Foto Ansa/Massimo Percossi

Fondo Pensione, in cosa consiste

I fondi pensione sono strumenti di previdenza complementare che offrono ai lavoratori un’opzione per incrementare il proprio montante pensionistico. Quando si decide di destinare il proprio TFR a un fondo pensione, i contributi si investono in mercati finanziari, con l’obiettivo di ottenere rendimenti superiori rispetto al TFR che resta in azienda.

I fondi pensione sono suddivisi in diverse categorie di rischio, che vanno dai comparti garantiti (con minori rischi ma rendimenti più bassi) ai comparti azionari. Questi ultimi offrono potenziali guadagni più elevati ma con una maggiore esposizione alle fluttuazioni dei mercati finanziari. Secondo recenti studi, i fondi pensione hanno registrato rendimenti annuali superiori al 3-5%, ben oltre il rendimento del TFR mantenuto in azienda.

Al centro, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Foto Ansa/Mef

TFR e Fondo, differenze fondamentali

Quando si tratta di decidere tra lasciare il TFR in azienda o trasferirlo a un fondo pensione, è importante considerare vari fattori:

  • Rendimento. Come anticipato, i fondi pensione offrono rendimenti generalmente superiori rispetto al TFR lasciato in azienda. Questo può fare una grande differenza nel lungo termine, soprattutto per i lavoratori giovani che possono permettersi di assumere un rischio maggiore.
  • Liquidità: Il TFR in azienda può essere richiesto in anticipo in determinate circostanze. Ad esempio, per l’acquisto della prima casa. Mentre i fondi pensione hanno limiti più stringenti per il prelievo anticipato.
  • Fiscalità: I rendimenti dei fondi pensione beneficiano di una tassazione agevolata, con un’aliquota che varia dal 15% al 9% a seconda degli anni di adesione. Al contrario, il TFR lasciato in azienda è soggetto a un’aliquota fiscale più elevata, che può arrivare al 23%.
  • Rischio: Mentre il TFR in azienda offre una crescita costante ma contenuta, i fondi pensione sono esposti ai rischi di mercato. Tuttavia, il rischio può essere modulato scegliendo comparti più conservativi o più aggressivi, a seconda del proprio profilo di rischio e dell’orizzonte temporale.

Il silenzio-assenso

Una recente proposta del governo potrebbe introdurre l’automatismo per il trasferimento del TFR nei fondi pensione tramite il meccanismo del “silenzio-assenso“. Questo significa che, se un lavoratore non esprime esplicitamente la volontà di mantenere il proprio TFR in azienda, questo verrà automaticamente destinato a un fondo pensione. Tale misura è volta a incentivare la previdenza complementare e a garantire rendimenti più elevati ai lavoratori. Tuttavia, questa proposta ha suscitato preoccupazioni tra i sindacati, che temono che i lavoratori possano perdere il controllo sui propri risparmi senza una corretta informazione.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore. Segui Domenico su Facebook Segui Domenico su Linkedin

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