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Migranti naufraghi ‘sequestrati’: chiesti 6 anni per Salvini. Lui ribatte: “Ho difeso l’Italia”

Invece secondo la procura di Palermo nel 2019 ha impedito lo sbarco di 147 persone salvate dalla morte dai soccorritori di Open Arms

Alla fine di una requisitoria di 7 ore, i pm di Palermo hanno chiesto di condannare a 6 anni di carcere Matteo Salvini, ministro dei Trasporti. L’accusa è di avere impedito lo sbarco a Lampedusa di 147 migranti quando era ministro degli Interni nel Governo Conte, 5 anni. Per la procura del capoluogo siciliano Salvini ha commesso il reato di averli di fatto messi sotto sequestro a bordo della nave spagnola Open Arms.

Richiesta che ha avuto un effetto dirompente nel mondo della politica. “Mi dichiaro colpevole di avere difeso l’Italia e gli italiani, mi dichiaro colpevole di avere mantenuto la parola data” il commento di Salvini. Che aggiunge: “Mai nessun Governo e mai nessun ministro nella storia è stato messo sotto accusa e processato per avere difeso i confini del proprio Paese“. L’accusa dei pm di Palermo non riguarda però i confini dell’Italia ma la violazione dei diritti umani e civili di 147 naufraghi salvati dalla morte a opera di un’imbarcazione di soccorso in mare.

Salvini processo open Arms migranti
Foto Ansa/X Matteo Salvini

Salvini, la solidarietà di Meloni

Al suo fianco la premier Giorgia Meloni. “Trasformare in un crimine il dovere di proteggere i confini italiani dall’immigrazione illegale è un precedente gravissimo, la mia totale solidarietà al ministro Salvini“. Presa di posizione fortemente criticata dall’opposizione. Ma a Salvini è arrivato addirittura l’endorsement di Elon Musk: “Quel pazzo pubblico ministero dovrebbe essere lui quello che va in prigione per sei anni, questo è pazzesco“.

Proprio secondo i pm di Palermo, Salvini avrebbe agito nel 2019 non per una strategia concordata col Governo Conte, come invece sostiene la difesa, ma per l’interesse ad aumentare il proprio consenso elettorale facendo leva sulla lotta all’immigrazione clandestina. Secondo l’accusa, non c’era alcun pericolo di terrorismo a bordo della nave e dunque non c’era alcuna necessità di proteggere la sovranità dello Stato. Inoltre, le condizioni dei migranti per quell’azione si aggravarono di giorno in giorno.

Per motivare la richiesta di condanna, il pm Marzia Sebella ha sottolineato che “quel diniego (di Salvini, ndr.) consapevole e volontario ha leso la libertà di ognuna delle 147 persone e non c’era ragione“. Quindi un pensiero ai migranti, “i grandi assenti in questo processo. Non ci sono state le persone offese, la maggior parte di loro è irreperibile, ma non perché siano clandestini o criminali, magari perché una casa non ce l’hanno. Leggeremo a uno a uno i nomi di queste persone per ricordarle“.

Open Arms è una ong spagnola soccorre i migranti in mare
Foto X @fattoquotidiano

La replica dell’accusa

Parole apprezzate da Oscar Camps, fondatore di Opem Arms: “Siamo emozionati“. Di tutt’altro tenore l’avvocato Giulia Bongiorno: “Basta esaminare gli atti, e non fare ipotesi e teoremi, per rendersi conto che durante tutto il processo c’è stata la correttezza dell’operato di Salvini e la massima attenzione alla salute dei migranti“.

Il sostituto procuratore Geri Ferrara, assieme alla collega Giorgia Righi, ha affermato che non si tratta di “un processo politico” perché “è pacifico che qui di atto politico non c’è nulla“. Si valutano “atti amministrativi come il ritardo o la negazione” del porto assegnato per sbarcare. “L’elemento chiave” per l’accusa “è stato quando Salvini ha assunto il ruolo di ministro” e “ha spostato le decisioni sulla gestione degli sbarchi e del rilascio dei pos dal Dipartimento libertà civili e immigrazione al suo ufficio di gabinetto“. Sulla vicenda Open Arms nel corso del procedimento, come si ricorderà, fu chiamato in causa anche il celeberrimo attore Richard Gere.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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