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Industria tessile tossica: l’uso di sostanze chimiche e coloranti

Non solo Shein, ma l'intera industria tessile moderna ricorre all'uso di sostanze chimiche tossiche.

L’industria tessile non è più quella di una volta. E non si tratta solo di un luogo comune. Chi acquista oggi un maglione prodotto dalle multinazionali dell’abbigliamento si è rassegnato al fatto che non durerà molto a lungo rapportato a quello dei propri nonni. Ma il problema oggi non riguarda più soltanto la resistenza dei tessuti, ma anche la qualità e la tossicità dei capi che indossiamo. Diventati pericolosi non solo per l’ambiente ma per la salute umana.

Industria tessile/ FOTO ANSA

Lo sviluppo e l’introduzione intorno a metà Novecento, in pieno boom del consumismo, di fibre sintetiche, ha via via cambiato drasticamente le cose. Il risultato è stato una riduzione sostanziale dei costi di produzione e quindi del prezzo finale del capo, ma a scapito della durata e della tossicità nonché della qualità dei tessuti. Recentemente il marchio made in China, Shein, ha destato scalpore per la presenza di sostanze cancerogene nei suoi prodotti. Ma non dobbiamo affatto crogiolarci sugli allori. Non si tratta infatti di un caso isolato ai prodotti made in China, ma di un problema che riguarda l’intera filiera produttiva del tessile. Dove non necessariamente il prezzo è sinonimo di qualità.

Industria tessile oggi: l’uso di coloranti e PFAS

Le allergie alle sostanze chimiche sono ormai un problema crescente in Europa e nel mondo. E sono in particolare i nostri vestiti a essere sotto accusa. Che spesso nascondono sostanze tossiche che entrano a contatto per periodi prolungati con la nostra pelle, causando così dermatiti, eczemi e altre patologie dell’epidermide. Secondo un recente studio commissionato dalla UE, la maggior parte delle reazioni allergiche segnalate sarebbe causata dai coloranti presenti negli abiti, che sono presenti sulla struttura del tessuto e facilmente strofinati sull’epidermide. Ma negli ultimi anni, sarebbero i cosiddetti PFAS (sostanze perfluoroalchiliche) ad essere diventati un tema di crescente preoccupazione nell’industria tessile e dell’abbigliamento.

Produzione/ FOTO ANSA

Questi composti chimici, utilizzati per le loro proprietà idrorepellenti e antimacchia, sono stati collegati a gravi rischi per la salute umana e l’ambiente. E sono comunemente utilizzati per produrre abbigliamento sportivo, abbigliamento per bambini, abbigliamento di lusso, tappeti, materassi e divani. Da danni al fegato, all’aumento del rischio di asma e di malattie della tiroide, nonché tumori alla prostata, ai reni e ai testicoli e una riduzione della fertilità. Le sostanze chimiche PFAS vengono facilmente liberate dai prodotti e diffuse nell’ambiente, perché sono altamente persistenti e volatili. Infine sono bioaccumulabili e tossiche, perché non si decompongono nell’ambiente, tanto da essere soprannominate “sostanze chimiche eterne”. Queste sostanze presenti sui tessuti e gli indumenti, riescono facilmente a penetrare e accumularsi nel nostro corpo attraverso la pelle quando tocchiamo queste superfici, oppure attraverso il sistema respiratorio.

Questo modello di globalizzazione non ha favorito il progresso

Sia Stati Uniti che Unione Europea hanno iniziato a muovere i primi passi, monitorando i produttori dell’industria tessile, che sono tenuti a segnalare e rispettare una certa quantità di PFAS. Ma nonostante le normative più o meno rigide, il problema sussiste. In un mondo infatti dove la maggior parte dei capi, brand di lusso e non, viene prodotta all’estero e importata in Italia e in Europa. è naturale che i tessuti finiscano per non essere soggetti allo stesso regolamento. Infatti se una sostanza chimica è vietata in Europa ma non lo è affatto in Indonesia, può tranquillamente essere utilizzata. Per poi finire commercializzata in Italia. Nemmeno l’etichetta Made in Italy dunque è effettivamente una garanzia, perché presuppone solamente che almeno uno dei processi produttivi avvenga in Italia.

Catena di produzione/ FOTO ANSA

L’industria tessile è solo l’ennesimo campanello d’allarme di un sistema economico che da decenni, non solo ha smesso di essere sostenibile. Viaggiando a ritmi di consumo surreali. Ma che ha perso di vista concetti chiave come la tutela della salute umana, dell’ambiente, e della genuinità del prodotto. Le catene produttive infinite, con Paesi in cui vigono quadri normativi agli antipodi, se da una parte hanno consentito l’accesso a un’ampia gamma di prodotti a basso costo. Dall’altra hanno reso quasi impossibile il rispetto delle norme fondamentali a tutela del consumatore. Con il risultato che la qualità e la sicurezza del nostro cibo, dei nostri vestiti, dei materiali, non è minimamente paragonabile a quella di soli 60 anni fa. Pasolini scriveva che vi era una differenza sostanziale fra sviluppo e progresso. Il primo era il potenziamento di una dimensione, mentre il secondo coincideva con “lo star meglio della popolazione”. Come può definirsi questo crollo della qualità della vita progresso?

Chiara Cavaliere

Attualità, Spettacolo e Approfondimenti

Siciliana trapiantata nella Capitale, dopo la maturità classica ha coltivato la passione per le scienze umane laureandosi in Scienze Politiche alla Luiss Guido Carli. Senza mai abbandonare il sogno della recitazione per cui ha collaborato con le più importanti produzioni cinematografiche italiane tra cui Lux Vide, Lotus e Italian International Film.
Si occupa di attualità e degli approfondimenti culturali e sociali di MAG Life, con incursioni video. Parla fluentemente inglese e spagnolo; la scrittura è la sua forma di attivismo sociale. Il suo mito? Oriana Fallaci.

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