Ferrara e Travaglio, durissima polemica sull’antisemitismo
Il direttore del Foglio ha contestato il collega del Fatto per vignette satiriche contro Netanyahu a suo dire ingiustificabili
Una forte controversia è esplosa in questi giorni tra Giuliano Ferrara e Marco Travaglio, due personalità di spicco nel panorama giornalistico italiano. La disputa ha preso piede in seguito a commenti e dichiarazioni che hanno coinvolto temi delicati legati alla comunità ebraica, scatenando un acceso dibattito mediatico.
Ferrara, comunista in gioventù ma da lunghi anni conservatore e fondatore del quotidiano Il Foglio, ha duramente criticato le posizioni di Marco Travaglio, direttore de Il Fatto Quotidiano. Al centro della disputa gli ebrei e l’antisemitismo, con tutte le conseguenze e interpretazioni sul piano storico e politico attuale. Travaglio, dal canto suo, si è difeso dalle accuse di Ferrara sostenendo di non aver mai espresso posizioni antisemite. Per Ferrara, infatti, il Fatto ha pubblicato vignette satiriche contro il premier israeliano Benjamin Netanyahu che in realtà erano soltanto vignette razziste, antisemite e cariche di odio verso gli ebrei.
L’attacco di Ferrara
La controversia è iniziata con un editoriale di Giuliano Ferrara pubblicato su Il Foglio, in cui il giornalista ha attaccato apertamente Travaglio, accusandolo di avere una posizione ambigua riguardo alla questione ebraica e di non prendere abbastanza le distanze da argomenti che potrebbero essere interpretati come antisionisti o, in alcuni casi, antisemiti.
Ferrara ha definito le posizioni di Travaglio “pericolose” e “fuorvianti“. E ha sottolineato che in un contesto storico e politico complesso come quello del Medio Oriente e, più in generale, della percezione dell’ebraismo in Italia, sarebbe fondamentale mantenere chiarezza nelle proprie dichiarazioni pubbliche.
La risposta di Travaglio
La risposta di Marco Travaglio non si è fatta attendere. In un lungo articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano, Travaglio ha rigettato le accuse di Ferrara, affermando che il suo intento non era mai stato quello di offendere la comunità ebraica. E neppure di assumere posizioni critiche verso l’ebraismo in sé. Travaglio ha ribadito di aver sempre condannato fermamente ogni forma di antisemitismo, specificando che la sua analisi riguardava esclusivamente le dinamiche geopolitiche del Medio Oriente. Il direttore del Fatto ha sottolineato la necessità di distinguere tra critiche legittime verso lo Stato di Israele e il diffondersi di pregiudizi antisemiti.
La disputa ha generato un’ampia discussione sia tra i lettori dei due quotidiani, sia all’interno della comunità ebraica italiana, che ha espresso posizioni divergenti riguardo alla polemica. Alcuni membri della comunità hanno appoggiato Ferrara, condividendo il timore che il dibattito pubblico in Italia stia sfumando verso pericolose ambiguità che potrebbero alimentare l’antisemitismo. Altri, invece, hanno manifestato comprensione per Travaglio, riconoscendo che è possibile criticare la politica di Israele senza mettere in discussione l’identità ebraica o promuovere pregiudizi.
Il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI) è intervenuto per cercare di calmare le acque, dichiarando che il dialogo e la comprensione reciproca sono fondamentali in momenti come questo. La disputa tra Ferrara e Travaglio ha evidenziato una delle problematiche centrali nel dibattito pubblico italiano: il confine sottile tra critica politica e intolleranza religiosa o etnica. In un mondo sempre più polarizzato, la capacità di distinguere tra un’analisi critica delle politiche di uno Stato e le accuse di pregiudizio verso una comunità è diventata un terreno scivoloso.