NewsPrimo piano

Alessandro Giuli, non si placa la polemica sul tatuaggio dell’aquila

Il neo ministro della Cultura afferma che si tratta di un simbolo personale e avulso da ogni ideologia. Ma a molti il richiamo al fascismo appare evidente

Negli ultimi giorni, il nome di Alessandro Giuli è stato al centro dell’attenzione mediatica non solo per il suo lavoro come giornalista, ma per una polemica inaspettata scaturita da un tatuaggio. L’immagine in questione raffigura un’aquila, un simbolo che in Italia evoca molteplici significati e che ha diviso l’opinione pubblica tra chi lo ritiene innocuo e chi lo associa a un passato storico delicato.

Un simbolo che divide

L’aquila, come simbolo, ha un forte impatto visivo e storico. Per alcuni rappresenta la maestosità e la forza, ma per altri è collegata a periodi storici controversi, in particolare al fascismo. In Italia, infatti, il simbolo dell’aquila è stato utilizzato in modo prominente durante il ventennio fascista, in particolare nell’iconografia del regime di Mussolini. Questo ha portato alcuni critici a interrogarsi sulle reali intenzioni dietro la scelta di Giuli, accusandolo di voler riabilitare simboli legati a quell’epoca.

Alessandro Giuli ministro Cultura
Foto Ansa/Ciro Fusco

Alessandro Giuli ha dichiarato che il suo tatuaggio non ha nessuna valenza politica e che è legato piuttosto a un significato personale e artistico. Tuttavia, le spiegazioni del giornalista non sono bastate a placare le critiche, soprattutto in un contesto culturale e politico così sensibile come quello italiano. La polemica, infatti, si è rapidamente amplificata sui social network, dove molti utenti hanno espresso le proprie opinioni contrastanti.

La difesa di Giuli

Giuli, noto per il suo stile provocatorio e spesso controcorrente, non è nuovo a controversie mediatiche. In risposta alla polemica, ha rilasciato diverse dichiarazioni in cui ha ribadito di non avere alcuna simpatia per ideologie estremiste o per il fascismo. Ha anche sottolineato come il tatuaggio sia stato scelto esclusivamente per il suo valore estetico e simbolico, associato alla libertà e alla potenza dell’aquila come animale.

Questo tatuaggio rappresenta per me qualcosa di intimo” ha spiegato Giuli in un’intervista recente. “Non ha niente a che fare con la politica. È un simbolo che richiama la forza e la libertà, due concetti che ho sempre apprezzato nella mia vita e nella mia carriera.” Nonostante queste parole, la polemica non accenna a diminuire, e molti critici continuano a ritenere inopportuna la scelta di un simbolo così carico di storia.

Alessandro Giuli attentato Israele cerimonia
Il ministro cella Cultura, Alessandro Giuli, durante la cerimonia commemorativa a Roma a un anno dall’attentato terroristico del 7 ottobre in Israele. Foto Ansa/Ettore Ferrari

Reazioni del pubblico e della stampa

Le reazioni all’interno della stampa italiana e sui social media sono state variegate. Da una parte, ci sono quelli che difendono Giuli, vedendo la polemica come esagerata e frutto di una cultura ipersensibile. Alcuni opinionisti hanno sottolineato che il diritto di ogni individuo di esprimersi attraverso i tatuaggi non dovrebbe essere limitato, purché non vi siano messaggi espliciti di odio o violenza.

Dall’altra parte, ci sono giornalisti e critici che hanno messo in guardia sull’uso disinvolto di certi simboli, specialmente in una società come quella italiana, dove il ricordo del fascismo è ancora vivo e dove il dibattito su temi come il revisionismo storico è sempre acceso. Per questi critici, il tatuaggio di Giuli è visto come un atto insensibile, che rischia di riaprire ferite storiche mai del tutto rimarginate.

Caso Giuli, dibattito sul simbolismo

Al centro di questa polemica c’è una discussione più ampia sul simbolismo e sul significato che certi segni assumono nel contesto pubblico. In un’epoca in cui i simboli sono costantemente riappropriati e reinterpretati, è sempre più difficile separare l’estetica dall’ideologia. Il caso di Alessandro Giuli riporta alla luce una questione delicata: fino a che punto i simboli possono essere decontestualizzati senza perdere il loro significato originale? E in che misura una figura pubblica deve essere consapevole del peso delle proprie scelte estetiche?

 

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

Pulsante per tornare all'inizio