La Russia ha emesso un ordine di arresto in contumacia nei confronti di due giornalisti italiani della Rai, Stefania Battistini e Simone Traini. Entrambi sono accusati di essere entrati illegalmente in Russia durante il loro lavoro di reportage sulla guerra in Ucraina, in particolare nella regione di Kursk, una zona di confine contesa tra le forze ucraine e russe.
L’accusa e l’ordine di estradizione
Il tribunale della regione di Kursk ha sostenuto che i due giornalisti abbiano attraversato il confine russo accompagnati da militari ucraini. In seguito, si sarebbero diretti verso la città di Soudja, sotto controllo ucraino. Secondo il tribunale, Battistini e Traini sono entrati in Russia in violazione delle leggi nazionali, un’accusa che potrebbe comportare una pena fino a 5 anni di reclusione.
La corte ha chiesto anche l’estradizione dei due giornalisti, attualmente in Italia, e ha inserito i loro nomi nella lista delle persone ricercate dalla Federazione Russa. Nonostante la loro assenza dal territorio russo, la richiesta di estradizione è vista come un segnale forte delle tensioni tra Mosca e i media occidentali.
Battistini e Traini, le reazioni in Italia
Il Governo italiano e le istituzioni giornalistiche hanno risposto con durezza. L’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, ha definito l’accusa una “provocazione inaccettabile” e ha chiesto una presa di posizione del Governo italiano contro quella che ritengono un’intimidazione alla libertà di stampa. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha condannato l’iniziativa russa, ribadendo il pieno sostegno ai giornalisti italiani coinvolti e l’importanza della libertà di informazione, specialmente in un contesto di conflitto come quello ucraino.
Un quadro più ampio
Questo caso si inserisce in un contesto di crescente tensione tra Russia e Occidente. Da mesi, Mosca accusa i giornalisti stranieri di lavorare come “strumenti” della propaganda occidentale e di collaborare con le forze ucraine. In particolare, i media russi hanno attribuito ai giornalisti occidentali un ruolo attivo nel sostenere le operazioni militari dell’Ucraina nella regione di Kursk, rendendo il lavoro di corrispondenti come Battistini e Traini particolarmente rischioso.
La vicenda richiama alla memoria altri episodi di frizioni diplomatiche tra Mosca e le nazioni europee, che coinvolgono spesso giornalisti e diplomatici. La guerra in Ucraina ha ulteriormente polarizzato i rapporti, e la repressione dei media internazionali da parte della Russia sembra essersi intensificata. Stefania Battistini è stata una delle prime a documentare l’offensiva ucraina nella regione di Kursk, e questo l’ha posta al centro di una controversia geopolitica che va ben oltre il suo ruolo di cronista.
Il caso resta in evoluzione, e si attende una risposta formale da parte del Governo italiano. Nel frattempo, il lavoro dei giornalisti in zone di conflitto come l’Ucraina rimane cruciale per garantire un’informazione libera e indipendente. Anche e soprattutto di fronte a intimidazioni legali come quelle che stanno affrontando Stefania Battistini e Simone Traini.
Immediatamente dopo l’annuncio russo della messa in stato d’accusa dei due cronisti Rai, alla metà di settembre, il Governo italiano aveva reagito con fermezza. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha convocato l’ambasciatore russo a Roma, chiedendo spiegazioni e condannando l’accusa come un atto di intimidazione verso i giornalisti. La Rai ha rilasciato una nota per difendere Battistini e Traini e sottolineando che la giornalista stava semplicemente esercitando il suo diritto all’informazione e alla cronaca indipendente.
Di fronte alle crescenti minacce, la Rai aveva perciò deciso di richiamare Battistini e Traini in Italia per garantirne la sicurezza. L’amministratore delegato della Rai, Roberto Sergio, ha dichiarato che il ritorno era necessario per tutelare l’incolumità del personale. Questo non ha però fermato le tensioni diplomatiche, che restano alte tra Italia e Russia.