Lina Botero: “Da una mandolina nacque l’amore di mio padre per i volumi”
La figlia di Fernando Botero, a capo della Fondazione Fernando Botero, si racconta in un'intervista esclusiva a VelvetMAG
La passione per l’arte e per il design, l’amore per la famiglia, ma anche dei grandi dolori. Lina Botero, l’affascinante e solare figlia di Fernando Botero, racconta il suo illustro padre, il geniale pittore scomparso lo scorso anno.
In occasione della mostra di Botero a Roma a Palazzo Bonaparte, visitabile fino al 19 gennaio 2025, ed il successivo happening inaugurale a Palazzo Colonna, nella settecentesca Coffee House, incontriamo Lina Botero per un’intervista esclusiva a VelvetMAG.
Lina Botero, intervista esclusiva VelvetMAG
Con questa esposizione nella Capitale celebra suo padre ad un anno esatto dalla sua morte. Che emozioni ha provato nell’organizzazione di questa retrospettiva?
È stato un anno molto difficile dalla scomparsa di mio padre, ma mi sento soddisfatta del lavoro che ho svolto quest’anno per quanto riguarda il suo lascito. Le due esposizioni che abbiamo organizzato a Roma, sia la mostra di sculture monumentali nelle piazze più iconiche del centro, aperta a inizio luglio, sia questa importantissima mostra a Palazzo Bonaparte, hanno riscosso un grande successo in termini di entusiasmo del pubblico. Sono particolarmente felice di essere riuscita a includere in questa ultima esposizione una serie di dipinti che non erano mai stati visti prima, come l’”Omaggio a Mantegna”, questa versione di “La Menina” che non era mai uscita dallo studio di mio padre a Parigi, e il bellissimo ritratto a pastello di Pedrito.
L’Italia ha sempre accompagnato e scandito la vita di suo padre, a cui era stata persino data la cittadinanza onoraria di Pietrasanta. Da cosa era affascinato il Maestro del nostro Paese? Che rapporti aveva con l’Italia?
L’Italia era in molti modi la “seconda patria” di mio padre. Venne qui per la prima volta come giovane studente nel 1952, a soli vent’anni, e si innamorò dei dipinti del Quattrocento e di alcuni degli artisti più importanti di quel periodo: Piero della Francesca e Paolo Uccello. Fu grazie alle loro opere che riuscì a razionalizzare la sua innata fascinazione per il volume e a comprenderne l’importanza nella storia dell’arte. Sebbene il tema della sua opera si concentri principalmente sui ricordi della sua infanzia in America Latina, il suo linguaggio artistico è profondamente influenzato dai grandi maestri di quel tempo.
“Molti anni dopo, nel 1973, mio padre iniziò a lavorare con la scultura“
Fu una naturale conseguenza del suo stile volumetrico. Dieci anni dopo, all’inizio degli Anni Ottanta, arrivò per la prima volta a Pietrasanta, in Toscana, dove scoprì la qualità del lavoro delle fonderie di bronzo e delle marmorerie che si trovano li. Decise quindi di acquistare una casa e stabilire uno studio, dove lavorò alla scultura durante le estati per più di quarant’ anni. È diventato anche il luogo di incontro di tutta la famiglia. Le sue ceneri, così come quelle di sua moglie Sophia Vari, riposano per sempre nel bellissimo cimitero di Pietrasanta.
Cosa spingeva suo padre a creare queste figure così suggestive e dall’inconfondibile rotondità?
Per mio padre, la bellezza e la sensualità nell’arte risiedevano nell’esaltazione del volume, e proprio questa esaltazione lo portò a spingersi a un limite senza precedenti nella storia dell’arte. Il suo è un universo di volume, dove ogni frutto, personaggio, animale e paesaggio sono dipinti con la stessa intenzione e con lo stesso gesto.
Da dove proviene il fascino del volume?
Mio padre non riuscì mai a spiegare completamente la sua quasi innata fascinazione per il volume, che si manifestava già nelle sue prime opere, come le acquerelli dipinte a diciassette anni, quando non aveva ancora mai lasciato Medellín, la sua città natale in Colombia. Il suo incontro con la pittura del Quattrocento in Italia gli permise di comprendere l’importanza del volume, la sensualità e il piacere che esso comunica. Tuttavia, non fu fino a qualche anno più tardi, nel 1956, quando viveva già in Messico, da poco sposato con mia madre, che una notte, mentre lavorava nel suo studio, disegnò una mandolina.
Nel tracciare il foro di risonanza, lo fece piccolo, e in quel momento avvenne per lui un piccolo miracolo su carta. La forma gli parve esplodere in monumentalità, e capì in quel momento che aveva scoperto qualcosa di importante per lui, la risposta a una ricerca che portava avanti da tempo. Questo fu il seme di quello che sarebbe diventato il suo stile, unico e originale, oggi riconosciuto universalmente.
Qual è l’impegno morale e personale che comporta l’eredità artistica di Fernando Botero?
L’eredità artistica di Fernando Botero è una responsabilità enorme, e un impegno che affrontiamo insieme ai miei fratelli con grande piacere, orgoglio e profonda gratitudine per l’esempio di vita che ci ha lasciato. Abbiamo ben chiaro che il nostro dovere è continuare a organizzare mostre delle opere di nostro padre in tutto il mondo. Inoltre, siamo in procinto di creare la Fondazione Fernando Botero e presto inizieremo a lavorare al catalogo ragionato delle sue opere.
C’è ancora qualcosa che suo padre avrebbe voluto fare prima di morire?
Uno dei nostri maggiori motivi di gioia è sapere che mio padre ha realizzato in vita i suoi più grandi desideri, tra cui il dono alla Colombia di due musei importanti che oggi ospitano più di duecentocinquanta delle sue opere, ventiquattro sculture monumentali e l’intera collezione d’arte che ha riunito in oltre trentacinque anni di vita. Diceva spesso che quella era stata la decisione più saggia che avesse mai preso e la più gratificante. Credo che sarebbe stato profondamente commosso dal riconoscimento universale seguito alla sua morte e dalle numerose richieste che abbiamo ricevuto per continuare a esporre le sue opere.
Il grande dolore di Lina Botero
Nel 1974 una tragedia ha segnato la sua esistenza: il terribile incidente in cui perse la vita suo fratello. Quanto la sua vita è cambiata da allora e come?
La morte di mio fratello Pedrito, che aveva solo quattro anni, in un incidente automobilistico in Spagna nel 1974, ha cambiato la vita di tutti noi. Non credo che ci possa essere una tragedia più terribile, e ancora oggi mi chiedo come mio padre e la madre di Pedrito, Cecilia Zambrano, sua seconda moglie, siano riusciti a sopravvivere a quella tragedia. Mio padre si rinchiuse per mesi nel suo studio a dipingere Pedrito. Fu per lui una sorta di catarsi, e alcune delle sue opere più importanti nacquero in quel periodo di tremendo dolore. Io e mio fratello eravamo nell’auto al momento dell’incidente, e i mesi che seguirono furono terribili. Oggi esiste una bellissima sala nel Museo di Antioquia a Medellín, che mio padre donò e che porta il nome di Pedro Botero.
Le passioni e il tempo libero di Lina Botero
Cosa ama fare ?
Sono appassionata di tantissime cose, ma la cosa più importante è la mia famiglia e il lavoro che svolgo e il piacere infinito che provo nel portare avanti il compito di preservare l’eredità artistica di mio padre.
Come trascorre il suo tempo?
Viaggio moltissimo per lavoro, ma anche per la mia famiglia. I miei figli, sposati e a loro volta con figli, vivono tra Parigi e Londra. Trascorro molto tempo tra Monaco e l’Italia, nei diversi studi di mio padre, organizzando le opere e gli archivi che vi sono rimasti. Insieme ai miei fratelli stiamo lavorando per creare il futuro della Fondazione Fernando Botero e affrontare i numerosi progetti che ci attendono.
Può svelarci un suo progetto e un augurio che fa a se stessa per il futuro?
Uno dei miei progetti personali è trasferirmi in Italia nel prossimo futuro. Dopo oltre ventidue anni trascorsi in Messico, il mio lavoro e la mia famiglia mi spingono nuovamente a cambiare i miei piani di vita, e spero di stabilire la mia nuova base in Italia, un paese che amo profondamente.