Il mondo dei commercialisti è in fermento, con lo sciopero indetto in risposta alle modifiche normative introdotte dal governo sul concordato preventivo biennale. A far scattare la protesta – attesa dal 30 ottobre al 7 novembre – è la crescente complessità del nuovo regime fiscale. I professionisti la percepiscono come eccessiva e potenzialmente dannosa. La categoria accusa il sistema di sovraccaricarli con scadenze irrealistiche. E di non fornire un adeguato supporto tecnico per l’adempimento delle nuove regole.
Le ragioni dello sciopero
La decisione di proclamare lo sciopero, che ha coinvolto diverse sigle sindacali dei commercialisti, deriva da una combinazione di fattori. Il concordato preventivo biennale è stato presentato come una soluzione per semplificare la gestione dei debiti fiscali, ma i commercialisti sostengono che le nuove normative impongano obblighi eccessivi. Tra le principali critiche, si evidenzia il problema delle scadenze strette, che rendono difficile rispettare i termini richiesti per aderire al concordato, soprattutto in assenza di strumenti tecnologici adeguati.
Il malcontento nasce anche dall’introduzione di nuove sanzioni penali per errori nella compilazione delle dichiarazioni legate al concordato. Molti commercialisti temono che un semplice errore materiale possa portare a conseguenze legali sproporzionate, aggravando il già pesante carico di lavoro.
Commercialisti, fisco e tecnologia
Un altro nodo cruciale della protesta riguarda l’insufficienza del supporto tecnologico. Le software house, che dovrebbero fornire i programmi per gestire correttamente il concordato preventivo, lamentano che i tempi per sviluppare strumenti adeguati sono troppo stretti. Questo ritardo ha reso ancora più complesso per i commercialisti rispettare le nuove scadenze, con un effetto domino di ritardi e criticità operative.
L’Agenzia delle Entrate, dal canto suo, ha ribadito l’importanza di rispettare il termine fissato del 31 ottobre per l’adesione al concordato, ma la categoria professionale chiede proroghe che possano dare respiro a un sistema considerato poco funzionale e inadatto all’attuale contesto economico. A proclamare lo sciopero sono state 4 principali sigle sindacali dei commercialisti, che rappresentano la maggioranza degli operatori del settore. Tuttavia, la protesta non è appoggiata dall’Ordine nazionale dei commercialisti, che ha preso le distanze dall’iniziativa, preferendo percorrere la via del dialogo con le istituzioni.
Le richieste della categoria
I commercialisti in sciopero chiedono una revisione completa del concordato preventivo biennale, puntando a ottenere una maggiore flessibilità nelle scadenze e una riduzione delle sanzioni previste per errori formali. Al centro delle richieste c’è anche la necessità di implementare un sistema tecnologico più affidabile e adeguato, che permetta ai professionisti di lavorare con strumenti aggiornati e capaci di supportare la complessità delle nuove normative. Il rischio di sanzioni penali è uno degli aspetti più controversi: secondo molti professionisti, una normativa così severa non tiene conto delle difficoltà pratiche del lavoro quotidiano e finisce per scoraggiare l’adesione al concordato, anziché agevolarla.
Le prospettive future
L’esito della protesta dei commercialisti rimane incerto. Il Governo ha finora mantenuto una posizione ferma, insistendo sull’importanza del concordato preventivo come strumento per gestire il debito fiscale. Tuttavia, la pressione esercitata dallo sciopero potrebbe portare a una riapertura del tavolo delle trattative, con la possibilità di ottenere proroghe o modifiche legislative. In attesa di un possibile dialogo tra le parti, i commercialisti continuano a mobilitarsi, sperando di poter ottenere risposte concrete alle loro richieste, che mirano a un sistema fiscale più giusto e sostenibile per tutti i professionisti del settore.