“Avetrana – Qui non è Hollywood”: Ilaria Martinelli è Mariangela Spagnoletti
L'attrice racconta in esclusiva a VelvetMAG la prospettiva del suo personaggio
Il 18 ottobre 2024 la Festa del Cinema di Roma presenta Avetrana – Qui non è Hollywood, la miniserie diretta da Pippo Mezzapesa che affronta uno delitti più cruenti della cronaca nera contemporanea.
È il 26 agosto 2010 quando Concetta Serrano Spagnolo denuncia la scomparsa della figlia quindicenne Sarah Scazzi dal loro pesino in provincia di Taranto, Avetrana. Il 6 ottobre dello stesso anno, in diretta televisiva, la madre apprende del ritrovamento del corpo senza vita della giovanissima vittima. Sono mesi e settimane di grande tumulto in tutta Italia, si tratta di un delitto, un delitto d’agosto, un delitto (come poi si scoprirà) di famiglia. Pippo Mezzapesa ha deciso di di mettere in scena un racconto di questa vicenda di cronaca nera che ancora ha dei tratti oscuri. Una miniserie di quattro puntate presentata alla Festa del Cinema di Roma. Tra gli interpreti anche Ilaria Martinelli nel ruolo di Mariangela Spagnoletti, l’amica del cuore di Sabrina Misseri che ebbe un ruolo rilevante nel processo.
Ilaria Martinelli, attrice di teatro e televisione classe 1992, si racconta ai lettori di VelvetMAG, rivelando il suo punto di vista su una vicenda ancora viva negli occhi e nella testa di tutti gli italiani.
Avetrana ‘entrata’ nella quotidianità
Il 21 febbraio 2017 la Corte Suprema di Cassazione ha definitivamente riconosciuto colpevoli e condannato all’ergastolo, per concorso in omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, Sabrina Misseri e Cosima Serrano, rispettivamente cugina e zia di Sarah Scazzi. Michele Misseri, padre di Sabrina e marito di Cosima, ha ricevuto, invece, la condanna di 8 anni di reclusione per soppressione di cadavere e inquinamento delle prove. Quello di Avetrana è un delitto di famiglia, come accennato in apertura, in cui persone reali con vite reali, si trasformano quasi in personaggi che entrano nella quotidianità di ognuno.
Intervista a Ilaria Martinelli per VelvetMAG
Ilaria, quale è stata la sensazione nel prendere parte a questa delicata narrazione?
Se posso dire di avere una fortuna, questa riguarda il fatto che il mio personaggio è diventato noto al pubblico a seguito della vicenda processuale. Mariangela Spagnoletti, infatti, ha fornito degli elementi che hanno contribuito ad incastrare Sabrina (Sabrina Misseri ndr.). Interpretando un personaggio che sta ai margini della vicenda, ho avuto la possibilità di guardare la storia da una prospettiva diversa. E quindi di non sentirmi totalmente coinvolta nel fatto delittuoso e di poter affrontare la parte più umana del progetto. Tuttavia, questo è sicuramente un fatto di cronaca che ricordo benissimo. Io sono di Bari e ricordo tutti i dettagli della vicenda, pertanto prendere parte a questa narrazione è stato sicuramente forte.
È stato strano anche vedere le persone che giravano attorno al set. Noi non abbiamo potuto girare ad Avetrana, perché il paese si è rifiutato di essere nuovamente accostato a questo evento. Quindi abbiamo girato nei paesini limitrofi e qui mi sono accorta che la popolazione, da un lato, era curiosa di conoscere gli interpreti e, magari, di cogliere le somiglianze con i protagonisti reali, dall’altro lato, c’era chi non voleva proprio venire a contatto con la storia.
Un ruolo ‘ai margini’ ma dai contorni determinanti
In che modo Ilaria è riuscita ad entrare nei panni di Mariangela?
È stato molto interessante perché, non trattandosi di un personaggio molto conosciuto, il regista mi ha lasciato una certa dose di libertà. Io ho cercato di documentarmi attraverso le deposizioni, ma è chiaro che non avevo molti elementi su cui poter lavorare. Pippo Mezzapesa (regista ndr.) mi ha detto ‘Ilaria, io ho bisogno anche di una dose di leggerezza’. Ovviamente, in questi contesti non si può inserire comicità, ma servivano degli elementi che alleggerivano e umanizzavano la vicenda. Un aspetto interessante della serie è che si parlerà poco della vicenda processuale, ma si ci concentrerà soprattutto sui rapporti personali. Infatti, ogni episodio prende il nome dai protagonisti della vicenda: Sara, Sabrina, Cosima e Michele.
È come se la storia fosse guardata da ciascuno di questi personaggi ed è interessante perché, per esempio, si restituisce particolare dignità alla vittima. Del resto, quando queste vicende diventano casi mediatici, il rischio è che ci si può dimenticare della vittima. Attorno alla figura di Sarah, per esempio, si è creata anche un’immagine un po’ falsata e priva di una totale onestà. La serie, al contrario, in qualche modo affronta anche caratteristiche poco conosciute di Sarah: una ragazzina che si stava affacciando all’età adulta e che, come tale, stava attraversando tutte le normali fasi dell’adolescenza. Per cui posso dire che il mio personaggio porta un po’ tutto questo. Questa umanità e questa prospettiva diversa che va un po’ in contrasto con quella che è la linea narrativa della vicenda in sé.
Avetrana e la cronaca nera sul piccolo schermo
Secondo il suo punto di vista, da professionista del settore filmografico e teatrale, qual è lo scopo dietro al desiderio di affrontare fatti cronaca nera sul grande e piccolo schermo?
Da una parte ammetto che c’è una sorta di interesse morboso su quelli che sono i fatti di cronaca nera, io per prima credo di provarlo. Come ci insegnano anche le tragedie greche, i fatti di cronaca nera hanno da sempre rappresentato elementi centrali. Volendo considerare un pregio in particolare di Avetrana – Qui non è Hollywood potrei dire che, pur non dando delle risposte, dona dignità alla vittima e cerca anche di scandagliare l’animo umano.
Siamo spaventati dai casi di cronaca che sembrano non avere un movente. E quando ci sono cose a cui non si riesce ad attribuire una spiegazione, quest’ultime diventano oggetto d’interesse. Raccontare queste storie, quindi, è un modo per provare a dare degli elementi in più, per fare in modo che ciascuno possa costruire la sua idea e, allo stesso tempo, esorcizzare quelle paure che forse tutti abbiamo.
Raccontare la realtà
Nella sua carriera ha interpretato svariati ruoli, le chiedo qual è la differenza nel prendere parte ad un racconto ‘inventato’ rispetto ad una narrazione che affronta fatti realmente accaduti?
Quando devi interpretare un personaggio fittizio gli elementi a disposizione sono quelli presenti nel testo teatrale o nella battute di una sceneggiatura. E quindi in questo caso ti trasformi in una sorta di ‘detective’ che elabora una specie di ‘identikit‘, cercando di carpire un profilo del personaggio. È ovvio che poi ognuno si fa la sua idea, ed è interessante vedere come attori diversi possono interpretare uno stesso personaggio. Andando a teatro, per esempio, si possono vedere venti versioni dell’Amleto tutte differenti tra di loro.
Inoltre, parlando ancora di un personaggio fittizio, è anche costruttivo osservare quali assonanze e quali dissonanze possono esserci con sé stessi. E anche questo è il bello dell’attore, ovvero la possibilità di andare in zone altre. Invece, quando ti trovi ad interpretare un personaggio realmente esistito hai degli elementi in più e quindi si fa tanta ricerca. È chiaro che, nel caso di un personaggio esistito, c’è una dimensione di empatia più forte perché si hanno concretamente dei corrispettivi. Tuttavia, anche quando si affrontano dei testi di finzione si può empatizzare. Anzi, secondo me è tutto lì: l’empatia è alla base del nostro lavoro.
La cronaca contemporanea
E collegandomi alla domanda precedente, in che modo si affronta la narrazione, da attrice, di un fatto che appartiene alla cronaca contemporanea?
Da un certo punto di vista è più facile, perché essendo fatti vicini esistono degli aspetti che si possono comprendere più facilmente, in quanto si tratta di una realtà non troppo distante dalla nostra. Sabrina e Mariangela avevano 22 anni e facevano la vita di ragazze di 22 anni nate, praticamente, quando sono nata io. Ci sono degli aspetti che vanno analizzati, come per esempio cosa significhi vivere in un paese di 2000 anime oggi. Con tutte le dinamiche sociali che lo rappresentano, difficili da capire per chi non ha realmente vissuto quella realtà. Sicuramente c’è una difficoltà legata al fatto che, trattandosi di argomenti così vicini, coinvolgono particolarmente in prima persona, a differenza di un fatto più lontano e più ‘mitizzato’ in cui non ci si può totalmente immedesimare. Il fatto di essere contemporaneo porta con sé tutta la crudezza che esso rappresenta. Avetrana – Qui non è Hollywood tende anche a voler sgomberare la mente da alcuni preconcetti costruiti, facendo un esercizio di realtà e onestà.
Avetrana – Qui non è Hollywood, la critica
Prima di salutarla, le chiederei in che modo risponderebbe, lei, a chi dice che certi argomenti non andrebbero toccati?
Io sono sempre del parere che creare dei tabù non faccia mai bene. Gli argomenti vanno sempre trattati anche quando sono delicati, anzi, a maggior ragione. Perché evidentemente vuol dire che ci sono dei nodi da sciogliere e ci sono delle questioni che ci riguardano molto da vicino. Ovviamente, bisogna capire come affrontarli questi argomenti. La serie si chiama Avetrana qui non è Hollywood, ovvero ‘qui non è set cinematografico‘, ma un posto in cui sono successe delle cose delicate e vanno affrontate con la cura e l’attenzione che meritano.