Alessio Praticò. Segnatevi questo nome e tenete bene a mente il suo volto. Se non lo avete ancora visto, o non lo riconoscete, di sicuro ne sentirete parlare molto, e lo rivedrete spesso. Perchè quando un attore è bravo, talentuoso, umile e disposto a lavorare duro e a sacrificarsi, il successo arriva. Ed è proprio il caso di queste trentatreenne interprete nato a Reggio Calabria, che in quindici anni di carriera (tra teatro, cinema e televisione) ha già avuto modo di lavorare con Marco Bellocchio, Marco Tullio Giordana, Francesco Munzi, solo per citare alcuni tra i registi che lo hanno diretto. Sguardo buono, faccia da bravo ragazzo, modi cortesi e galanti, lo incontriamo subito dopo che ha fatto un provino. “Credo sia andato bene, sono contento” commenta, mentre ci sediamo davanti a caffè per fare quattro chiacchiere a proposito della sua carriera, iniziata a teatro nel 2004 e proseguita con il cinema in film come “Antonia” di Ferrdinando Cito Filomarino, “Lea” di Marco Tullio Giordana e il recente “Lo spietato” di Renato De Maria (tuttora visibile su Netflix).
Alessio di prepara ora ad andare al Festival di Cannes (“non so se ci andrò fisicamente ma il nostro film è presente”) perché è nel cast de “Il traditore”, il film diretto da Marco Bellocchio che ha per protagonista, nei panni di Tommaso Buscetta, Pierfrancesco Favino.
ALESSIO PRATICO’: Il nostro è l’unico film italiano in concorso, in un’edizione in cui gareggiano per la Palma d’oro i film di Pedro Almodovar, Ken Loach, e nella selezione fuori concorso c’è il nuovo lavoro di Quentin Tarantino. Devo ammettere che quando me lo hanno comunicato, non sono stato colto completamente di sorpresa poiché c’erano state delle voci di una nostra possibile partecipazione al Festival di Cannes, ma sono stato comunque felicissimo! Far parte di un progetto e di un lavoro di squadra così grande è stata per me un’esperienza fantastica, anche perché in effetti non ho fatto un provino per la parte, sono stato chiamato direttamente dal regista Marco Bellocchio.
Alessio Praticò è Scarpuzzedda nel film di Marco Bellocchio “Il traditore”, in gara al Festival di Cannes
VELVET: Ci spieghi come è andata? Come è nato il tuo coinvolgimento nel film, nel ruolo di Giuseppe Greco, detto Scarpuzzedda?
AP: Marco Bellocchio vide il film che feci con Marco Tullio Giordana dal titolo “Lea” (pellicola del 2015 che racconta la storia di Lea Garofalo, testimone di giustizia uccisa dall’ex-fidanzato mafioso, ndr). Quando il film fu presentato al Roma Fiction Fest, Bellocchio era seduto proprio dietro di me, quindi si ricordava del mio ruolo e aveva visto anche altre cose che avevo fatto. Fui chiamato dalla mia agenzia che mi disse che voleva incontrarmi; in effetti sapevo che stava facendo degli incontri conoscitivi perché è uno dei maestri del cinema italiano, e prima di fare qualunque tipo di provino vuole conoscere l’essere umano, la persona con cui avrà a che fare. Ero molto emozionato ma andai a incontrarlo e fu una bella chiacchierata. Pensavo mi comunicasse che presto avremmo fatto un provino vero e proprio, e invece mi disse: “Guarda, mi piacerebbe che lavorassimo insieme”. Non volevo crederci! Mi spiegò subito che il film era corale, con tantissimi personaggi che ruotano intorno alla figura di Tommaso Buscetta, e dopo alcune settimane dopo venni informato sul personaggio che dovevo interpretare. Incarno Giuseppe Greco detto Scarpuzzedda, uno dei killer più spietati di Cosa Nostra, e prendo parte in particolare a un paio di scene piuttosto pulp.
VELVET: Che responsabilità si prova a dover incarnare un personaggio realmente esistito, in un film che parla di eventi realmente accaduti?
AP: Il film si propone di essere una biografia di Buscetta, ma un po’ diversa dal solito perché Marco Bellocchio ha voluto lavorare molto sul concetto del tradimento, e lavorare sulla figura del protagonista come il traditore per eccellenza. Buscetta è una figura particolare, ha avuto un’amicizia con il giudice Falcone (non a caso il film esce nelle sale il 23 maggio, anniversario della strage di Capaci), quindi il film è importante e delicato.
Alessio Praticò: “Per il mio ruolo ne “Il traditore” non ho fatto il provino, sono stato scelto da Bellocchio”
VELVET: Nella tua carriera hai avuto modo di dividere il set con attori affermati e popolari. Come è stato lavorare con uno degli interpreti più importanti del cinema italiano contemporaneo, cioè Pierfrancesco Favino?
AP: E’ stata un’esperienza meravigliosa, ho un aneddoto interessante da raccontarti a proposito del nostro incontro. All’inizio del film abbiamo girato una scena in cui c’è una festa e una supplica a Santa Rosalia. Io ero felicissimo di stare sul set, e come sempre cercavo di assorbire tutto con gli occhi, di osservare ogni dettaglio e ogni persona. A un certo punto arriva sul set Favino, mi vede da lontano, si avvicina, si presenta (a me veniva da ridere perché sapevo benissimo chi avevo di fronte quando mi disse “Piacere, Pierfrancesco Favino”!) e mi dice: “Ma io e te ci conosciamo, abbiamo già lavorato insieme”. Io gli rispondo: “No, veramente no, forse abbiamo lavorato con gli stessi registi, ma non abbiamo mai diviso un set”. Lui ribatte: “Ma a me sembra di conoscerti”. Dopo un paio d’ore, durante una pausa, si riavvicina e mi fa: “Ma tu hai fatto “Il miracolo”, tu sei Salvo!”. Io annuisco e mi dice: “Straordinario, complimenti, sei bravissimo!”. Poi mi stringe la mano e mi abbraccia. Io ero emozionatissimo, stava per scendermi una lacrimuccia di commozione mentre lo ringraziavo! Questo è stato il mio incontro con Pierfrancesco, che è una persona straordinaria oltre ad essere un grandissimo attore.
VELVET: Il film tratta un tema delicato e argomenti drammatici. Com’era l’atmosfera sul set?
AP: Durante la lavorazione ci sono stati tanti momenti in cui c’era un’atmosfera di scherzo, eravamo come una grande famiglia e sono contento perché ho conosciuto tanti attori anche molto giovani, appena usciti dall’accademia. Si è creato un bel gruppo, dove tutti eravamo un po’ intimoriti perché comunque eravamo dentro un progetto con un grande regista e una grande produzione. Marco Bellocchio è eccezionale, per certi versi somiglia a Marco Tullio Giordana: dà molto spazio agli attori, se non ti dice nulla è perchè quello che stai facendo va bene e funziona; altrimenti viene e ti dà delle altre possibilità per cambiare la scena, così anche lui può avere diverse possibilità al montaggio.
VELVET: E’ significativo il fatto che sinora tu abbia interpretato molti ruoli di personaggi non proprio puliti, a volte anche violenti (in “Lea” eri un mafioso assassino, ne “Lo spietato” fai parte di un gruppo di criminali calabresi che si sono trasferiti a Milano, ne “Il cacciatore” interpreti un altro mafioso cioè Enzo Brusca, ne “Il traditore” sei Giuseppe Greco”). E pensare che hai un viso così angelico!
AP: In effetti è vero! Credo che il più delle volte si voglia giocare di contrasto, il viso pulito e da bravo ragazzo racconta altro… Il mio primo film si intitolava “Antonia” (diretto da Ferdinando Cito Filomarino, ndr): lì interpretavo Remo Cantoni, amico e amante della protagonista (il film racconta a storia vera della poetessa Antonia Pozzi, ndr), ed è stato il primo lavoro dopo la scuola di recitazione di Genova, la mia prima esperienza al cinema. Poi ho incarnato Carlo Cosco in “Lea”; da quel film c’è stato questo continuum di ruoli più forti e violenti. Paradossalmente credo di avere delle corde più legate alla commedia o comunque a cose più leggere (a teatro spesso ho fatto commedie di Shakespeare o il vaudeville), e ti confesso che mi piacerebbe poterlo fare di più; se per ora mi fanno fare ruoli violenti, vuol dire che funziono nonostante la faccia angelica. Una volta Marco Tullio Giordana mi disse: “Sei fortunato perché sei un attore molto versatile, puoi fare di tutto, dalla commedia al dramma, e poi hai una predisposizione per i dialetti…”
Alessio Praticò, il contrasto tra un volto angelico e tanti ruoli da criminale
VELVET: Sei anche nel cast del film prodotto e distribuito da Netflix “Lo spietato”, dove reciti accanto a Riccardo Scamarcio e Alessandro Tedeschi, per la regia di Renato De Maria. Si tratta di un crime (genere che va molto di moda in questo periodo soprattutto all’estero), in cui interpreti un criminale calabrese trasferito nella Milano da bere degli anni Ottanta e a seguire. Che tipo di esperienza è stata per te?
AP: E’ stata bella sin dall’inizio perché sono stato sottoposto a un provino non standard. Quando andai a fare l’audizione era già presente il regista Renato De Maria, e c’era anche il casting director Francesco Vedovati: la sensazione che ho avuto era quella di trovarci già sul set, quasi pronti a girare, e a capire insieme al regista come impostare il personaggio. Facevo delle proposte e lui me ne faceva altrettante. È stata un’esperienza bellissima, ed è stato l’unico provino che ho fatto, per la serie “Buona la prima”! Sul set poi si è creato un clima molto divertente con Scamarcio, De Maria, Alessandro Tedeschi e tutti gli altri. Avevamo la licenza di fare un po’ i cialtroni, 24 ore su 24, perché dovevamo raccontare l’amicizia di oltre 20 anni di questi tre criminali (io, Scamarcio e Tedeschi) e non avevamo avuto occasione di conoscerci prima. Ho incontrato Alessandro una settimana prima delle riprese, e ho conosciuto Riccardo alla vigilia del primo ciak. Raccontare questo legame forte non conoscendosi era complicato, quindi usavamo questo modo di scherzare continuo per non dover poi fare la fatica di doverlo costruire all’azione.
Alessio Praticò tra i protagonisti de “Lo spietato”, film prodotto da Netflix
VELVET: Tanto lavoro a teatro, molti film e serie tv già realizzate (da “Il miracolo” a “The Young Pope”, fino a “Il cacciatore”), tanti progetti per il futuro. E pensare che sei laureato in architettura…
AP: E’ vero, sono dottore in architettura ma non ho preso l’abilitazione per firmare i progetti. Ho avuto la fortuna di frequentare una scuola per l‘infanzia che portava molto avanti lo studio dell’arte e del teatro, quindi già a 4 o 5 anni facevo i miei spettacolini. E’ come se si fosse creato dentro di me una sorta di virus che mi son portato dentro fino ad oggi: riesco ancora a visualizzare chiaramente una foto in cui sono su un palco del teatro di Reggio Calabria, mentre sto facendo uno spettacolo, e in quella foto mi si vede negli occhi la luce di uno che è felice di fare proprio quella cosa lì. Questa luce cerco di portarmela dentro e di usarla tutte le volte che devo raccontare un personaggio o una storia. Poi devo dire che anche alle elementari e alle medie ho partecipato a vari spettacoli, e una volta arrivato al diploma (ho frequentato il Liceo scientifico) mi sono trovato a un bivio. Sono figlio unico e i miei genitori velatamente mi hanno suggerito di continuare gli studi; forse anch’io non avevo ancora completamente maturato l’idea di fare di questa passione anche un lavoro, e allora ho pensato bene di proseguire gli studi. Ho sempre amato molto l’architettura, quindi mi sono iscritto a quella facoltà. Anche durante gli anni universitari ho frequentato il laboratorio teatrale universitario dell’Università mediterranea di Reggio Calabria, allora diretto da Marilù Prati e Renato Nicolini. Sono stato super rapido, mi sono laureato nei tempi giusti (3 anni più la specialistica), e alla fine sono tornato dai miei genitori, che mi hanno dato l’ok per proseguire con la mia passione! Ho fatto i provini e sono entrato alla scuola del teatro stabile di Genova, nel 2010 mi sono trasferito nel capoluogo, ho fatto 3 anni di accademia e appena uscito ho iniziato a girare “Antonia”. Dopo sette anni a Genova, sono andato un anno al Teatro 2 di Parma, poi ho iniziato a fare avanti e indietro con Roma per fare provini. Adesso da un paio d’anni vivo qui, nella Capitale.
VELVET: Oltre alla recitazione, so che ami molto la regia, ti diletti a stare anche dietro la macchina da presa, non soltanto davanti.
AP: Sì è vero, mi piacerebbe fare più regia perché adoro lavorare con gli attori (anche perché capisco come ci si sente e cosa provano) e mi piace costruire dei progetti con loro. Il mio primo cortometraggio era una sorta di mockumentary che feci durante gli anni dell’università, e poi ho girato altre cose interessanti tra cui questa specie di documentario dal titolo “Sradicati”. Al centro di questo progetto c’è la storia di un paesino in provincia di Reggio Calabria che si chiama Rudi, e che negli anni Settanta è stato abbandonato a causa di alcune alluvioni. Mi piaceva raccontare il fatto che il paese è stato riedificato sulla costa e tutti gli abitanti sono stati costretti a trasferirsi al mare, quando in realtà erano nati e cresciuti in montagna. Da architetto mi incuriosiva questo fenomeno, e feci come il grande maestro documentarista Vittorio De Seta (che conobbi e con cui lavorai): presi la mia reflex e d’estate andai da solo a girare in quei territori in cui non ero mai stato, nella fascia della provincia di Reggio Calabria in cui si parla ancora il greco antico. Mi sono innamorato dei luoghi, della storia, delle persone: sono stati due giorni di riprese intense, per un progetto autoprodotto che mi ha dato grandi soddisfazioni perchè è stato molto apprezzato dalle persone che hanno vissuto questa realtà. Ho anche vinto dei premi come miglior regia di un documentario, quindi è stato veramente un bel lavoro per me. Ultimamente poi, con il mio amico e collega Giovanni Malafronte, abbiamo deciso di partecipare al concorso “Corti in 48 ore”, e siamo arrivati secondi con il corto dal titolo “Alice” (abbiamo anche vinto i premi per la miglior fotografia e per l’attrice protagonista Francesca Agostini). Il “48 ore” è un esperimento da fare assolutamente, è stata una grande palestra per tutti perché ti insegna più di qualsiasi altra cosa l’importanza del lavoro di squadra nel mondo dello spettacolo.
Alessio Praticò, impegnato davanti e dietro la macchina da presa
VELVET: In un’intervista hai dichiarato che il tuo modello di riferimento come attore è Gian Maria Volonté. Tra i viventi, c’è un interprete che ammiri particolarmente?
AP: Ce ne sono tantissimi, ma devo dire che Pierfrancesco Favino rispecchia molto la versatilità e la capacità di trasformazione che, secondo me, dovrebbe avere un attore, cioè il saper essere veramente diverso non solo da sé ma anche dagli altri ruoli che magari uno fa di solito. Lui adesso sta girando il film su Bettino Craxi, subendo quindi un’altra trasformazione non solo fisica. Per me il lavoro dell’attore è proprio questo, Volonté addirittura parlava di invisibilità dell’attore, ed è qualcosa che va ricordato soprattutto nel nostro periodo storico in cui c’è un atteggiamento portato alla visibilità, al dover raccontare quello che si fa, al farsi conoscere. Il compito dell’attore è l’opposto, è raccontare storie di uomini ad altri uomini e mettersi al servizio del personaggio da raccontare. Io devo essere irriconoscibile, mi devo annullare nel mio personaggio.
VELVET: A cosa stai lavorando in questo momento?
AP: Ho iniziato il 30 aprile la seconda stagione de “Il cacciatore”, dove interpreto Enzo Brusca e dove, anche in quel caso, ho la responsabilità di raccontare un personaggio particolare, che qualcuno ha definito “il più sensibile dei due fratelli”. E’ una definizione corretta perché è l’unico vero pentito per quello che ha fatto. Quando incarno un criminale, mi piace raccontare in maniera quasi subliminale una certa umanità del personaggio: con i cattivi c’è sempre il rischio di fare la macchietta, lo stereotipo, ma se li si umanizza si ingigantisce la loro negatività perché poi sono le azioni che li raccontano.
VELVET: E il teatro?
AP: Quello è il mio primo amore, ed è sempre lì! Ci sono diversi progetti in ballo con alcuni colleghi, vediamo se riusciamo a portarli avanti. Ma sì, il teatro è ciò che amo di più!
E mentre lo dice, gli si illuminano gli occhi. E pare anche a noi di vedere quella luce negli occhi di Alessio, bambino di cinque anni, sul palcoscenico del teatro di Reggio Calabria! Ma siamo a Roma, e quella luce splende ancora, forse ancor più luminosa di prima.
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