Succede qualcosa, dentro ognuno di noi, a un certo punto della vita, che ci cambia per sempre. Non sappiamo chi o cosa vogliamo essere finché non scocca la scintilla, finché non apriamo gli occhi e iniziamo a vedere sul serio. Quando Debora Di Napoli ha capito che “da grande” sarebbe diventata una fashion designer, che avrebbe ascoltato la sua parte creativa, era ancora molto giovane e pensava di voler studiare lingue.
Oggi, a 27 anni, si muove con grande agilità tra stoffe pregiate e shooting fotografici e non ha dubbi: è diventata esattamente ciò che voleva essere. La sua passione, la sua grinta, l’hanno portata dal laboratorio sartoriale di casa nel napoletano alle passerelle della Milano Fashion Week. E non servono ulteriori conferme.
La vita e la storia, insieme, insegnano, però, che quando tutto va per il verso giusto, all’orizzonte c’è un ostacolo. E’ raro che si tratti di un ostacolo collettivo, ma adesso è cosi: è piombata su tutti noi una calamità, un virus silenzioso, letale, che lascia dietro sé dolore e desolazione. La stessa che notiamo per le strade vuote delle città italiane; sempre affollatissime e colorate, da alcune settimane, invece, vuote e spente.
Gli ottimisti sono fiduciosi, c’è un aspetto positivo: grazie al coronavirus abbiamo riscoperto l’importanza della condivisione, siamo tornati a sentirci umani. E cosa avrà a che fare tutto questo con una giovane fashion designer di Portici (Na)? E’ presto detto: Debora ha pensato bene di mettere a servizio della comunità la creatività che la contraddistingue e di impiegarla per un’iniziativa solidale. Nel suo laboratorio produce delle mascherine in tessuto e in cambio non chiede nulla, se non una donazione all’ospedale Cotugno di Napoli. Un’iniziativa che in pochissime ore ha ottenuto un enorme successo sui social, grazie al passaparola e alla condivisione di video e messaggi.
Debora Di Napoli ha raccontato a noi di VelvetMag, in un’intervista esclusiva, come è nata #sharethemask e quanto importante e forte sia stata la risposta dei cittadini.
Intervista a Debora di Napoli
Debora, la tua storia di fashion designer e stylist inizia qualche anno fa, tra i banchi di scuola. Prima, però, volevi studiare lingue…
“Non ho sempre pensato di diventare una fashion designer, quando ero a liceo pensavo che forse avrei studiato lingue, ero portata. Ma poi c’è stato un incontro: durante un orientamento ho conosciuto una persona che mi ha raccontato di aver intrapreso gli studi di giurisprudenza, ma che a un certo punto ha dovuto dare ascolto alla sua parte artistica e ha iniziato a frequentare un corso di fotografia allo IELD. Mi ha aperto gli occhi, ho iniziato a interrogarmi su cosa avrei davvero voluto essere. Dovevo dare sfogo alla mia creatività; quando ho terminato gli studi liceali, ho cercato l’accademia giusta per me, quella che potesse lanciarmi in modo deciso nel mondo della moda e l’ho trovata. Pian piano, passo dopo passo, ho iniziato a esporre i miei progetti e creare il mio giro di clienti, fino ad avere un brand tutto mio. Ho creato un vero e proprio showroom all’interno del laboratorio di famiglia dove accolgo i clienti e insieme definiamo i dettagli”.
E non finisce qui: sei anche una stylist.
“Sì, sai, questo è un altro aspetto del mio lavoro molto appagante. Mi permette di vedere la moda da un altro punto di vista. Il lavoro di sartoria mi permette di produrre il capo dall’inizio alla fine, ci sono dentro; quando sono sul set lavoro con il prodotto finito e lo guardo dall’esterno. Come stylist devi valorizzare il prodotto, far sì che abbia una appeal per i possibili acquirenti. E’ bello”.
A proposito di prodotti, tu utilizzi materiali pregiati. I tuoi capi sono originali e nascono per soddisfare appieno le richieste dei clienti.
“Lavoro con tessuti italiani e francesi, tra cui: seta, chiffon, pizzo, raso e organza. Parliamo di materiali sartoriali di qualità, mai sintetici. Questo mi permette di ottenere dei risultati importanti; se lavori con un tessuto scadente, puoi impegnarti quanto vuoi, ma non sarebbe lo stesso.”
Questo impegno ti ha portato alla Milano Fashion Week 2020…
“Avevo previsto di andare a Milano per la MFW, avevo in programma degli eventi a cui partecipare. Avevo, inoltre, in cantiere un abito ispirato alla collezione di questo periodo, tra blu e trasparenze, e l’accademia in cui ho studiato -la Maria Mauro Accademia Moda di Napoli, n.d.r.-, che ogni anno partecipa alla settimana della moda, ha scelto di presentarlo in passerella. Una bella soddisfazione”.
Bello sì, ma poteva andare meglio; a un certo punto è arrivato il coronavirus. Dopo un attimo di smarrimento generale c’è stato chi, come te, ha scelto di dedicarsi a un progetto charity e di impegnarsi in una raccolta fondi. Arriviamo all’iniziativa #sharethemask, come è successo? Cos’è?
“Il mio laboratorio si trova al centro storico di Portici, sento tante voci e, negli ultimi giorni, tutte dicevano la stessa cosa: ‘sono finite le mascherine, come faccio?’. Allora mi è venuta un’idea: ne ho prodotte un paio, con le stoffe che avevo a disposizione e poi ho condiviso gli scatti su Instagram. Da quel momento, ho iniziato a ricevere richieste su richieste. A questo si aggiunge il fatto che avevo sentito di alcune raccolte fondi importanti e ho pensato: perché non unire le due cose? Ho cominciato a produrre le mascherine su richiesta e in cambio ho chiesto solo una donazione per l’ospedale Cotugno di Napoli. Ho fatto un video in cui spiegavo la mia idea e ha avuto un successo imprevisto. Ho quasi finito le stoffe, ma ancora meglio, abbiamo raccolto quasi tremila euro”.
Dicevamo prima delle stoffe presenti nel tuo laboratorio: quali hai utilizzato per queste mascherine?
“Ho utilizzato stoffe fatte da un materiale lavabile e consistente; le maglie sono strette e quindi è anche abbastanza protettiva. Non sono mascherine mediche, ma possono comunque evitare che ci si porti le mani alla bocca, di essere totalmente esposti e poi sono riutilizzabili”.
L’iniziativa ha avuto un grande successo. Hai fatto tutto da sola?
“Ho iniziato da sola, poi mia madre e il mio fidanzato mi hanno aiutata. Anche un caro amico mi ha fornito delle stoffe particolari, con delle fantasie originali che aveva messo da parte per un progetto. E’ stato tutto molto coinvolgente, la condivisione e la solidarietà sono state il principio da cui è iniziato tutto”.
Torniamo a te con un’ultima domanda. Sei una viaggiatrice, una cittadina del mondo, lo dice la tua storia. Gli ultimi viaggi hanno ispirato qualche progetto? Quando tutto questo sarà finito, quando torneremo ad abbracciarci, cosa farai?
“Io amo viaggiare. E penso che il posto che più mi abbia ispirata sia stato Bali: i suoi tramonti, con quelle sfumature aranciate, i frutti con i loro profumi e colori intensi. Ho in cantiere una linea di costumi ispirata proprio ai miei ricordi di tanta bellezza. Non più mascherine, ma costumi da bagno: deve andare così”.
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