Dal mondo dell’arte e dell’architettura giungono nuove risposte per l’organizzazione degli spazi balneari in vista dell’estate 2020, ispirate alla capacità geometrica delle api nella costruzione degli alveari. Mare 2020 – La misura e il paesaggio è infatti una proposta che tiene conto del distanziamento sociale anti Covid-19, senza rinunciare al confort e alla libertà dei bagnanti. L’iniziativa è promossa da Arteprima Progetti guidata da Francesco Cascino, mentre il progetto vero e proprio porta la firma dello studio di architettura Surf Engineering di Raffaele Giannitelli e dell’artista Filippo Riniolo. Un format che prende le mosse dal litorale laziale – poiché gli autori sono di casa a Roma – ma che potrebbe tranquillamente essere adattato a tutte le spiagge d’Italia. Un’idea per separare gli spazi, anche grazie alle piante, secondo una disposizione esagonale degli ombrelloni e delle aree dedicate ai bagnanti che richiama simbolicamente l’universo della natura ed in particolare delle api. Abbiamo intervistato Raffaele Giannitelli e Filippo Riniolo per capire in cosa consiste questa originale proposta.
Com’è nata questa idea?
F.R.: «Tutto è nato da un dialogo tra Raffaele, Francesco e me. Tutti e tre abbiamo sentito l’esigenza di provare a costruire soluzioni alternative rispetto a quelle che avevamo visto sino ad ora; mi riferisco ai cubi di plexiglass, i quali non solo reputiamo invivibili, ma anche incapaci di creare un rapporto con il territorio, oltre che con le persone “nuove”. Inoltre, i cubi, a nostro parere non tengono nemmeno conto della lezione che questa epidemia ci sta insegnando: ritornare ad un contatto diretto con la natura senza devastarla o facendone tabula rasa. Purtroppo, spesso si tende ad associare l’intervento architettonico ad una colata di cemento, invece il nostro progetto intende ristabilire un rapporto di convivenza tra l’uomo e le piante già esistenti».
R.G.: «Aggiungo che Francesco, Filippo ed io eravamo anche stupiti del fatto che in questa fase di immaginazione di soluzioni nuove nessuna task-force avesse ancora coinvolto artisti e architetti, ovvero le persone che se ne occupano per professione. Perciò abbiamo pensato di dare vita a Mare 2020 come esercizio interessante su cui testare una metodologia che non prevedesse la produzione di gadgets – come nel caso dei cubi di plexiglass, per esempio – ma che fosse in grado di interrogarsi sui rapporti sociali mutati dal Covid-19 e su un rapporto di grande armonia con l’ambiente».
Il plexiglass, infatti, non è proprio un materiale eco-friendly…
F.R.: «Certo e non lo è nemmeno per le persone!»
R.G.: «Qualunque progetto di architettura e paesaggio deve partire dalle funzioni, dall’identità del luogo e dai soggetti che fruiscono di quel territorio e non dall’accumulo di plexiglass o di altri materiali, seppur più ecologici, comunque da smaltire. Il tema è far sì che le persone misurino lo spazio. Facciamo un esempio: quando siamo in macchina su una strada a due corsie, capiamo che è pericoloso spostarsi nell’altra grazie ad una linea che ci segnala che oltre potremmo andare contromano. Ecco, il nostro progetto intende solo fornire una guida alle persone per una corretta condivisione dello spazio collettivo. Per raggiungere questo obiettivo abbiamo pensato di utilizzare un media molto semplice: le piante. La vegetazione cambia di luogo in luogo e, pertanto, l’utilizzo di piante autoctone potrebbe consentirci di riscoprire questa identità e costituire un valore aggiunto per questa soluzione. Tutto sommato potrebbe essere anche una buona occasione per insegnare ai bambini le diverse specie delle piante».
Realizzare un progetto simile potrebbe essere molto oneroso per i gestori degli stabilimenti balneari?
R.G.: «Assolutamente no! Le piante costeranno a dir tanto 15/20 euro. Tra l’altro, nel litorale laziale, per esempio, ogni anno ne vengono buttate via tante che, invece, in questo caso potrebbero tornare utili. Senza dubbio si aiuterebbero i vivaisti a lavorare di più, stipulando magari delle convenzioni con gli stabilimenti balneari. Mi sto muovendo in questo senso con la Regione Lazio e con l’Associazione Assobalneari, ma è complicato».
E per quanto riguarda gli ombrelloni?
F.R.: «Abbiamo ipotizzato delle strutture per riparare i bagnanti dal sole molto efficienti, tuttavia questo modello può essere sostituito con ciò che si preferisce. Il punto è il concetto di griglia che sta alla base del progetto; per intenderci, le misure che Raffaele ha studiato insieme ad altri ingegneri possono essere replicate pressoché ovunque e a prezzi contenuti».
Veniamo ora alla disposizione esagonale dei moduli, intesa ad evocare le dinamiche naturali ed il modus operandi delle api che immagino sia frutto di un’intuizione di un artista…
F.R.: «Sì, è stata una mia idea. La natura – e le api ancor di più – ci insegna che il modo migliore per disporre gli oggetti nello spazio è l’esagono. Una disposizione caratterizzata da angoli a 60 gradi – tipica degli alveari – risulta molto più efficiente rispetto a quella quadrata, poiché a parità di spazio ci stanno più persone e a parità di persone ci sta più spazio. Perciò i “famosi” cubi di plexiglass non risultano soltanto sgradevoli esteticamente e invivibili, ma anche poco funzionali».
R.G.: «Ci tengo anche a precisare che questa disposizione consente di lasciare alla gente libertà nella scelta dei percorsi, non ci sono corridoi stretti o obbligati. Abbiamo, inoltre, intitolato questa soluzione “la misura del paesaggio”, in quanto si tratta sia di una misura in centimetri, sia di una misura di sicurezza in cui il paesaggio risulta il primo alleato».
Questo modello potrebbe essere replicato anche nelle spiagge libere, oltre che in quelle attrezzate?
R.G.: «Sì, individuando le piazzole dove le persone piantano liberamente l’ombrellone. Le spiagge libere potrebbero essere regolamentate da questa griglia naturale sempre dai gestori degli stabilimenti balneari che, in base alle concessioni, devono tenere pulite anche le aree a libero accesso. In definitiva Mare 2020 può essere modulato sia per situazioni più lussuose, sia per situazioni più basic, mantenendo però lo stesso livello di sicurezza».
F.R.: «Ribadisco che dobbiamo garantire a tutte le persone l’accessibilità al mare in sicurezza e questo progetto lo consente; ovviamente, però, devono essere le istituzioni a recepire la nostra proposta».
Volevo giustappunto arrivare qui. Vi state attivando per arrivare ai “piani alti”?
R.G.: «Sì, sebbene ci si debba scontrare con una burocrazia davvero disarmante – come purtroppo avviene troppo spesso nel nostro paese – nel senso che per la realizzazione di un progetto così occorrerebbe ottenere il nulla osta dalla Regione (per l’attività produttiva e per l’urbanistica ambientale), nonché dal Mibact. Alla fine, ho ritenuto che la strada più semplice fosse quella di creare un’alleanza tra balneari e vivaisti, poi avanzeremo una proposta ufficiale».
Un’ultima domanda. Come hanno reagito per ora gli operatori del settore?
R.G.: «Hanno apprezzato il progetto, poiché veicolo di un messaggio positivo e di accoglienza; le altre proposte non erano state apprezzate allo stesso modo perché associate, al contrario, a sensazioni negative o addirittura alla paura. Al di là di tutto un problema per i gestori degli stabilimenti balneari risiede proprio nel dover invogliare il turista o il bagnante ad andare al mare e forse il nostro progetto potrà essere d’aiuto in questo senso. Ripeto, è giusto che le persone si sentano, nelle spiagge, a loro agio e in tutta sicurezza».
F.R.: «Alcuni di loro ci hanno persino fatto notare che questa soluzione potrebbe essere adottata non soltanto nel 2020, ma sempre, nell’ottica di un ripensamento estetico e funzionale delle spiagge».