Quel Sanremo del 1971 Lucio Dalla tornava ad esibirsi al salone delle feste del Casinò a distanza di quattro anni dell’ultima partecipazione, tutt’altro che felice, al Festival del 1967. Un anno nero nella storia di Sanremo, della musica italiana e dell’Italia tutta. Ma per Dalla lo fu un po’ di più. Quando Luigi Tenco fu trovato morto nella sua stanza all’Hotel Savoy, infatti, fu proprio Lucio a rinvenire per primo il corpo dell’amico, svegliato in piena notte dalle urla di Dalida. Insieme a lei, Luigi era in gara con Ciao amore ciao; Lucio invece gareggiava insieme ai The Rockes con Bisogna saper perdere. La prima canzone fu un flop sanremese destinato a diventare immortale, anche in quanto addio alla vita; la seconda si posizionò al sesto posto della classifica ma segnando, tutto sommato anche qui, l’ennesimo flop di Dalla.
Lucio Dalla, Gesubambino e Paola Pallottino
Quando quattro anni dopo, nel ’71, Lucio si apprestava a tornare sul palco del Casinò di Sanremo con 4/3/1943, la vera Storia era ancora da scrivere. E lui, l’etichetta, la critica, sapevano già che quello era il pezzo giusto con cui fare finalmente la differenza. “Quattro marzo quarantatré” stava per segnare la vera consacrazione di Dalla, fino a quel momento, di fatto, bistrattato un po’ da tutti. Artista assolutamente non compreso, non gradito, per l’aspetto fisico goffo e peloso, per l’atteggiamento alienato e per quel look poco televisivo. Forse, semplicemente, perché l’Italia non era ancora pronta ad accoglierlo. Quel clarinettista dallo scat inconfondibile ma estraneo al mondo della canzone leggera italiana pizzicava le corde dell’indifferenza popolare ma, improvvisamente, mosse quella della critica. E poi del pubblico del Festival di Sanremo.
Quella di 4/3/43 fu letteralmente un’esplosione: «Ebbi subito la sensazione di aver realizzato qualcosa di veramente grosso» raccontò Dalla, come riporta Massimo Iondini nel prezioso libro uscito in questi mesi, Paola e Lucio – Pallottino, la donna che lanciò Dalla. E infatti fu proprio Pallottino a mettere lo zampino fondamentale nel corso di questa storia. Meravigliosa illustratrice e paroliera, ma con una schiettezza e un background personale affine all’anima di Dalla, fu a lei a scrivere e proporre il testo di 4 marzo. Il racconto di una ragazza madre 16enne che aspetta il figlio di un soldato morto in battaglia e che, no, non è la storia autobiografica di Lucio. Né di Paola.
Il successo a Sanremo 1971
Ma la vita fa giri importanti quando ci si mettono di mezzo l’infanzia, i genitori assenti, i lutti più intimi e familiari. E per questo, forse non è un caso che quando la Rai censurò il nome originale del brano, Gesubambino, per far sì che venisse ammesso a Sanremo 1971 Lucio scelse un titolo preciso. 4/3/1943: il giorno della sua data di nascita: «Mi piacerebbe che arrivasse a tutti i figli delle ragazze madri, ai figli della guerra, poi alla gente sensibile, poi a tutti».
Orfano di padre dall’età di sette anni, provato da un esordio ancora lento e faticoso, Lucio sembrava quasi abituato ad un’immagine di sé distorta e poco gentile: «E se magari la gente si abitua e le tolgo il trauma che la prende ogni volta che mi vede?», si chiedeva in quegli anni, mentre cercava di rompere il ghiaccio apparendo in tv, come ricorda ancora Iondini nel suo libro.
Lucio si sentiva fuori posto, soffriva della sua «difficoltà ad essere normale» ma allo stesso tempo soffriva anche le etichette che gli venivano attribuite scegliendo d’essere se stesso. Sempre in bilico tra la voglia di stare ai margini e il bisogno di sentirsi accettato. E forse non è un caso, dicevamo, che trasformò Gesubambino nella sua data di nascita. Perché a ridosso di quel Sanremo 1971 il cambiamento era nell’aria: quella canzone era pronta per essere amata da tutti. E se ancora oggi, ogni 4 marzo, siamo qui a cantarla senza poterci dimenticare di augurargli anche buon compleanno… Qualcosa è andato proprio come desiderava lui. Il clarinettista con la coppola di lana è uno di noi, è tutti noi. Auguri Lucio.
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