Tra gli esponenti di punta della stand up comedy italiana, Saverio Raimondo è senza dubbio uno dei primi nomi che viene in mente. Ironico, tagliente, dalla voce riconoscibile e dal senso dell’umorismo peculiare, ha legato la sua fama a numerosi progetti di successo.

Cresciuto con il mito di Woody Allen, “sono rimasto folgorato” – come ha precisato, formatosi con personalità del calibro dei “clan” Guzzanti, ha dimostrato il suo talento nel programma, da lui forgiato, Comedy Central News, del quale è stato al timone per cinque edizioni. L’esigenza di raccontare altro lo ha spinto a immergersi in una nuova esperienza, figlia dei nostri tempi: Raimondo ha debuttato su Youtube con il Covid Late Night che gli ha permesso, alcuni mesi dopo, di tornare sul piccolo schermo con Pigiama Rave su Rai4. Nel 2019, inoltre, il suo show Il Satiro Parlante ha debuttato su Netflix, raggiungendo i 190 paesi in cui il servizio è attivo.

L’arrivo sulla piattaforma ha segnato per Saverio Raimondo un’ulteriore svolta: la sua voce “animata” ha difatti attirato a tutti gli effetti l’attenzione di Disney e Pixar, portandolo al suo primo ruolo di doppiatore nel film Luca, nei panni del “bullo” Ercole Visconti. Un debutto direttamente “in Serie A”, come ha affermato lo stesso artista che, in esclusiva per Velvet Mag ha scelto di raccontarci la sua esperienza nel primo film d’animazione Disney ambientato in Italia, in uscita sulla piattaforma Disney+ da domani venerdì 18 giugno.

Intervista esclusiva a Saverio Raimondo

 

Sta per uscire Luca su Disney+, il primo film d’animazione Disney interamente ambientato in Italia, che ti vedrà doppiare il “cattivo” Ercole Visconti, sia in italiano che in lingua originale: come hai affrontato questo primo approccio al mondo del doppiaggio?

È stato come iniziare subito dalla Serie A perché, sebbene io abbia una voce da cartone animato, come puoi sentire, non mi era mai stato proposto e la prima proposta mi è arrivata proprio da Disney e Pixar che sono due eccellenze mondiali. Mi sono accostato a questo nuovo lavoro con moltissima curiosità, moltissimo entusiasmo e, a quanto pare, sono riuscito anche molto bene perché gli animatori della Pixar si sono divertiti a lavorare con la mia voce. Il personaggio di Ercole aveva molte sfaccettature, molte espressioni: ho cercato di renderla una voce espressiva pur nell’antipatia del personaggio.

In conferenza stampa hai paragonato Ercole al geometra Luciano Calboni – che appare nei primi film di Fantozzi – e a Truman Capote: cosa lega questi personaggi?

Di Truman Capote mi riferisco in particolare a un personaggio di un suo racconto, Il giorno del ringraziamento, uno dei suoi più belli. Lui si è sempre occupato di quella fase della crescita dall’infanzia all’adolescenza, di cui si occupa anche Luca, quindi ci sono delle similitudini. Nel racconto, il protagonista se la prende con un bullo, tale Odd Henderson, per cui ho pensato subito a lui. L’altro personaggio a cui ho immediatamente pensato è stato il geometra Calboni perché, in realtà, il “buon” Ercole Visconti ha molte cose in comune. Intanto anche Calboni, a sua volta, era un bullo perché vessava il povero Fantozzi. Era vanitoso, al tempo stesso cialtrone e millantava conoscenze. Nell’interpretare Ercole Visconti ho sempre avuto in testa quella cialtroneria di Calboni che mi ha aiutato a conferire non solo l’antipatia ma anche quella vena un po’ buffa.

Ercole Visconti è il bullo di paese: sbruffone, narcisista, ma, in fondo, nasconde una grande insicurezza. Pensi che questa descrizione possa estendersi alla figura del “bullo”?

Forse sì. Sicuramente l’essere insicuri non vuol dire necessariamente poi essere dei bulli. Molte volte un bullo può essere insicuro però subentrano altri fattori e spesso l’ignoranza contribuisce a certi atteggiamenti. Diciamo che la cosa positiva di Luca è che il protagonista, così come anche Alberto e Giulia, hanno a che fare con Ercole Visconti che è sì un ostacolo da superare ma non è mai un vero e proprio “trauma”. Mi piace vederlo come un invito a saper andare oltre a quelli che sono poi gli inevitabili ostacoli che si incontrano nella vita, anche perché le cose che ci segnano di più sono altre: insomma, i bulli hanno un peso relativo nella nostra vita.

Diversamente dai personaggi di Luca e Alberto, che escono dalla loro comfort zone per buttarsi nell’avventura, lui rimane statico nel paesino di Portorosso: la sua è paura? E, in generale, pensi che la chiusura porti alla paura?

Sicuramente l’essere chiusi e “provinciali” – nel senso più profondo del termine – porta ad aver paura di ciò che c’è al di fuori dei nostri confini più stretti. Ercole Visconti è il bullo del paese perché non si è mai mosso di lì: se fosse uscito di lì qualcuno lo avrebbe già ridimensionato, o, come dire, avrebbe già preso qualche schiaffone. (ride)

Il personaggio di Ercole può inoltre essere definito come il coronamento de “Il satiro parlante”, approdato su Netflix nel 2019: cosa ha “ereditato” Ercole dallo show? In che modo, dunque, ha influito nella tua costruzione del personaggio?

In realtà Il satiro parlante è stato galeotto nel senso che è stato proprio grazie al fatto che sia stato distribuito su Netflix in 190 paesi che Disney Pixar e Enrico Casarosa, il regista del film, mi hanno conosciuto. Hanno quindi avuto il modo di sentire la mia voce, pensando che potesse essere giusta per caratterizzare Ercole Visconti. In questo è stato utile Il satiro parlante. Poi, nel caratterizzare Ercole ho cercato di rispettare il personaggio, che è molto diverso da me: è un bullo, un prevaricatore, tutte cose che, confesso, non rientrano nei miei comportamenti. (ride) Ho sicuramente usato quel po’ di bravura tecnica che ho nei tempi comici, nella modulazione della voce: ho provato ad essere un bravo interprete, cercando di entrare nel personaggio più che portare nel personaggio quello che è il mondo de Il satiro parlante.

In un’intervista avevi definito l’approdo a Netflix come riconoscimento ma anche come un momento di crisi: come mai?

Perché quando si raggiungono degli obiettivi così alti e importanti ci si chiede sempre, almeno io da ansioso: “Adesso che si fa? Qual è la prossima meta?”. Il fatto che, dopo lo special su Netflix, siano arrivate proposte molto diverse, sia dal punto di vista televisivo che cinematografico, mi ha sollevato da questa ansia e da questa crisi, dandomi modo di crescere. Ad oggi, lavorare a Luca è un importante riconoscimento che non mi mette in crisi ma, al contrario, mi stimola perché ho capito che le cose succedono, possono continuare a succedere e che quindi accetto la sfida.

Quindi possiamo dire che la crisi sia superata?

La crisi è superata, sì, abbondantemente.

Secondo te, Netflix e il web consentono di sperimentare maggiormente rispetto alla televisione?

Ma guarda, in realtà hanno stimolato la televisione a sperimentare perché hanno creato una concorrenza, per cui la televisione si è dovuta un minimo adattare. Penso, per esempio, a Pigiama Rave, il programma che ho condotto su Rai 4 che è stato un esperimento in televisione. Per me l’importante resta, sia in una nicchia un po’ più “tradizionale” come potremmo definire la televisione che in una nicchia digitale, la presenza del direttore. Non sono uno che ama fare contenuti e pubblicarli liberamente sulla rete, perché credo che nel confronto, tra un direttore, un editore, ecc. le idee possano solo migliorare e non danneggiarsi.

Dunque, nonostante il web mostri più “libertà” sono fondamentali l’ordine e la gerarchizzazione televisivi.

Io penso che la libertà come valore assoluto sia poca cosa e, addirittura, possa essere quasi dannosa. Io penso che la liberà sia tale solo quando è confronto, quando le libertà delle persone si confrontano per raggiungere insieme il risultato. Penso che la parola “compromesso”, a cui abbiamo dato un’accezione negativa, sia, al contrario, un termine positivo perché significa “trovare delle convergenze”.

Quali argomenti, secondo te, uno stand up comedian non dovrebbe affrontare, ammesso che ce ne siano?

Sulla carta non ci sono argomenti che non si devono affrontare. Sta ovviamente al comico la bravura nel trattare anche argomenti più scivolosi e difficili. Ma sta anche, al tempo stesso, alla disponibilità del pubblico di accogliere un umorismo su qualunque aspetto della vita. Io dico sempre al pubblico che mi viene a vedere dal vivo che deve essere dotato di senso dell’umorismo, sennò è meglio che non vengano. (ride) È importante condividere il senso dell’umorismo come un valore comune. Al tempo stesso, credo che uno stand up comedian dovrebbe trattare gli argomenti che sente di voler trattare e su cui sente di poter avere un punto di vista interessante, anche provocatorio.

Cambiando argomento, per ben cinque edizioni hai condotto Comedy Central News, lasciando il testimone a Michela Giraud. Hai mai pensato di ritornare al timone?

Sinceramente no. Per me fare CCN ha significato fare tre programmi diversi perché, in quasi ogni stagione, insieme agli autori, abbiamo cambiato tutto. Quindi sentivo in qualche modo di aver esaurito le possibilità che io potevo dare al programma e che il programma poteva dare a me. Avevo voglia di fare cose nuove, fuori da Comedy Central, quindi credo che quell’esperienza si sia conclusa nel migliore dei modi, perché penso che la quinta stagione sia stata la migliore, sotto diversi punti di vista. Concedersi il lusso di chiudere in bellezza credo sia una cosa rara, quindi non tornerei indietro.

Il lockdown ha avuto un impatto decisivo sulla tua carriera: è arrivato Covid Late Night e, alcuni mesi dopo, è nato Pigiama Rave, entrambi “figli” del lockdown. Cosa sentivi di dover comunicare, rispetto a Comedy Central News?

Io avevo voglia di fare qualcosa di diverso e cercavo una nuova sfida. Perdonatemi il cinismo, ma è stata “provvidenziale” la pandemia (ride), che ha messo in crisi tutti. Ha fatto sì che io, che lo ero già per conto mio, mi sia trovato al contrario più ricettivo a un mondo che stava affrontando un momento di cambiamento così radicale. Per me la sfida è stata riuscire ad essere Saverio Raimondo in condizioni completamente diverse: me lo sono chiesto sia come artista che come essere umano. E quindi mi sono detto: “Io sto, come tutti, a casa lontano dalle altre persone. Come si sta?”. L’ho esplorato prima come esperimento quasi privato, con Covid Late Night. L’esperienza poi si è rivelata utile per un programma vero e proprio come Pigiama Rave, che è stata per me una grandissima soddisfazione.

Il tuo modello è Woody Allen, hai esordito come autore per Serena Dandini e hai lavorato con i fratelli Guzzanti: come concili queste diverse influenze?

Con Woody Allen sono rimasto folgorato. Guarda, io sono un onnivoro, sia dal punto di vista alimentare che dal punto di vista delle ispirazioni, anzi credo che avere diverse ispirazioni possa aiutare a sviluppare una propria voce e una propria personalità. Ma anche nel comico sono onnivoro, mi piace andare a pescare qua e là. È importante avere modelli diversi tra di loro, anche complementari.

Progetti per il futuro?

Intanto mi farà molto piacere, questa estate, tornare dal vivo, ovviamente con tutte le cautele del caso, dal 19 giugno. Poi sto realizzando il mio primo podcast, che vedrà la luce in autunno. È una cosa molto diversa sia dalle cose che ho fatto fino ad oggi, sia, in generale, dai podcast che si sentono. Non voglio anticipare ancora molto, ma penso che sarà un’esperienza divertente e qualcosa di originale per gli ascoltatori.