È vero che per scrivere Il gabbiano Jonathan Livingston Richard Bach non si è ispirato alla storia di Neil Armstrong, ma avrebbe potuto ben farlo. Del resto, quando comparve la prima edizione del romanzo breve destinato a diventare un bestseller della letteratura mondiale, correva l’anno 1970. Non erano passati che pochi mesi dallo sbarco del primo uomo sulla Luna, il 20 luglio 1969, e da quella frase storica di Armstrong: “Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un gigantesco balzo per l’umanità“. Assieme a Buzz Aldrin, Neil, che allora aveva 38 anni, era stato il primo umano a mettere piede su un corpo celeste diverso dalla Terra. Se fosse ancora in vita, Armstrong compirebbe 91 anni proprio oggi 5 agosto e magari riceverebbe gli auguri del creatore di Jonathan Livingston.
Di certo, come nel romanzo di Bach Jonathan vive per il volo e ne coltiva la passione assoluta a costo di entrare in rotta di collisione con lo stormo dei gabbiani, anche per Neil Armstrong volare significava la vita stessa. Nato il 5 agosto 1930 a Wapakoneta, in Ohio (Usa), a soli 20 anni aveva partecipato alla guerra di Corea. Due decenni più tardi la missione dell’Apollo 11, che realizzò il primo allunaggio, fu la sua seconda e ultima. Ha ricevuto molti premi, uno ancora nel 2009. È morto a Cincinnati il 25 agosto 2012, poco dopo aver compiuto 82 anni.
Ora riavvolgiamo il nastro. Neil Alden Armstrong ottenne il brevetto di pilota al compimento dei 16 anni: prima ancora di saper guidare un’auto. Veniva dall’America profonda; un neo aviatore emerso da una giovane esistenza imperniata sulla dura terra. Quella degli sterminati campi di granturco, delle coltivazioni sconfinate in cui l’occhio si perde e l’orizzonte sfuma all’infinito. Forse anche per questo si era fatto prepotente in lui il desiderio di volare, coltivato attraverso l’iscrizione alla Purdue University per studiare ingegneria aeronautica. A pagare gli studi, il Governo americano: in cambio Neil si arruolò come pilota della Us Navy. Dopo la guerra di Corea entrò, come civile, in quella che sarebbe diventata la Nasa. Era aviatore e pilota, e gli facevano provare i modelli aerei sperimentali. Uno stuntman dei cieli. Convocato come astronauta, fu il primo civile americano a volare nello Spazio. Partecipò infatti alla missione Gemini 8, nel 1966.
Da ex ragazzo di campagna con l’amore per le cose pratiche e la pazienza dei contadini testardi, Armstrong era un ingegnere a tutto tondo. Anche, se non soprattutto, nella sua mente. Odiava il rischio fine a se stesso, voleva essere sempre sicuro, calcolare ogni cosa e tenere le situazione sotto controllo. Chiaro che quel sangue freddo gli sarebbe stato molto utile durante l’allunaggio del 20 luglio 1969. I progetti della missione Apollo 11 prevedevano che Buzz Aldrin dovesse scendere per primo dal Modulo lunare. Ma, come ricorda Wired, gli ufficiali della Nasa cambiarono idea. Il primo uomo a mettere il piede sul suolo extraterrestre sarebbe diventato un simbolo per sempre. Meglio assegnare questo compito epocale a un astronauta dal carattere umile, incapace di montarsi la testa: Armstrong, appunto. Prova ne sia che, essendo lo stesso Neil il fotoreporter della missione, fotografò molto il suo amico Buzz Aldrin sulla Luna, e quasi per niente se stesso.
Andare sulla Luna fu uno sforzo collettivo colossale: migliaia di donne e uomini svolsero un ruolo indispensabile. E Neil Armstrong fu l’uomo perfetto al momento giusto. Dopo la sua morte, nel 2012, la famiglia lo definì “eroe schivo“. E in un comunicato ufficiale scrisse: “Per coloro che potrebbero chiedersi cosa possano fare per onorare Neil, abbiamo una semplice richiesta. Onorate il suo esempio di servizio, il traguardo e la modestia, e la prossima volta che doveste camminare all’aperto in una notte chiara e vedere la Luna sorridervi, pensate a Neil Armstrong e fategli un occhiolino.”
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