Scrivere un pezzo su Robert Redford è difficilissimo, perché è quasi impossibile trovare uno dei suoi quarantasei film (solo se ci limitiamo al cinema) – dal 1960 al 2019 – che non valesse la pena di essere visto e rivisto. Perché in qualunque di questi, sia che ci fosse uno più bello (Paul Newman), una donna parecchio incasinata (Jane Fonda), uno più giovane (Brad Pitt) o semplicemente una che cantava come un usignolo (Barbra Streisand), alla fine quello che ti resta impresso è l’espressione del viso di questo californiano, classe 1936, con evidenti ascendenze british.
Gli anni ’60, ovvero nessuno è più bello di noi: Robert Redford e Paul Newman. Primo tempo
E pensare che il ruolo di Sundance è stato offerto, e rifiutato, da Jack Lemmon, Warren Beatty, Steve McQueen. Ragione: il finale, la fuga non piace. Invece è quel finale che mette i brividi – la sparatoria è da rivedere mille volte – ma non è un finale, almeno non per Paul & Robert.
Robert Redford e Paul Newman. Secondo tempo
Passano 4 anni e ci sono di nuovo due banditi, e coppia che vince non si cambia. Il regista, sempre Hill, lo sa, anche se non siamo nel vecchio West, ma nell’Illinois degli anni ’30. Paul è sempre il capo e il piano è una vendetta anzi, La stangata. Gli Oscar salgono a 7 e sono più pesanti: miglior film e una candidatura al premio per Redford. Anche qui al netto della storia, ricca di colpi di scena, ci sono due ingredienti. Ancora la musica, una colonna sonora leggendaria, costituita da una serie di celebri ragtime affidati a Marvin Hamlisch. Il brano più noto è The Entertainer composto da Scott Joplin ad inizio Novecento. Il secondo sono ancora loro Henry/Paul e Johnny/Robert, a detta di tutti un’intesa mai più raggiunta, se il grande Quentin Tarantino presentando il duo Brad Pitt- Leo DiCaprio li ha apostrofati come: “La più bella coppia dai tempi di Paul Newman e Robert Redford“.
Anni ’70: da romantico sex symbol ai film dell’impegno
Biondo e romantico, atletico ed elegante. La regia di Sidney Pollack (che scommette in tutto 5 volte su Redford mettendo i ruoli in cassaforte) lo consegna al mito con 3 pellicole ravvicinate: Come eravamo con la Streisand, Corvo rosso non avrai il mio scalpo! (ancora un western) e I tre giorni del condor. Nel mentre escono sia Il grande Gatsby con Mia Farrow, sia Tutti gli uomini del presidente, dove è il volto cinematografico di Bob Woodward, uno dei due cronisti (l’altro è Dustin Hoffman che interpreta Carl Bernstein) del Watergate.
Anni ’80-90 dietro la macchina da presa ed è subito Oscar
Tante grandi interpretazioni da attore e nel 1980 arriva l’esordio alla regia: con Gente comune ed è subito Oscar. In parallelo sostiene il festival cinematografico di Salt Lake City che dal 1991 si trasforma nel Sundance Film Festival. La casa del cinema indipendente americano.
Non smette di recitare però: ancora Pollack – quarta volta – ne Il cavaliere elettrico dove ritrova Jane Fonda; e quinta ne La mia Africa con Meryl Streep, premiato con 9 Oscar.
Negli anni ‘90, poi si capovolgono i ruoli e Robert diventa un po’ Paul con Brad Pitt e arrivano due successi al box-office In mezzo scorre il fiume e Spy Game (uscito nel 2001). Ma vuole anche sperimentare alla regia e lo fa con Quiz Show, che gli vale un’altra candidatura all’Oscar, e con L’uomo che sussurrava ai cavalli, dove lancia la quattordicenne Scarlett Johansson. Nel mezzo c’è Proposta indecente nel 1994, film che tutti avrebbero dimenticato se non fosse stato per lui.
Anni 2000: Oscar alla carriera e il super cattivo tra i supereroi
E’ il 2002 quando l’Academy gli riconosce l’Oscar alla carriera, ma le sorprese non sono finite. Nel 2007 dirige Meryl Streep e Tom Cruise nel film Leoni per agnelli e a 78 anni ci ha regalato il suo primo ‘cinecomic’, altro campione di incassi, Captain America: The Winter Soldier, interpretando il capo dell’HYDRA Alexander Pierce. Nel personaggio è tornato nell’ultimo film ad oggi Avengers: Endgame del 2019.
Ma Robert Redford resta sempre come nella foto con Paul da cui siamo partiti nel 1969: “quel giovane principe biondo in apparenza, che aveva tuttavia un’interiorità molto più cupa. Era chiaramente una metafora dell’America” – spiega Pollack uno dei due registi che ha contribuito a costruire il suo mito. “E la maggior parte delle storie che abbiamo girato insieme sono diventate film d’amore, film romantici. Di questo tipo di vicende lui era il prototipo ideale!“.
Happy Birthday Mr. Redford!
LEGGI ANCHE: Bukowski, se il sogno americano è un nightmare. Ordinaria follia di uno scrittore oltre le crisi di nervi