Nelle canzoni di “Bianca” c’era già tutto Nanni Moretti
Uno dei capolavori morettiani quello del 1984; forse il più amato dal pubblico
Per alcuni il miglior film di Nanni Moretti. Nel 1984, reduce da una tripletta indimenticabile con Io sono un autarchico, Ecce bombo e Sogni d’oro, sgancia la quarta bomba della sua filmografia con Bianca. Tre candidature ai David e una ai Nastri, ma che importa dei premi: il personaggio feticcio di Michele Apicella torna protagonista di un impianto narrativo perfetto, surreale e insieme drammaticamente autentico nei suoi moventi psicologici. È un uomo “non abituato alla felicità” perché troppo consapevole che “la felicità è una cosa seria, no?”. Allora affoga l’inettitudine nella Nutella, in una scena che diventa presto un classico immortale del cinema italiano. E apostrofa chi non comprende l’importanza della Sacher torte, con una battuta entra di diritto nel parlato comune: “Vabbè, continuiamo così, facciamoci del male”.
E in effetti Bianca è un film che fa male. Nanni Moretti tira fuori un sentimentalismo esistenziale che riprenderà, sempre più grave e in tutt’altra forma, nella fase adulta della sua carriera. Definisce un personaggio affetto da un’ossessione compulsiva che sfocia poi nell’atto omicida. Ma il movente è profondo: “No, vi prego, non litigate”. Apicella crede nell’amore perfetto, ma non lo conosce. Allora si vendica verso tutte le coppie che l’amore lo trovano ma poi lo tradiscono. E mentre tutto intorno a lui muore, anche le piante che innaffia con cura, il suo mantra è così puro da essere pericoloso: “Quelli che si vogliono bene non devono perdersi”.
Più del solito, nella parabola dell’ultimo dei romantici che si trasforma in killer, le musiche giocano un ruolo determinante. Nanni Moretti ci ha regalato alcuni degli incontri più sublimi tra musica e cinema italiano. Musiche che mai si limitano ad accompagnare, enfatizzare o contrastare le scene dei suoi film, ma che costituiscono l’impianto stesso della narrazione cinematografica. Ogni titolo meriterebbe un focus, ma Bianca è il primo vero numero da fuoriclasse. Moretti schiera una serie di classici del repertori italiano e da quel momento non si ferma più.
Insieme a te non ci sto più – Caterina Caselli
Probabilmente uno dei brani più cari a Nanni Moretti, visto che nella sua filmografia gli dedica ben due scene in due film differenti. Ne La stanza del figlio (2001) la Caselli canta dallo stereo durante un viaggio in macchina, e dietro di lei attaccano a cantare prima Moretti, poi i figli e Laura Morante. Una scena all’italiana (piena di quella nostalgia che Nanni tanto bene sa raccontare), ma che è soprattutto l’ultimo ritratto spensierato di una famiglia ancora unita. La canzone diventa infatti il presagio della tragedia che sta per consumarsi con la morte improvvisa del figlio. “Chi se ne va, che male fa”. E che male fa anche riguardarla.
Prima del 2001, però, Nanni Moretti sceglie la Caselli proprio per Bianca, nel 1984. Il posizionamento del brano ovviamente non è casuale, e marca perfettamente i tratti di una poetica morettiana votata al tragicomico, con una narrazione del dramma attraverso l’ironia. Nanni infatti piazza Insieme a te non ci sto più (composta nientemeno che da Paolo Conte, con i testi di Vito Pallavicini), per accompagnare la resa dei conti del suo personaggio. Michele Apicella sta per confessare i suoi crimini, ma noi ormai gli vogliamo bene. Sarà anche un pazzo omicida affetto da manie di controllo e con l’ossessione per le scarpe della gente, ma quello che lo tormenta è un desiderio infantile che intenerisce. Michele vorrebbe solo che le coppie rimanessero insieme, che l’amore vincesse su tutto, senza tradimenti e nel rispetto di un impegno reciproco. E infatti: “Cercavo in te la tenerezza che non ho, la comprensione che non so trovare in questo mondo stupido”.
Mentre il suo personaggio riflette sulle parole che utilizzerà per costituirsi, muovendosi frenetico in un bar di Roma prima del (geniale) monologo finale del film, dal juke-box Nanni fa partire Insieme a te non ci sto più. La canzone apparentemente leggera della Caselli, un romantic-pop che nel ’68 era slittato sul podio della hit parade italiana, qui diventa il sottofondo che culla l’abbandono di Apicella. La colonna sonora del fallimento dei puri: “Chiami la polizia perché ora mi sparo”. Due cucchiaini di panna nel caffè, e poi Nanni si abbassa a sistemare il calzino di un cliente seduto accanto a lui. La mania per l’ordine e la simmetria, un ultimo impulso prima della fine. “Arrivederci amore, ciao”.
Il cielo in una stanza
Sempre in Bianca, Nanni Moretti torna ad incontrare Gino Paoli. Siamo all’inizio della storia, Apicella viene accolto nella scuola Marilyn Monroe, dove insegnerà matematica. Il preside (Dario Cantarelli) lo porta a conoscere il professore di storia (interpretato da Giorgio Viterbo, indimenticabile in questo ruolo): “Un ottimo elemento”, rassicura lui. In realtà, però, la lezione in corso è uno spaccato di storia della musica. Per parlare degli anni Sessanta, Viterbo si ritrova a raccontare di un genovese squattrinato che tornerà dalle vacanze estive con le tasche vuote, ma una canzone nata di fronte al Mediterraneo.
“Gino, all’ultimo momento, ha perso il posto. È l’estate del ’60, c’è il governo Tambroni, nei disordini a Reggio Emilia cinque o sei cittadini uccisi dalla polizia. E Gino era triste. Trova una bella ragazza e se ne vanno in Sicilia, in un piccolo villaggio nel cuore del Mediterraneo. Il sole, l’amore, lo iodio, il corpo. Quando tornerà a Milano, alla fine del mese, avrà in tasca a malapena gli spiccioli per il filobus. Ma anche un foglietto, sul quale ha scarabocchiato alcune note. Queste…”. E dal juke-box tenuto in aula attacca Il cielo in una stanza.
A dirla tutta, quella lezione di storia (della musica) crea nel film un cortocircuito di riferimenti. L’aneddoto riportato dal professore fa pensare più alla genesi di Sapore di sale (nata effettivamente durante un’estate siciliana a Capo d’Orlando, e scritta di getto come quasi mai capitava a Gino). Imprecisioni volute dallo Nanni Moretti stesso (e che certo non saranno dispiaciute a Paoli, il primo ad avallare leggende confuse dietro la storia dei suoi brani). Ma qui non c’è spazio per i puntigliosi: quando il professore si appoggia al juke-box, chiude gli occhi e ascolta estasiato il brano, sembra di vederlo davvero quel “soffitto viola”, e tutto si ferma. Poi fissa gli studenti e asserisce, alzando il sopracciglio come forse abbiamo fatto tutti, di fronte a un pezzo così. Come lo stesso Moretti si sarà scoperto a fare. È una roba mistica, da sindrome di Stendhal. Sottotesto: “Ma come ve lo spiego cos’è questa canzone…”.
Scalo a Grado
Non poteva mancare Franco Battiato, cantautore feticcio di Moretti. Qui utilizzato forse nella scena più esilarante del film, così azzeccata da avere già all’epoca il potenziale di un meme nel 2021.
Con Scalo a Grado (pezzo di Battiato dell’82) Nanni firma la scena perfetta per raccontare tutta l’inadeguatezza di Apicella. Bello e sociopatico come pochi, arriva nella spiaggia di Castelporziano e si guarda intorno: è atterrato in un covo di coppie in amore, intente a baciarsi e toccarsi sotto il sole. Per citare Battiato, “l’aria è carica d’incenso” e di ormoni. E allora, visto che lo fanno tutti, spinto da un impulso compulsivo anche lui si butta sull’unica ragazza disponibile. Letteralmente si butta, sdraiandosi su di lei mentre prende il sole in topless. Finisce a spintoni e insulti, mentre Battiato impazza: “Agnus dei qui tollis peccata mundi miserere. Dona eis requiem”.
5 anni dopo Moretti dedicherà al Maestro – tra le tante – anche una scena immensa in Palombella Rossa, parlando di politica, democrazia e disincanto attraverso le parole della sua E ti vengo e cercare. Una sequenza di oltre 3 minuti pensata quasi dalla necessità di tradurre Battiato in cinema. È una scena enorme, fuori di testa, spiritata e straziante. Un monologo che si trasforma in una sorta di coro da stadio, con qualche centinaio di comparse sugli spalti di una piscina, a cantare tutte insieme. È stata per giorni il mio antidoto alla morte di Battiato. “E ti vengo a cercare, anche solo per vederti o parlare”.
Dieci ragazze (e Paff… Bum)
Qui Moretti inserisce insieme i due Lucio, Battisti e Dalla, in un’unica scena vicina per comicità a quella in spiaggia, con Scalo a Grado, e simile nelle intenzioni utopistico-filosofiche a quella de Il cielo in una stanza. La scena dello scuolabus in gita torna a ribadire la centralità della musica nella didattica ideale di Nanni. Con un’euforia parossistica il preside annuncia: “Poche raccomandazioni. Non dimenticate il cartellino di riconoscimento. Serve per l’ingresso al Palasport e dà diritto ad un pasto al self-service, all’uso gratuito dei gabinetti e… A un disco omaggio attualmente introvabile nei negozi! Pensate: la registrazione in diretta di Lucio Dalla al Festival di Sanremo del 1966, che canta Paff… Bum!“.
Sull’euforia da Paff… Bum! Nanni Moretti piazza un’ultima raccomandazione con una battuta studiatissima: “E non date fastidio alle ragazze…”. Maestro del paradosso e dei tempi comici perfetti, così anticipa di qualche secondo il vero fulcro comico della scena. Nella scuola Marilyn Monroe, dell’organizzazione e della burocrazia non frega niente a nessuno. Sbrigate le pratiche più noiose inforcano un megafono e iniziano a cantare a cappella Dieci ragazze di Battisti, con un nerdismo esaltato da cori e controcanti. E, ovviamente, Apicella-Moretti che guarda a filo macchina, ma praticamente si rivolge a noi spettatori, con quello sguardo da lenza (o da “F4 basito”, per dirla alla Boris) che solo lui sa e può fare. Mentre il pullman si scatena (“Vorrei sapere chi ha det-to!”) lui ci fissa sconvolto. Ma in realtà, ancora una volta ci sta dicendo: se dipendesse da me, a scuola si studierebbero Battiato, Dalla, Caselli, Battisti e Paoli.
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