Mentre diventa ogni giorno più angosciante ciò che sta accadendo nell’Afghanistan in mano ai talebani, in Italia si muovono le organizzazioni no profit. Come l’Aidda, Associazione Imprenditrici Donne Dirigenti di Azienda. In una lettera alla ministra per le Pari Opportunità e per la Famiglia, Elena Bonetti, Aidda offre sostegno concreto “a favore di donne e ragazze afghane che arriveranno attraverso i corridoi umanitari” nel nostro Paese.
Aidda: “Corsi di lingua e cultura italiana“
“Voglio comunicarLe – scrive Antonella Giachetti, presidente di Aidda (a destra nella foto in alto) – la nostra completa disponibilità nei confronti del Suo Ministero per ogni eventuale attività di supporto nella formazione professionale” delle donne afghane in Italia. E in modo particolare per ciò che riguarda il loro “inserimento nel mondo del lavoro” grazie al “sostegno nella frequentazione di corsi di lingua e di cultura italiana“. Quasi ogni giorno giungono in Italia profughe e profughi sugli aerei militari provenienti da Kabul via Doha in Qatar. Dal giugno scorso, quando con l’operazione Aquila 1 furono portate nel nostro Paese 228 persone, sono più di 1500 i cittadini afghani tratti in salvo. E sono circa 1000 quelli trasferiti in Italia negli ultimi giorni. Molti di loro sono donne con i propri bambini.
“Vittime come negli anni ’90“
“Quando negli anni ’90 i talebani eressero il loro regime in Afghanistan, una delle prime conseguenze fu la repressione indiscussa dei diritti femminili” sottolinea la presidente di Aidda nella lettera alla ministra Bonetti. “Oggi il paese è di nuovo di fronte a questa drammatica prospettiva. Le donne rischiano di diventare, ancora, la prima vittima di un atto di potere. Stiamo assistendo a un intero sistema di valori minacciato. L’accesso a spazi pubblici, scuole e lavori potrebbe essere presto limitato o persino negato.” “Siamo convinte – spiegano – che con attività di formazione e inserimento lavorativo” si possa non soltanto aiutare le profughe che arrivano in Italia. Ma anche “agevolare la formazione di una cultura per aiutare chi, rimasto in Afghanistan, voglia costruire una società diversa” da quella imposta dai talebani.
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