Era il 1980 quando nelle sale cinematografiche approdò American Gigolò. Per la regia di Paul Schrader – che a breve vedremo a Venezia 78 con Il collezionista di carte – il film mostrò nel ruolo principale di Julian Kay un interprete in cerca della sua affermazione definitiva. Dopo una serie di ruoli marginali, infatti, Richard Gere ha avuto infatti la sua grande occasione nei panni di un “amante per professione“, divenendo una delle icone più importanti degli Anni Ottanta – Novanta. L’interprete, un Ufficiale e gentiluomo – parafrasando il titolo del film datato 1982, che ha riconfermato il suo successo – compie oggi 31 agosto 72 anni. E, se oggi è tra i volti più apprezzati del cinema, pare che parte del merito dipenda da John Travolta. Ecco perché.
Richard Gere, una carriera di successi e quel particolare “debito” a John Travolta
Affascinante, strenuo sostenitore del look “sale e pepe” – che ormai ha lasciato spazio a una capigliatura orgogliosamente bianca – Richard Tiffany Gere è nato a Filadelfia il 31 agosto 1949. Inizialmente iscritto alla facoltà di Filosofia dell’Università del Massachusetts, ha poi abbandonato gli studi per dedicarsi in toto al teatro. Al 1973 risale il suo debutto sul palcoscenico grazie al musical Grease. Il suo nome è stato a lungo legato al cult, portato sul grande schermo nel 1978 da Randal Kleiser. Non tanto per la storia in sé, quanto più per il curioso debito che Gere avrebbe nei confronti del Danny Zuko cinematografico, ruolo ricoperto da John Travolta.
Pare infatti che, inizialmente, per American Gigolò, che ha dato a tutti gli effetti la spinta decisiva alla carriera di Richard Gere, fosse stato scritturato John Travolta. Quest’ultimo godeva, infatti, già di un successo consolidato, grazie alla fortunata doppietta de La febbre del sabato sera (che gli regalò la sua prima nomination al Premio Oscar) e del successivo Grease. Il suo nome era stato dunque preso seriamente in considerazione per la produzione ma, all’ultimo, Travolta ha rifiutato di indossare i panni di Julian Kay. Una scelta che ha spianato, di conseguenza, la strada a Richard Gere. Ma il suo “debito”, tuttavia, non si sarebbe esaurito solo al cult, datato 1980.
Stando alle parole dell’indimenticabile “Tony” Manero, infatti, in aggiunta ad American Gigolò Gere avrebbe ottenuto altri tre ruoli rifiutati da John Travolta. “I giorni del cielo, American Gigolò, Ufficiale gentiluomo, Chicago, a cui dissi no, sbagliando, perché nella piéce le donne odiavano gli uomini, come potevo sapere che il film sarebbe stato più soft! Ogni volta erano motivi diversi e Richard non mi ha mai ringraziato!” – così ha fatto sapere tempo fa Travolta, rimarcando – con un pelino di orgoglio tra le righe – di essere stato, almeno in parte, artefice della carriera del collega. Soprattutto se si considera che Chicago rappresenta l’unico Golden Globe vinto da Richard Gere.
Oltre John Travolta: quando ci conquistò insieme a Julia Roberts in Pretty Woman
Insomma, la responsabilità del successo di Richard Gere dipende interamente da John Travolta? Non esattamente. Se con American Gigolò era diventato un sex symbol, esattamente dieci dopo è stato il protagonista maschile della commedia romantica simbolo degli Anni Novanta. E no, questa volta non è stato chiamato a “sostituire” il collega. Sul grande schermo approdò infatti Pretty Woman, in cui divise la scena con Julia Roberts. Sebbene l’attrice Premio Oscar non fosse stata la prima interprete presa in considerazione – (numerosi erano i nomi in lizza, tra cui Valeria Golino), alla fine riuscì a spuntarla. E, insieme a Richard Gere, ci regalò una delle commedie romantiche più apprezzate di sempre.
Lei, Vivian Ward, una “signora della notte”, lui Edward Lewis, un imprenditore milionario. Lei deve aiutarlo per un misterioso piano e, sotto lauto compenso, decide di accettare l’incarico. Il tempo trascorso insieme, come nelle più classiche delle favole – pur riadattata ai giorni nostri – conduce i due protagonisti al lieto fine. Pretty Woman è per l’appunto la favola moderna per antonomasia. E Richard Gere è dunque il principe dei nostri tempi, apprezzato per il suo fascino intramontabile, che anche oggi all’età di 72 anni è evidente agli occhi di tutti.
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