Stefano Cucchi: un caso che non si dimentica
La forza della sorella, una donna che non ha mai smesso di lottare per la verità con tutta la famiglia
Oggi sarebbero stati 43 anni e Stefano aveva il diritto come qualsiasi essere umano di festeggiare il suo compleanno. Di sbagliare sì, perché si sbaglia, ma di avere il tempo necessario per poter rimediare; esattamente come un qualsiasi essere umano. Umanità: un sostantivo che avrebbe sempre tutto il diritto di essere scritto con la U maiuscola, per non dimenticare la disumanità in generale e quella degli ultimi giorni di Stefano Cucchi, in particolare, mista ad odio gratuito.
La vicenda che coinvolge un ragazzo allora 32enne, residente a Morena, come tanti nell’estrema periferia a sud-est di Roma, inizia nella serata del 15 ottobre del 2009. Tra poco saranno passati 12 anni da quando Stefano Cucchi venne arrestato, perché trovato in possesso di droga. Viene portato in caserma e disposta per lui la custodia cautelare in carcere. Quella notte è l’inizio di una fine: prima sospesa, poi giudicata per molti anni. Le sue condizioni di salute sono preoccupanti. Viene fatto visitare dal medico del tribunale e dopo l’ingresso in carcere, nell’infermeria di Regina Coeli, si sottopone ad un’altra visita. Si richiede l’immediato trasferimento in pronto soccorso al Fatebenefratelli, ma Stefano rifiuta, e torna in carcere. Il giorno dopo le sue condizioni risultano essere sempre più delicate.
I sette giorni di agonia di un ragazzo qualunque
Viene sottoposto ad altre visite, finché non arriva il ricovero nel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini, dove il corpo di Stefano Cucchi di soli 37 chilogrammi si spegne. È il 22 ottobre del 2009 e per la famiglia Cucchi, è il giorno in cui ha inizio la ricerca della verità. Perché la famiglia non riusciva a mettersi in contatto con lui? Perché quei lividi sul viso e su tutto il corpo? Domande che per anni hanno occupato le prime pagine dei giornali. Punti interrogativi citati nei talk televisivi e impressi nei pensieri della sorella Ilaria e dei suoi familiari.
Stefano è oggi il Caso Cucchi
Se la breve, ma intensa agonia di Cucchi è finita il 22 ottobre di quel lontano 2009, un’altra stava solo per iniziare. Un’agonia giuridica iniziata il 29 ottobre del medesimo anno. Dall’associazione A Buon Diritto, viene convocata una conferenza stampa e viene distribuita una cartella al cui interno si trovano le immagini: un pugno allo stomaco. Stefano è irriconoscibile! Magrissimo. Un occhio e aperto l’altro chiuso.
Gli ematomi sul viso sono tanti e si notano anche vari segni sul corpo. “Perché Stefano è morto?”, è una domanda che tesserà le fila di innumerevoli udienze nei processi che vedranno tre infermieri, tre agenti della penitenziaria e sei medici rinviati a giudizio con il primo grado. Sentenza ed appello-bis. Siamo alla fine del 2015, sono già passati sei anni dalla morte del ragazzo, quando una nuova indagine-bis continua a ricercare la verità.
La vicenda giudiziaria non finisce. La determinazione e la forza di Ilaria Cucchi insieme alla famiglia, portano all’avvio di un’altra inchiesta. Siamo nel gennaio del 2017, la procura di Roma chiude le indagini e chiede il rinvio a giudizio nei confronti dei tre carabinieri che hanno arrestato Stefano Cucchi. Secondo le accuse, lo hanno maltrattato con pugni, calci e schiaffi provocando una caduta la quale, non essendo curata, l’avrebbe poi portato alla morte.
Caso Cucchi: la svolta
Nel processo la svolta arriva l’11 ottobre del 2018. Uno dei tre carabinieri chiama in causa due colleghi e li accusa di aver picchiato e procurato quei lividi e quella dannosa caduta a Stefano. “Il muro è stato abbattuto”; commenterà poi Ilaria Cucchi, che la vede ancora oggi in prima linea nel difendere la memoria di suo fratello e lottare per far sì che ciò, non accada più. Perché sì, Stefano poteva essere chiunque.
Sulla mia pelle: il film diretto da Alessio Cremonini a Venezia75
Dalla realtà come spesso accade per i casi che restano nella memoria collettiva, si passa al set. Il rispetto con cui vengono raccontati gli ultimi sette giorni di Stefano Cucchi è disarmante. “No… non sento niente, non ho niente“ è una delle frasi che cita Alessandro Borghi nella pellicola cinematografica dal titolo Sulla mia pelle, presentato al Lido di Venezia durante la 75. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. La storia non è romanzata, non è alterata. Anzi, si mantiene ferma e costante agli atti.
Non c’è giudizio e quello che rimane allo spettatore, soprattutto nei momenti in cui il regista non approfondisce con immagini, ma lascia spazio al silenzio e alle inquadrature fisse, è una sensazione fredda che si rivive sulla propria pelle. “Io ho provato solo un grande senso di responsabilità, non ci si può neanche avvicinare a quello che hanno provato Stefano e la sua famiglia”, spiega sempre l’attore durante la conferenza stampa di allora. Un film che è memoria per Stefano Cucchi, di quello che accaduto, e della straordinaria forza e dignità della sua famiglia.
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