“Come Napoleone in Europa, ho conquistato tutti i Paesi dove sono andato”. Come sempre esagera e come sempre ha ragione lui Zlatan Ibrahimovic. Ad inizio carriera forse era ossessionato che qualcuno potesse essere più forte. Di sicuro unico, devastante, potente, spettacolare come lui, tutto insieme, nessuno mai, nella sua generazione e oltre.
Ho visto giocare Ibra dal vivo molte volte, con diverse maglie, anche quella della mia squadra del cuore, e mi trasmetteva due ineluttabili certezze: che probabilmente avremmo vinto grazie a lui e che il raddoppio di marcatura era sempre troppo poco! Perché lui, il “leone che ha ancora fame… un po’ Indiana Jones. Un po’ King Kong”, avrebbe fatto di tutto. Tutto moltiplicato per un gigante, cattivo quanto basta, guascone sempre, di 195 cm, per 95 kg di muscoli.
E poi bisognerebbe dedicare un trattato a quei piedi: calza il 47, ma funzionano esattamente come il famoso 38 che vantava la generazione dei “piedi buoni“. Quelli stessi che appese ritratti all’ingresso per ricordare a se stesso, e sempre di più al mondo, che sono quelli che pagano tutto. Un’alchimia dunque, una miscela molto più che esplosiva, svedese in un motore “jugoslavo”. I gol sono tantissimi: il numero lo guardiamo a fine carriera, con questa magia che si ostina a giocare con il tempo proprio a suon di gol.
Imperniato di quella periferia di Malmö, dove è nato 40 anni fa, dove capitava di scassinare lucchetti per far propria una bicicletta che non si poteva permettere. Quel sobborgo divenuto famoso grazie a lui e allo striscione che recitava: “Puoi togliere il ragazzo da Rosengård. Ma mai Rosengård dal ragazzo”. E se non fosse stato così nel 2012 non sarebbe entrato neppure nel vocabolario svedese, non a caso con un verbo, che ne identifica l’urgenza dell’azione, zlatanera, che significa naturalmente dominare, fare qualcosa con forza. Alla Ibrahimovic e così sia!
Ibrahimovic: i modelli sul campo da gioco
“Ibra è uno dei pochi calciatori, forse l’unico, a godere allo stesso modo per un assist e per un gol. È uno dei meno egoisti che abbia mai conosciuto, cosa che è di valore inestimabile per la squadra”. Sembrerebbe stridere questa definizione di Zlatan di Carlo Ancelloti, con il ritratto tracciato fino a qui, ma fa parte del personaggio, del suo essere giocatore dominatore dell’attacco e uomo squadra. Sempre proiettato ad essere il migliore oltre che alla vittoria, che sono meramente concatenate: dallo studio dei movimenti di Van Basten per imparare o la venerazione per Ronaldo, il Fenomeno, forse il suo unico idolo.
Ibra è spettacolo non solo sul campo
Tutti gli spettatori italiani ricordano l’ultimo Sanremo, non tanto per il look o i siparietti con Amadeus, quanto per l’arrivo alla Ibra. Nessuno ha mai dubitato fosse vero. Fa parte del persona, l’eccesso e l’incredibile stupore che crea. E quindi con l’autostrada bloccata come vuoi arrivare sul palco dell’Ariston? In autostop, con un motociclista fermato per strada: una moto-taxi per il Festival.
Perché Ibrahimovic è spettacolo allo stato puro dentro e fuori dal campo. Ha vinto un disco d’oro in Svezia per aver cantato l’inno nazionale – Du gamla du fria – in uno spot che ha superato 3 milioni di visualizzazioni. Per quell’agganciare la palla ad altezze incredibili e con mosse che gli vengono dall’essere cintura nera di Taekwondo.
Un’autobiografia, Io IBRA, perché meglio di lui chi volete che mai lo racconti, e un film documentario – Zlatan – che dal libro emana direttamente, in uscita ad inizio del prossimo anno. E oggi gli facciamo gli auguri, ad uno “splendido quarantenne“, con la certezza che domani farà ancora parlare di sé. Ne abbiamo certezza perché come dice lui: