E poi arrivò Sam Raimi: l’uomo che “ha liberato” Spiderman
Per due decenni l'Uomo Ragno rimase semplicemente una sceneggiatura fino a che Raimi riuscì a "salvarlo"
La trasposizione di Spiderman al cinema non è stata un’impresa semplice. Divergenze creative, progetti inadatti, budget inconsistenti ne hanno fatto slittare l’uscita. Per decenni, a partire dal 1985, il soggetto è passato di mano in mano. Dopo il disastro al botteghino di Superman III, infatti, i lungometraggi ispirati ai supereroi subirono una flessione. Da allora iniziò una lunga trafila, durante la quale i diritti cinematografici dell’Uomo Ragno passarono da una parte all’altra. Al contempo, diversi registi vennero proposti. Da Roland Emmerich a Tim Burton, da Chris Columbus a David Fincher, dall’italiano Ruggero Deodato fino al titanico James Cameron. Ma ogni volta, qualcosa non andava. E poi, all’improvviso, nel 1999 arrivò lui: Sam Raimi.
Sam Raimi e un debutto che ha riscritto la storia del cinema: La Casa
Autore, sceneggiatore e regista sui generis, Sam Raimi a Royal Oak il 23 ottobre 1959. Fin dalla giovane età sviluppo una spiccata passione per il cinema. Insieme all’amico d’infanzia Bruce Campbell, iniziò a girare alcuni filmati in formato Super 8. Già agli albori, Raimi aveva sviluppato una propria cifra stilistica, connotata da una predilezione per il macabro, smorzato da una gran dose di ironia. Ciò fu evidente a seguito della realizzazione del suo primo lungometraggio. Insieme al compagno di camera del college Robert Tapert e all’amico d’infanzia Campbell fondò la casa di produzione Renaissance Pictures. Quest’ultima permise loro di produrre un horror a basso costo che, seppur non subito, contribuì a riscrivere i canoni del genere. Era il 1981 e, nelle sale statunitensi, approdò La casa (Evil Dead).
Se inizialmente aveva diviso la critica, riscuotendo un’accoglienza tiepida da parte del pubblico, negli anni successivi è stato rivalutato come uno dei capisaldi del genere. E, soprattutto, ha contribuito a creare uno dei personaggi più iconici dell’universo horror, ovvero Ashley “Ash” J. Williams, interpretato da Bruce Campbell stesso. La pellicola ha assistito negli anni successivi a due sequel ufficiali, usciti rispettivamente nel 1987, con il titolo La Casa 2 (Evil Dead II) e nel 1992, con il titolo L’armata delle tenebre. Successivamente, per sfruttare il successo che la saga acquisì negli anni successi – soprattutto nel nostro Paese, in cui il primo capitolo arrivò solo nel 1984 – approdarono al cinema una serie di seguiti apocrifi che tuttavia non avevano nulla a che fare con la storia di Ash. Era chiaro che, pur provandoci, nessuno sarebbe riuscito a replicare lo stile frenetico, accelerato, macabro ma pur sempre ironico di Sam Raimi.
L’uomo che ha portato Spiderman sul grande schermo
Sebbene il suo nome venga spesso associato al genere horror, al quale si è dedicato anche dopo il successo de La Casa – basti pensare a Darkman, 1990 e il più recente Drag Me to Hell, 2009 – Sam Raimi è noto anche per Spiderman. E proprio in merito all’Uomo Ragno, il regista statunitense vanta un grande primato: è spettato proprio a lui l’onore di portarlo sul grande schermo. Prima di Tom Holland e Andrew Garfield, a nascondersi sotto la tutina del celebre supereroe appartenente al multiverso Marvel fu Tobey Maguire. Il progetto di Sam Raimi riuscì perfino a superare James Cameron, il quale nel 1991 aveva proposto una sceneggiatura che era riuscita ad accontentare perfino Stan Lee. Per il personaggio di Peter Parker, aveva inoltre scelto un allora semi-sconosciuto Leonardo DiCaprio.
Per “fortuna” il progetto non andò in porto. E non perché l’idea non fosse valida, avendo trovato il favore dello stesso ideatore di Spiderman. Mentre i diritti cinematografici sull’Uomo Ragno erano passati alla Sony, infatti, Cameron aveva iniziato i lavori su Titanic, che non avrebbe potuto regalarci se si fosse dedicato al supereroe. Fu allora che Sam Raimi entrò in ballo, liberando Peter Parker dalla bidimensionalità delle pagine di una sceneggiatura. E il successo ottenuto dimostrò che, in fin dei conti, scelta migliore non avrebbero potuto fare.
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