Al via Canova tra innocenza e peccato: la mostra al Mart di Rovereto
L'esposizione, ideata da Vittorio Sgarbi, in onore del bicentenario della morte del grande artista
Con oltre duecento opere prende il via la mostra Canova tra innocenza e peccato al Mart di Rovereto. L’esposizione, visitabile fino al 18 aprile 2022, si prefigge di indagare come l’opera di Canova abbia influenzato i linguaggi contemporanei. Ideata da Vittorio Sgarbi e curata da Beatrice Avanzi e Denis Isaia, la mostra muove da quattordici capolavori provenienti dalla Gypsotheca di Possagno tra cui Amore e Psiche, Ninfa dormiente, Endimione dormiente, Le Grazie, Venere italica, Maddalena penitente, Creugante. Intorno a queste figure si sviluppano le intenzioni dei curatori del Mart: rivelare il canone canoviano nell’opera di scultori e fotografi del XX e del XXI secolo.
Canova la mostra in onore del bicentenario della morte del grande artista, morto a Venezia nel 1822
Il grande ambiente centrale della mostra presenta suggestivi dialoghi tra Antonio Canova e i più grandi fotografi di nudo del Novecento. In epoche e con mezzi diversi, una vera e propria indagine sulla perfezione della tecnica e della forma, colta e sublimata attraverso il corpo umano. Sarà possibile ammirare i grandi fotografi di nudo del Novecento. Helmut Newton, Robert Mapplethorpe, Irving Penn. Ma anche i noti scultori contemporanei come Igor Mitoraj, Elena Mutinelli e Fabio Viale, i fotografi che hanno immortalato il corpo imperfetto o fragile come Miroslav Tichý; Jan Saudek, Joel-Peter Witkin, Dino Pedriali e quelli che hanno mitizzato l’opera stessa di Canova, dagli Alinari a Luigi Spina, fino a Mustafa Sabbagh.
In un allestimento nel quale predominano il bianco e il nero, il vero protagonista è il corpo. Se alcuni artisti scelgono di idealizzarlo o estetizzarlo, altri descrivono una bellezza anti-canonica e “anti-canoviana” che contempla e contiene il suo contrario. In entrambi i casi, il corpo è icona.
Con la sua opera l’artista ha incarnato l’ideale di una bellezza eterna
Un ideale fondato su principi di armonia, misura, equilibrio, affermandosi come massimo esponente del Neoclassicismo italiano. Canova, erede della perfezione della scultura greca, ha saputo interpretare le istanze di un’epoca inquieta, a cavallo tra due secoli, dominata dall’Impero napoleonico. La sua ricerca porta in eredità un ideale estetico che continua a vivere fino a oggi. Alla ricerca di un ideale di bellezza, dall’imitazione alla celebrazione, fino alla messa in discussione e alla negazione. A sottolineare l’esistenza di questa ambivalenza è Amore e psiche che al Mart dà il benvenuto ai visitatori in due versioni, una classica, una contemporanea. Nella piazza del museo al centro della fontana il pubblico incontra l’opera dello scultore Fabio Viale che da alcuni anni sovverte, tatuandoli, i capolavori dei maestri classici.
La seconda è Amore e Psiche stanti, il gesso che Canova realizzò nell’Ottocento e che, da solo, appare al visitatore dietro lo scenografico portale d’accesso alla mostra.
Canova muove i primi passi nell’ambiente artistico veneziano prima di trasferirsi a Roma, nel 1781
Qui ha modo di approfondire la sua conoscenza dell’arte classica e di affermarsi precocemente come il più acclamato interprete degli ideali neoclassici teorizzati da Winckelmann e Mengs. Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, Canova riceve importanti commissioni dalle principali corti europee, nonché nomine prestigiose come l’incarico del Papa a negoziare il rientro in Italia dei capolavori antichi trafugati dalle truppe napoleoniche.
Un’efficiente organizzazione del lavoro nel suo studio romano gli permette di far fronte ai numerosi impegni. Canova elabora l’ideazione della scultura attraverso disegni e bozzetti in argilla. Realizza in dimensioni reali il modello in creta, dal quale i suoi assistenti ricavano il calco e il modello in gesso. Come si può vedere in Amore e psiche sul modello in gesso vengono applicati i chiodini di bronzo. Ciò serve a trasferire le misure e le proporzioni della figura dal gesso al marmo. Il blocco di pietra viene sbozzato e lavorato in fasi successive da artigiani sempre più esperti, fino alla rifinitura a opera dell’artista.
Dopo la morte di Antonio Canova, le opere che si trovavano nel suo studio romano vengono trasferite a Possagno
Qui trovano posto soprattutto i modelli in gesso e i calchi delle opere spedite ai committenti. Le sculture conservate a Possagno sono protagoniste delle fotografie scattate da Paolo Marton negli anni Ottanta e da Luigi Spina dal 2019. Il confronto tra le fotografie dei fratelli Alinari, di carattere puramente documentario e illustrativo, e gli altri scatti esposti in questa esposizione evidenzia come la fotografia sappia ormai offrire inedite visioni della scultura di Canova. Nei lavori di Aurelio Amendola, ad esempio, i marmi della Ninfa dormiente o della Venere italica appaiono sensuali e palpitanti, ricordandoci quanto le sculture del maestro del Neoclassicismo non siano solo un esempio di algida perfezione bensì espressione di sentimenti ed emozioni.
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