Michelucci: “Una Premier a Belfast, e una Regina senza eredi: è il Regno Unito che verrà”
Intervista allo scrittore e giornalista fiorentino co-autore di Wikiradio sulla Gran Bretagna pronta a festeggiare il Giubileo di Platino di Elisabetta II
Giornalista, scrittore, saggista e traduttore, Riccardo Michelucci è uno studioso del mondo britannico e profondo conoscitore dell’Irlanda, che frequenta spesso, e a cui ha dedicato molti libri, fra cui Guerra, pace e Brexit – Il lungo viaggio dell’Irlanda (Odoya) da pochi giorni nelle librerie. Fra gli autori e i conduttori di Wikiradio, in onda ogni giorno su Radio Rai Tre, Michelucci scrive di Irlanda e Regno Unito, ma anche dei paesi dell’Est e di altri temi, su Avvenire, Focus, Il Venerdì di Repubblica. VelvetMAG lo ha interpellato sulla Gran Bretagna di oggi e su quella che verrà.
Intervista esclusiva di Riccardo Michelucci a VelvetMAG
La Gran Bretagna celebra il Giubileo di Platino della Regina Elisabetta II per i 70 anni del regno. Chi potrà assumere il peso di questa eredità?
Nessuno. Non il principe Carlo, né altri. Un regno così lungo, che ha superato anche quello della Regina Vittoria nell’Ottocento, non ha eredi. Quando tramonterà, l’assenza di Elisabetta e della funzione di collante che ha svolto per così tanto tempo segnerà una svolta a tutti i livelli, compresa la tenuta stessa della monarchia. Due anni fa i britannici favorevoli a un Capo di Stato eletto dai cittadini erano il 25%, oggi sono il 36%. Anziani e adulti sono maggiormente legati alla monarchia, ma i giovani molto meno.
A causa del party-gate il Primo Ministro Boris Johnson sembra a un passo dalla rimozione a opera dei suoi stessi compagni di partito: quanto c’è di vero?
Qualcosa, ma non molto. Gli scontri interni ai Tories (il partito conservatore, n.d.r.) riemergono periodicamente. I festini a Downing Street durante il lockdown sono un pretesto, una pietra dello scandalo per attaccare Johnson, che è più astuto di quanto si pensi e sta dirottando l’attenzione dell’opinione pubblica sull’eliminazione delle restrizioni anti Covid. Non credo che alla fine ci saranno grandi sconvolgimenti. Del resto c’è un difetto di leadership a livello generale nella classe dirigente britannica.
La Brexit ha compiuto due anni. I fautori ne pronosticavano effetti salvifici; i detrattori catastrofici, compresa la disgregazione del Regno Unito. Qual è la realtà?
Grandi contraccolpi sul piano economico non ci sono stati. L’addio della Gran Bretagna all’Unione europea ha semmai fatto scattare una legge del contrappasso. Invece di cementare in senso identitario l’unione fra inglesi, gallesi, scozzesi e nordirlandesi, la Brexit ha favorito spinte centrifughe. E ha avvicinato la possibilità di nuovi referendum per l’indipendenza da Londra, soprattutto per la Scozia e l’Irlanda del Nord. Nel primo caso la cosa è più probabile; nel secondo più complessa e l’esito tutt’alto che scontato.
Nell’Ulster si è da poco dimesso il First Minister per questioni legate alla Brexit e a maggio sono previste nuove elezioni. Che esito potranno avere?
Di Paul Givan, esponente del Dup (il partito unionista filoinglese dei protestanti, ndr.), e del suo operato, non credo si ricorderanno in molti. E in ogni caso a breve ci saranno le elezioni, se addirittura non saranno anticipate. Si terranno il 5 maggio, nel giorno in cui morì Bobby Sands. Lo Sinn Féin (il partito indipendentista irlandese, votato da molti cattolici, ndr.) è in crescita nei sondaggi in tutta l’Irlanda. Nella Repubblica ha già vinto nel 2020; nell’Ulster i sondaggi lo danno come primo partito al 27%. La sua vicepresidente, e vice premier uscente dell’Irlanda del Nord, Michelle O’Neill, classe 1977, è la prima guida del partito che non ha partecipato alla lotta armata dell’IRA (Irish Republican Army, ndr.), appartiene a una nuova generazione. Ed è probabile che possa diventare First Minister dopo le elezioni. Sarebbe la prima indipendentista a diventare primo ministro.
Esiste ancora il rischio dei Troubles?
I Troubles, il conflitto a bassa intensità che ha insanguinato l’Irlanda del Nord per decenni, non c’è più e non credo ci sarà ancora. Oggi coloro che si pongono come dissidenti rispetto al processo di pace inaugurato con gli Accordi del Venerdì Santo del 1998 non hanno il sostegno popolare. Anche a Pasqua dello scorso anno ci sono stati momenti di forte tensione fra protestanti e cattolici, ma senza esiti drammatici come in passato. La morte del principe Filippo di Edimburgo ebbe come effetto indiretto di far terminare gli scontri di Belfast.
È possibile che l’Irlanda del Nord si riunifichi alla Repubblica d’Irlanda?
Rispetto ai decenni passati nell’Ulster ora c’è un benessere diffuso, l’opinione pubblica rifiuta sviluppi violenti. Nelle città non pochi ex ghetti sono stati completamente riqualificati. Certo, rimangono sacche di povertà e disoccupazione. A Derry, per esempio, la città della Bloody Sunday, di cui a gennaio abbiamo ricordato i 50 anni. Un’area che non ha beneficiato dei dividendi dello sviluppo economico nell’Irlanda del Nord in questi anni. Credo che nell’arco dei prossimi 10 anni ci sarà un referendum sull’indipendenza da Londra ma oggi i nordirlandesi hanno una spinta minore che in passato verso la riunificazione con l’Irlanda. La società britannica ha i suoi vantaggi: una sanità migliore, ad esempio.
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