Roberto Baggio, il genio che fece “divin” anche il pallone
L'unico Azzurro a giocare 3 Mondiali. Amato dal pubblico, spesso contrastato dagli allenatori
Ah! Da quando Senna non corre più… | Ah! Da quando Baggio non gioca più… | Oh no, no! … Non è più domenica!”. Non me ne voglia il grande Cesare Cremonini, ma non si dimentica, non Roberto Baggio! L’ho visto giocare dal vivo molte volte, anzi non solo giocare. Spesso mi sono fermata a lungo durante gli allenamenti, il riscaldamento pre partita, soprattutto nella sua seconda (terza?) rinascita calcistica: quando era passato ad illuminare le piccole. Ebbene toccava la palla come si suona uno strumento musicale: eleganza e impeto. E tu conservavi una certezza assoluta: che la canzone sarebbe stata un capolavoro. Non è stato solo un campionissimo, che ha calcato i campi italiani grazie al dio del calcio, che ci guarda benevoli. Sono pienamente d’accordo con Gabriele Oriali: “Roby è stato il calciatore italiano che più si è avvicinato al genio di Maradona“. Diego è il metro di giudizio del grande calcio.
Baggio: il n.10 nella cultura popolare
Il 1982 è l’anno dei Mondiali, e nelle giovanili della Lanerossi Vicenza, la stessa squadra che ha regalato al calcio Paolo Rossi, c’è un ragazzo di 15 anni che arriva da Codogno. L’anno dopo Roberto – chiamato così da papà Florindo in onore di Boninsegna – fa il suo esordio in serie A. Fino al 2004 ha attraversato e segnato la storia del calcio italiano, vestendo i colori nell’ordine di Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna, Inter e Brescia. Praticamente in un ventennio tutte le grandi, senza dimenticare i rossoblù che l’hanno riportato sul palcoscenico da cui era uscito anzitempo. Perché? Una vita sportiva difficilissima, a cui forse è dovuto l’amore incondizionato di grande parte degli sportivi italiani. E se gli infortuni è stato capace, con tenacia di superarli tutti, non così è stato con gli allenatori, e non solo.
In tanti contro, uno a favore più di tutti: Carletto Mazzone. A cui lo stesso Baggio ha dedicato parole che dicono tutti: “Posso solo dirgli grazie. Mi ha dato, credendo ancora in me, la possibilità di vivere quattro anni in più di calcio, anni belli, pieni di significato. È una persona schietta, sincera, in un mondo in cui spesso vanno avanti i ruffiani, i leccaculo, gli opportunisti“. Per qualcuno altro il “Raffaello” del calcio invece è stato un personaggio scomodo: amato più di tutti, più volte hanno cercato di ‘costringerlo’ nel dimenticatoio. Ma silenziosamente, a suon di gol, 205 in carriera in serie A – che fanno il settimo marcatore di sempre – ha conquistato il posto che meritava nella cultura popolare.
Il “divin codino” visto dagli altri
Controverso, spiccava per fermezza e carattere senza alzare mai la voce: “il suo gioco è troppo particolare e disagevole per riuscire sempre al meglio. Il pregio di Platini era la semplificazione. Baggio è un asso rococò: mette il dribbling anche nel caffellatte. Solo sul piano balistico eguaglia Platini, non già nella misura del gioco”. Il giudizio, insindacabile, è di Gianni Brera, che però si spense nel 1992 e non vide il magico biennio successivo: quel 1993 in cui ha vinto sia FIFA World Player, che il Pallone d’oro; e poi il 1994 dove praticamente contro tutti ci portò in finale di Coppa del Mondo. Quegli anni magici in cui come scrisse Eduardo Galeano “ha offerto agli italiani tanto buon calcio e tanti argomenti di discussione“.
Ha avuto il coraggio e il pregio raro di non nascondersi mai. Anche quando ha dovuto vedersela con giudizi sprezzanti di uomini assai potenti. Come l’avvocato Gianni Agnelli, suo presidente alla Juve: Non lo scriva, o se lo scrive, lo metta giù con garbo: Roberto Baggio è il più grande giocatorino che abbia conosciuto. Gli voglio bene.”
Ha vestito con orgoglio la maglia n.10, regista indiscutibile, fantasista, con il suo esempio su tutto. Come forse per la generazione precedente era stato Gianni Rivera.
L’unico Azzurro a segnare in tre Mondiali
Con la maglia azzurra ha realizzato 27 goal in 56 partite – quarto tra i migliori realizzatori – e con quei nove gol ha eguagliato quel Pablito di inizio racconto (e poi ci arriverà anche Christian Vieri. Ha disputato tre Mondiali: dalle “notti magiche” italiane del 1990 – probabilmente una delle Nazionali più forte di sempre – alla rivincita di Francia 1998, in cui superò la concorrenza dei nuovi campioni, rivelandosi determinante.
Nel mezzo il 1994, quando da giocatore più in forma della prima edizione made in USA, ci trascinò letteralmente in finale. Di quella sportivamente maledetta partita si ricorda tutto, meno dei miracoli fatti per arrivarci, anche per scelte tecniche infinitamente discusse. Fu uno dei 3 giocatori – ma nessuno li cita quasi mai – che sbagliarono dal dischetto: “ll discorso del rigore non sarà mai archiviato, era il mio sogno calcistico e non posso metterlo da parte, perché sono stato io a dare il colpo finale”. Racconterà anni dopo lo stesso Baggio, che ne ha parlato con la consueta onestà, e un pizzico di tristezza: “L’ho vissuto malissimo perché l’ho rincorso e sognato di vincerlo per milioni di notti, poi la realtà è stata quella a cui non avevo mai pensato. È un errore che non cancelli“.
Baggio dopo il calcio
Oggi, che compie 55 anni, continua ad essere “fuori: dal gioco, dal calcio, da ogni falò delle vanità“, scrisse di lui, che misurava “il mondo con le righe del campo”, Emanuela Audisio. “Gli è riuscita la magia di scomparire dal palcoscenico, di evitare l’invenzione della nostalgia, niente più c’era una volta in America”.
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