Nelle scorse settimane il Governo ha introdotto il bonus psicologo. Un supporto concreto dedicato alla salute mentale degli italiani. Ne abbiamo parlato con il dott. Mauro Schiavella, Psicologo Psicoterapeuta. Approfondendo vari aspetti e cercando una risposta semplice a domande spesso complesse.
Come stanno gli italiani dopo due anni di pandemia? I ragazzi sono davvero i più colpiti? Come hanno reagito i sanitari? In questa intervista esclusiva al direttore di VelvetMAG il dott. Schiavella, Research Manager (membro esterno) presso il B-ASC Bicocca Applied Statistics Center, dell’Università di Milano-Bicocca, ha risposto a queste ed altre domande. Partendo dall’attualità dell’aiuto concreto stanziato – fino a un massimo di 600 euro all’anno a persona – per sedute di psicoterapia private.
Intervista esclusiva a VelvetMAG del dott. Mauro Schiavella
Partiamo dalla strettissima attualità: cosa pensa del bonus psicologo introdotto dall’esecutivo?
L’erogazione di questo contributo ha due limiti fondamentali: il primo è legato all’ISEE della persona, che non deve superare i 50.000€; il secondo è relativo all’ammontare dei fondi messi a disposizione ogni anno. Si parte con 10 milioni di euro per il 2022 e mi auguro che possa essere incrementato sulla base dell’effettivo bisogno della popolazione. Penso, per esempio, all’aumento di psicopatologie come depressione, ansia, stress, dipendenze, causate dalla situazione pandemica e dalla conseguente crisi economica. Il trattamento tempestivo può davvero ridurre i rischi più gravi, come la cronicizzazione delle psicopatologie, l’isolamento sociale, la perdita del lavoro e degli affetti, il suicidio. A mio parere andrebbe integrato con il potenziamento dell’offerta di servizi di psicologia clinica e di psicoterapia offerti dalla sanità pubblica. Questo creerebbe poi più posti di lavoro per psicologi e psicoterapeuti.
Mi indica l’effetto psicologico più importante che questa pandemia ha avuto sulla salute mentale? Positivo o negativo che sia, o entrambi.
Il primo che mi viene in mente è la resilienza, un concetto psicologico che indica la capacità di resistere, fronteggiare e superare le avversità della vita, e quindi la capacità di rispondere in maniera efficace alle difficoltà e agli eventi negativi che sperimentiamo. Applicato alle comunità, si riferisce alla velocità con cui riesce a ritornare alla condizione iniziale dopo essere stata scossa da eventi di origine naturale o umana, come terremoti, tsunami, pandemie, attentati terroristici e guerre. In questo modo un’esperienza di crisi anche profonda può trasformarsi in un’occasione di crescita e miglioramento. Anche coloro che non sono nati con una particolare attitudine alla resilienza, possono svilupparla nel corso della vita. Può, infatti, essere allenata: essere creativi, prendersi cura di sé, imparare cose nuove, dedicarsi agli altri e incoraggiare la gratitudine sono tutte attività che concorrono al potenziamento della resilienza.
Gli adolescenti sono la categoria che ha sofferto di più?
In effetti, i dati del 2021 pubblicati da JAMA Pediatrics sulla prevalenza di ansia e depressione tra bambini (25,8%) e adolescenti (20,5%) ci dicono che queste patologie erano raddoppiate rispetto alle stime pre-pandemia. Se poi guardiamo la progressione dei dati nel tempo, scopriamo che i tassi di prevalenza sono andati aumentando di pari passo con il perdurare della pandemia, specialmente tra gli adolescenti più grandi e tra le ragazze.
Studi pubblicati a gennaio e febbraio 2022 ci mostrano che, se confrontiamo l’accesso ai servizi di salute mentale nel 2021 con quelli del 2019, c’è stato un aumento di più dell’80% nella fascia dei più giovani (bambini e adolescenti), mentre gli adulti hanno fatto registrare un incremento attorno al 10%, quindi davvero molto minore. In particolare, i bambini in età prescolare hanno manifestato difficoltà a dormire, scoppi d’ira, aumento delle dipendenze e dei disturbi alimentari, mentre gli adolescenti hanno sviluppato sintomatologie di tipo ansioso legate alle preoccupazioni per il presente e per il futuro.
Come è cambiato il vostro lavoro di terapeuti durante il lockdown?
Innanzitutto, c’è stato un repentino passaggio dalle sedute in presenza alle sessioni online. Questo ha comportato una fase di adattamento al nuovo mezzo di comunicazione sia da parte dei professionisti, sia da parte degli utenti. Bisogna distinguere poi tra i pazienti che avevano già avviato un percorso psicoterapico prima della pandemia e quelli che invece lo hanno intrapreso durante. Nel primo caso il lavoro di costruzione della fiducia tra paziente e professionista, che è alla base del lavoro terapeutico, era già stato fatto e proprio in forza di questo è stato possibile minimizzare il fattore della distanza sociale determinato dall’uso del mezzo di comunicazione online. Con i pazienti che hanno iniziato il percorso terapeutico direttamente online, c’è stato bisogno di uno sforzo ulteriore per riuscire a offrire uno spazio libero dal giudizio nel quale il paziente potesse sentirsi accolto e accettato, essendo anche più difficile trasmettere calore umano tramite i mezzi digitali.
Una parte dei pazienti ha deciso di sospendere o terminare il percorso terapeutico a causa di difficoltà economico-finanziarie subentrate a causa della pandemia. Si è verificata la chiusura di alcuni studi professionali individuali, a favore di una aggregazione di psicologi e psicoterapeuti in studi associati, in modo da dividere le spese di gestione e avviare nuove collaborazioni professionali.
Dott. Schiavella, I pazienti dopo la pandemia sono gli stessi?
La pandemia da Covid-19 è un lungo evento che sta portando con sé una grande quantità di stress che perdura nel tempo. Questa condizione comporta potentissimi impatti emotivi e psicologici sulle persone di tutte le età. La profonda crisi sanitaria, economica e finanziaria, che si sta verificando a livello mondiale, rappresenta una grave minaccia ai bisogni di sicurezza, stabilità e protezione necessari per provare fiducia in se stessi e nel futuro. Le persone possono smettere di fare progetti per il futuro.
Quali ansie e paure sono aumentate di più?
Continuiamo ad assistere alla diminuzione delle azioni che alimentano la crescita personale e professionale, perché le persone devono mettere in atto comportamenti miranti alla sopravvivenza. Questo produce ansia, paura, solitudine, incertezza, e senso d’impotenza che dominano in maniera prepotente il panorama emotivo degli individui, delle famiglie e di intere comunità. La paura del contatto, del contagio, della morte di se stessi o dei propri cari sono certamente aumentate, assieme a visioni pessimistiche del futuro e alla paura del futuro stesso.
Un operatore su cinque ha chiesto aiuto: come stanno i sanitari?
Gli operatori sanitari, che si sono trovati a combattere in prima linea la guerra contro il virus, affrontando anche lunghi periodi di turni devastanti, hanno accumulato altissimi livelli di stress, ansia e paura, e molti di loro hanno rischiato la sindrome da burnout. Secondo i dati più recenti, 2 infermieri su 3 hanno sperimentato disturbi del sonno e stress da esperienze traumatiche. La Federazione degli Ordini degli Infermieri ha reso noto che addirittura 2.500 infermieri abbiano optato per le dimissioni a causa della condizione di salute mentale subentrata a causa della pandemia.
Un ulteriore problema futuro sarà la grande mole di prestazioni sanitarie sospese, – visite specialistiche e interventi chirurgici – per curare i pazienti affetti da COVID. Queste dovranno essere recuperate e il rischio è che gli operatori sanitari vengano sopraffatti da una enorme quantità di lavoro. Aggiungendo al burnout da pandemia anche quello da eccesso di prestazioni sanitarie.
Cosa mi dice dei rapporti di coppia? Quanto ha influito il distanziamento sulla salute della coppia?
Chiaramente il modo di essere dell’individuo e il suo funzionamento sociale contribuiscono a determinare come vengano vissuti a livello di coppia distanziamento e isolamento sociale. Se l’individuo riesce a vivere la coppia come una risorsa per affrontare e superare le difficoltà della vita, allora alimenta la fiducia nelle proprie capacità di reazione. In caso contrario la coppia può essere vissuta come luogo esclusivo dove sfogare le proprie angosce più profonde. Come pure una forma di prigionia che limita la libertà dell’individuo, dando vita a gravi problemi di coppia: mancanza di espressione dell’affettività, rinuncia alla vita sessuale, scoppi d’ira, violenze domestiche a livello psicologico, fisico e sessuale.
Come hanno reagito coloro che hanno tradizionalmente sindromi depressive in questo biennio?
Quando la depressione è una condizione cronica, che si protrae già da tempo, va a modificare in maniera determinante il modo in cui la persona vive la propria vita interna (pensieri, emozioni e stati d’animo) e la propria vita esterna, come le relazioni sociali personali e professionali. Provoca conseguenze dannose come la perdita di relazioni affettive significative, del lavoro o di nuove occasioni professionali, il suicidio. Il lavoro psicoterapico permette ai pazienti di essere sostenuti nell’affrontare quei periodi di particolare sconforto e sfiducia. Come quelli che abbiamo vissuto in pandemia.
Parliamo di un rischio burnout particolare: essere sempre connessi, lo smart working.
Sappiamo che il 31 marzo 2022 terminerà lo stato di emergenza pandemica, anche se siamo piombati in un altro incubo. Dal primo aprile sarà comunque possibile continuare a lavorare in smart working. I principali rischi da un punto di vista psicologico sono la cosiddetta sindrome della capanna e lo sviluppo di dipendenze. Quest’ultime sono legate al tempo trascorso davanti allo schermo: videogiochi, gioco d’azzardo, shopping online, pornografia, binge watching, social…). Partiamo dalla prima: una reazione psicologica che può insorgere a seguito di un lungo periodo di isolamento sociale. La propria casa è vista come unico luogo protetto e sicuro, mentre il mondo esterno è minaccioso, rischioso, cambiato in peggio. La persona non si sente in grado di affrontarlo. Sindrome della capanna e dipendenze possono essere trattate con la psicoterapia.
Che consiglio darebbe dott. Schiavella ai nostri lettori e lettrici?
Lavorare sulla resilienza: prendersi cura di sé a partire da alimentazione e attività motoria, senza trascurare il benessere psicologico; dedicarsi ad attività creative da soli o assieme alle persone con le quali conviviamo. Come pure cimentarsi in attività nuove e che magari avremmo “sempre” voluto fare. Un corso di yoga, di cucina, di fai-da-te o di balli latino-americani, solo per fare degli esempi.
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