La Corte di Cassazione ha emesso la sua sentenza, definitiva, il 4 aprile, sul caso dell’omicidio di Stefano Cucchi, avvenuto nel 2009 mentre la vittime era sottoposta a custodia cautelare e quindi affidata allo Stato. I giudici hanno ridotto di un anno – da 13 a 12 anni – la condanna per omicidio preterintenzionale ai carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, confermando però la loro colpevolezza. I due militari si sono consegnati in carcere.
Si dovrà svolgere, inoltre, un nuovo processo di appello per altri due carabinieri accusati di falso. Lo ha deciso la suprema corte che così riapre l’appello bis per Roberto Mandolini e per Francesco Tedesco. Il primo aveva ricevuto una condanna a 4 anni di reclusione; il secondo a 2 anni e mezzo. Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo, i due carabinieri condannati a 12 anni dalla Cassazione, si sono consegnati. Entrambi si sono recati nella caserma Ezio Andolfato di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), sede del carcere militare giudiziario. Sono arrivati nel cuore della notte fra ieri e oggi 5 aprile, riporta l’Ansa.
Cosa ha detto Ilaria Cucchi
“A questo punto possiamo mettere la parola fine su questa prima parte del processo sull’omicidio di Stefano. Possiamo dire che è stato ucciso di botte, che giustizia è stata fatta nei confronti di loro che ce l’hanno portato via” ha dichiarato Ilaria Cucchi. “Devo ringraziare tante persone, il mio pensiero in questo momento va ai miei genitori che di tutto questo si sono ammalati e non possono essere con noi. Va ai miei avvocati Fabio Anselmo e Stefano Maccioni e un grande grazie al dottor Giovanni Musarò (il pubblico ministero, n.d.r.) che ci ha portato fin qui“. “Finalmente è arrivata giustizia dopo tanti anni almeno nei confronti di chi ha picchiato Stefano causando la morte.” Lo ha detto Rita Calore la madre di Stefano e Ilaria Cucchi.
L’Arma: “Vicini a famiglia Cucchi“
“Siamo vicini alla famiglia Cucchi di cui condividiamo il dolore. E a cui chiediamo di accogliere al nostra profonda sofferenza e il nostro rammarico“. Così il comando generale dell’Arma dei carabinieri dopo la sentenza della Cassazione. A questo punto “saranno sollecitamente conclusi, con il massimo rigore” i procedimenti disciplinari a carico dei due carabinieri condannati, fa sapere il Comando generale. La sentenza, aggiunge l’Arma “ci addolora perché i comportamenti accertati contraddicono i valori e i principi ai quali chi veste la nostra uniforme deve sempre e comunque ispirare il proprio agire“.
Il caso Cucchi
Stefano Cucchi, 31 anni, geometra, era stato fermato il 15 ottobre 2009 a Roma durante un controllo. I militari lo avevano portato in caserma per possesso di droga. Secondo la verità accertata in giudizio, i carabinieri Di Bernardo e D’Alessandro, ora condannati in via definitiva dalla Cassazione, lo presero a calci e pugni. Cucchi fu percosso violentemente: si ruppe una vertebra e riportò lesioni ai nervi con gravi ripercussioni sulla vescica. Il volto era tumefatto. Fu una via crucis notturna quella di Stefano Cucchi, portato da una stazione all’altra” ha sottolineato in aula il Procuratore generale della Cassazione, Tomaso Epidendio. “Tutti i testimoni che hanno visto Stefano dopo il pestaggio sono rimasti impressionati dalle sue condizioni. E sono tanti: infermieri, agenti di guardia, agenti delle scorte. Non si può pensare che si siano messi d’accordo per un complotto contro i carabinieri“.
Sette processi in 13 anni
Per il Pg si è trattato di una violenta “punizione corporale di straordinaria gravità” per il rifiuto di Cucchi di sottoporsi al fotosegnalamento, “reazione prevedibile e neppure delle più eclatanti“. Sette processi, tre inchieste, due pronunciamenti della Cassazione per una verità giudiziaria arrivata il 4 aprile, a 13 anni dalla morte di Stefano Cucchi. Il geometra romano morì all’ospedale Sandro Pertini di Roma mentre, affidato allo Stato, era sottoposto alla custodia cautelare. Un calvario umano quello di Stefano, durato una settimana. A cui si è aggiunto quello giudiziario che la sorella Ilaria e la famiglia hanno affrontato prima nel silenzio di tutti e poi con la solidarietà anche istituzionale.
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