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Elon Musk si compra Twitter, la società esce dalla Borsa

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Twitter appartiene a Elon Musk. Con un radicale voltafaccia rispetto alle attese, il Consiglio di amministrazione della società che cinguetta ha accettato l’offerta dal valore di 44 miliardi di dollari del patron di Tesla.

Si tratta di uno dei maggiori leveraged buyout – acquisizione attraverso debito – di una società quotata in Borsa che sia mai stato effettuato. L’accordo dovrebbe chiudersi entro il 2022. Twitter si appresta dunque a lasciare il mercato azionario di Wall Street a New York e a diventare un società del tutto privata. Il miliardario statunitense che progetta lo sbarco su Marte la controllerà interamente.

Musk: “Su Twitter libertà di parola

Con l’acquisizione di Twitter l’uomo più ricco del mondo mette le mani su uno dei social più influenti del pianeta. Basti pensare alla circolazione di informazioni ufficiali, notizie giornalistiche, dibattiti fra gli utenti, e anche fake news, in relazione alla guerra in Ucraina. “Farò di Twitter la piattaforma della libertà di parola per eccellenza” afferma Musk. Una piattaforma su cui, tanto per fare un esempio, molti americani sperano di poter ritrovare presto Donald Trump. Il Twitter del fondatore, Jack Dorsey, espulse l’allora presidente uscente degli Usa, dopo l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. Secondo analisti e commentatori, Trump sta già pagando un conto salato per l’esclusione da Twitter. Il social media Truth, che ha messo in piedi per correre ai ripari, ha un pubblico limitato. Ed è già alle prese con una fuga di manager. Insomma: rischia di scomparire. Lo stesso Trump ha però escluso un suo ritorno sul nuovo Twitter di Musk.

Twitter arena di odio?

In ogni caso, il controllo assoluto di Twitter da parte di Elon Musk, che si auto-definisce “assolutista della libertà di parola“, adesso agita molti. C’è chi teme che con il patron di Tesla al comando Twitter possa diventare una “arena di odio“. Altri sono convinti che la sua crociata anti censura non risolverà i problemi che flagellano il social media da anni. Musk non ha ancora chiarito nel dettaglio cosa farà: al di là di voler procedere al delisting di Borsa, il patron di Tesla si è limitato a dire che Twitter ha bisogno di essere “trasformato“. E che dovrebbe basarsi su un algoritmo open source.

A destra il presidente di Twitter, Bret Taylor

Twitter, i dipendenti preoccupati

I dipendenti di Twitter s’interrogano sull’impatto che Musk avrà sulla società.  Preoccupati dalla volontà del miliardario visionario di voler smantellare le politiche di moderazione dei contenuti. E, soprattutto, di voler procedere con il delisting della società di fatto sottraendola ai riflettori pubblici e lasciando a Musk mano libera su come procedere. La frustrazione dei lavoratori nei confronti dell’azienda emerge chiaramente nelle chat private, dove si lamenta il silenzio dei vertici che li hanno lasciati all’oscuro.

Dorsey si schiera con Musk

Nonostante molte perplessità Musk è riuscito a convincere diversi azionisti della bontà della sua offerta da 54,20 dollari per azione. E anche il fondatore, Jack Dorsey, dimessosi da Twitter per protesta lo scorso novembre, approva il passaggio di proprietà a Musk. Il Consiglio di amministrazione fino a due settimane nutriva dubbi sull’acquisizione. I ripetuti contatti degli ultimi giorni con i componenti del Cda hanno rimosso gli ultimi ostacoli. Adesso Elon Musk è un “barone dei social” pronto a rivoluzionare il settore. Così come ha fatto per l’industria automobilistica con le avveniristiche auto elettriche di Tesla. Ma non è chiaro se ciò sia un bene o un male.

Jack Dorsey (primo da sinistra). Foto Twitter @brockm

LEGGI ANCHE: Adolescenti e ventenni dicono addio ai social: “Grande sollievo, l’umore migliora”

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore. Segui Domenico su Facebook Segui Domenico su Linkedin

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