Malcolm X, l’uomo senza cognome che spaccò l’America
Gli anni di prigionia e studio, l'adesione all'Islam e l'oratoria travolgente di uno dei più importanti attivisti per i diritti umani e civili del '900 americano
La sete di giustizia, lo spirito di ribellione, la rottura di ogni schema erano in Malcom X così radicati che ce l’aveva nel nome. Pardon, nel cognome. Ma no. Nel ‘non-cognome’. Giovedì 19 maggio di Malcolm X si ricorda la nascita, nel 1925, a Omaha, Nebraska. Una buona occasione per studiarne pensiero e azione.
Il suo cognome era Litte. Malcolm Little si chiamava uno dei più noti leader religiosi, politici e attivisti per i diritti umani del Novecento statunitense. Ma lui aveva abolito il suo cognome esibendo la ‘X’: Malcolm X si faceva chiamare. Perché, diceva, il cognome dei neri era un’eredità del sistema schiavistico americano. “Mio padre – spiegò in un’intervista – non conosceva il suo vero cognome. Lo ricevette da suo nonno che a sua volta lo ricevette da suo nonno che era uno schiavo e che ricevette il cognome dal suo padrone“. Dunque la ‘X’ stava per ‘incognita’ come in matematica, ma anche per rifiuto della società dominata dai bianchi.
Malcolm contro King
Forte, fortissima, in Malcolm X, la polemica pugnace, a tratti violenta, verso l’uomo bianco. Tanto da fargli disprezzare l’opera di Martin Luther King Jr., il ‘volto buono’ e non violento del movimento per i diritti civili dei neri negli Anni Sessanta. Protagonista della storica marcia del 1963 a Washington che si concluse di fronte al Lincoln Memorial con il celeberrimo discorso I have a dream sull’utopia della fine del razzismo e dell’avvento di un’era di pace tra bianchi e neri. La replica di Malcolm X fu che si era trattato di una “farsa fatta da bianchi davanti alla statua di un presidente morto da cento anni (Abraham Lincoln, ndr. ) e al quale, quando era vivo, noi non piacevamo”. Per lui Martin Luther King Jr. era uno “strumento” nelle mani dei bianchi, così come le sue teorie sulla non-violenza, utili solo a rendere i neri ubbidienti e incapaci di ribellarsi.
La morte di Kennedy
C’è una vulgata che si prolunga nel tempo fino a oggi e che vede i due giganti del movimento dei neri americani avversari irriducibili. Ma forse non è stato così. Non pochi pensano che, alla fine, King e Malcolm avrebbero finito col collaborare. Di certo uno statista a cui il reverendo King si era avvicinato, John Fitzgerald Kennedy, non piaceva a Malcolm X. Il quale, in occasione dell’assassino del Presidente, il 22 novembre 1963 a Dallas, commentò gelidamente. La violenza che i Kennedy non erano riusciti a fermare, disse, si era “ritorta contro” JFK. E aggiunse che questo genere di cose non lo intristiva, ma anzi lo rendeva felice.
Malcolm X e la Nation of Islam
Queste sue frasi furono sconfessate dalla Nation of Islam (NoI) di cui era un esponente in vista. Malcolm X aveva abbracciato la fede islamica e le teorie della NoI già da giovane, appena ventenne, durante gli anni di prigionia seguiti a una vita borderline fra crimine e povertà. La NoI si autodefiniva una “setta islamica militante“. La sua tesi centrale era che la maggior parte degli schiavi africani erano stati in origine musulmani. E che quindi i neri avrebbero dovuto riconvertirsi all’Islam. La Nation of Islam era inoltre un gruppo “nazionalista nero“. Auspicava la creazione di una nazione nera separata all’interno degli Usa.
Malcom fu un predicatore formidabile. I suoi discorsi infuocati e il suo invito pressante ad aprire gli occhi e ad acquisire coscienza civile di fronte ai soprusi del bianchi portarono moltissimi proseliti alla NoI. Fra i più celebri, il campionissimo della boxe, Cassius Clay, che proprio aderendo al movimento decise di cambiare il proprio nome in Muhammad Ali.
Ben presto Malcolm X divenne il numero due e il braccio destro di Elijah Muhammad, il capo supremo. Fra il 1952 e il 1963, certamente anche grazie al suo grande carisma, la NoI aumentò il numero di iscritti da 500 a 30.000. Ma le cose con la “setta” a un certo punto si erano messe male. A Malcom quella realtà stava stretta, non sopportava più i comportamenti disinvolti di Elijah Muhammad. E probabilmente i dirigenti della Nation of Islam erano gelosi e invidiosi della sua fama.
L’omicidio mai chiarito davvero
Il 21 febbraio del 1965 Malcolm X fu ucciso con 21 colpi d’arma da fuoco mentre teneva un discorso davanti a 400 persone in un hotel di New York. Ai suoi funerali ad Harlem partecipò un milione e mezzo di persone. Le indagini portarono a indentificare i suoi assassini in alcuni membri della Nation of Islam. Ma ancora oggi non è chiaro chi siano stati i mandati dell’omicidio del predicatore che infiammava i neri d’America. Morì a 40 anni non ancora compiuti.
La stessa età alla quale morì assassinato anche il reverendo King, il 4 aprile 1968 a Memphis, due mesi prima che il candidato democratico alle presidenziali, Robert Kennedy, fratello di John, fosse anch’egli assassinato a Los Angeles. “I diritti umani sono qualcosa che avete dalla nascita. I diritti umani vi sono dati da Dio” diceva Malcolm X nei suoi discorsi. Una realtà che ancora oggi non è affatto scontata per i neri d’America, come ha dimostrato la eco planetaria dell’omicidio dell’afroamericano George Floyd a opera di un poliziotto di Minneapolis, il 25 maggio 2020.