È una lunga alba ancora travagliata quella del XXI secolo in Europa. Giovani oppressi e oppressori vecchi, e non pentiti, s’infrangono sulla realtà della cronaca internazionale.
Il dramma delle migrazioni non accenna ad attenuarsi. Giovani africani, figli di questo secolo, si muovono dalla parte più profonda del continente, oltre la cortina rovente del deserto del Sahara. Tentano ogni giorno di passare il muro d’acqua del Mediterraneo. Per entrare a ogni costo nell’Eldorado Europa. Fuggono da una diseguaglianza sempre più profonda fra mondo ricco e mondo povero, dalla mancanza di futuro, da dittature e guerre. Molte, troppe, volte neppure arrivano a toccarlo quel muro d’acqua fatto di mare. Com’è avvenuto venerdì 24 giugno. Quando alcune centinaia di uomini migranti di origine subsahariana hanno provato a scavalcare la recinzione della barriera di Barrio Chino, a sud-est di Melilla. Nel tentativo disperato di raggiungere la Spagna.
Melilla, porta del secolo migrante
Melilla è una città autonoma spagnola situata sulla costa orientale del Marocco, nell’Africa del Nord. Un porto franco che guarda le coste della Spagna. Primo approdo – da quel lato di mondo – alla Fortezza Europa. È un’exclave. Una realtà territoriale che vive di pesca, dall’antichissima storia, che Madrid e l’Unione europea sovvenzionano. Un po’ come la russa Kaliningrad che Lituania e Polonia, oltre al Mar Baltico, circondano da tutti i lati. Il confine terrestre tra Melilla e l’entroterra marocchino è recintato e sorvegliato da guardie armate. Molti migranti sognano di entrare nell’exclave perché, essendo territorio spagnolo, Melilla garantisce la possibilità di libero accesso all’Europa.
Una strage senza senso
Il 24 giugno scorso la polizia di frontiera marocchina, appoggiata da quella spagnola, è intervenuta in modo molto brutale. In poco tempo l’assalto a mani nude dei migranti alle reti di recinzione e al filo spinato è finito in tragedia e in crimine. Per impedire alle persone di oltrepassare il confine, gli agenti hanno respinto i migranti con esecuzioni sommarie. La calca e il terrore hanno fatto il resto. Sono almeno 37 i morti, come denuncia l’Associazione Marocchina per i Diritti Umani (Amdh). Il premier spagnolo, Pedro Sanchez, si è complimentato con il Marocco destando scalpore in Spagna.
La notizia, nella lunga, travagliata alba di questo nuovo secolo, è passata in secondo piano in Italia. Anche su VelvetMag, per responsabilità di chi scrive. Troppa attenzione destava la guerra in Ucraina. Troppa vergogna, forse, si è accumulata dopo che sui social media si moltiplicavano fotografie e video del pestaggio dei migranti da parte della polizia. E dell’ammasso dei loro corpi. Alcuni senza vita, altri feriti o con le mani legate dietro la schiena, sotto i fili spinati. Come carni al macello.
Sepolti nelle fosse comuni
Possibile che la stessa Europa che orgogliosamente rivendica unità e difesa dei diritti umani additando la Russia di Putin a carnefice del popolo ucraino non abbia un sussulto di autocritica in questo nuovo secolo per ciò che accade alle porte della sua exclave in Marocco? Secondo Erasmo Palazzotto, presidente della Commissione d’inchiesta del Parlamento italiano sul caso Regeni, le autorità marocchine hanno sepolto i migranti uccisi in fosse comuni. Senza alcuna indagine, senza identificazione, senza alcuna autopsia.
A fronte di giovani africani senza nome, morti in maniera non meno violenta di tanti ucraini in 4 mesi di guerra, si registra la storia di un vecchio oppressore, del XX secolo. Il signor Josef Schütz, cittadino tedesco di 101 anni. Si tratta del più anziano ex guardiano nazista che abbia finora dovuto rispondere dei suoi crimini in un’aula di giustizia. Un tribunale di Neuruppin, nel Brandeburgo (Germania orientale), lo ha condannato a 5 anni di reclusione. Schütz è ex guardiano del lager nazista di Sachsenhausen. Il tribunale lo ha riconosciuto colpevole di concorso nell’omicidio di 3.518 persone fra il 1942 e il 1945. Si tratta di fucilazioni di prigionieri di guerra sovietici, deportati assassinati nelle camere a gas, decessi per condizioni disumane di detenzione.
Orrori dal vecchio secolo
Non ci sono prove che l’uomo abbia ucciso in prima persona. Ma con la sua attività ha reso possibile che il lager funzionasse. E nell’ordinamento giuridico tedesco l’omicidio non cade in prescrizione. Per tutto il processo il signor Schütz ha negato di aver partecipato ai crimini per i quali è stato poi condannato. Ma le prove di tre anni in servizio nel lager nazista sono apparse evidenti. E uno psichiatra geriatrico ha escluso che fosse affetto da demenza. Non ha mostrato segni di pentimento, di ravvedimento, neppure a 101 anni. Nuovi oppressi – i migranti africani di Melilla. Vecchi oppressori non pentiti – l’ex guardiano nazista centenario.