A brevissimo in sala con Quasi Orfano, Grazia Schiavo è sicuramente l’emblema della classe e dell’eleganza, come più volte ha dato modo di mostrarci. Ma in questa esperienza, l’interprete romana ha aggiunto una nuova sfaccettatura di sé, che ha condiviso in esclusiva con noi di VelvetMAG.
Dal teatro, al cinema e alla televisione: Grazia Schiavo ha fatto letteralmente di tutto. Spot pubblicitari, conduzione televisiva, ma è la recitazione, si può dire, la sua vera passione. Una passione per certi versi “osteggiata” perché non completamente condivisa dal papà come ci ha raccontato, ma che alla fine le ha dato modo di ottenere una sua “rivalsa”. Eleganza, talento, bellezza, ma anche una consapevolezza di sé, conquistata nel corso degli anni, le hanno permesso di ritagliarsi un personalissimo spazio nel panorama televisivo e cinematografico italiani.
In più quella preziosa dote del trasformismo le ha consentito di offrirci una sua inedita versione, che rappresenta un’ulteriore conquista nel suo percorso professionale. Anche perché, come lei stessa ci ha confessato: “Ma “viva Dio” quando noi attori abbiamo la possibilità di cambiare, cioè di vederci noi diversi e di farci vedere diversi“. E in questa occasione, ci ha raccontato la sua metamorfosi verso la “baresità” in Quasi orfano di Umberto Carteni, in sala dal 6 ottobre.
Intervista a Grazia Schiavo
Partirei dalle tue origini: nasci a teatro, approdi negli Anni Novanta al cinema e lavori anche in televisione tra spot e serie televisive: qual è secondo te il segreto per giostrarsi tra questi tipi diversi di linguaggio?
Sicuramente avere una consapevolezza di come muoversi da un territorio ad un altro, fermo restando che per quanto riguarda la recitazione a teatro e al cinema, tolti i limiti dello spazio e il fatto di rivolgersi a un pubblico presente, nel primo caso, e a una camera, nel secondo, non cambia molto. Perché la recitazione dovrebbe essere sempre quella. Dovrebbe perseguire un ideale di verità, di coerenza con la storia e il personaggio.
La televisione, che ho fatto più da piccola, ha altri registri: sono stata conduttrice, ho spaziato molto all’inizio. – ha confessato Grazia Schiavo, che ha aggiunto – È un altro mestiere ma si è se stessi: non c’è un lavoro su un personaggio. Anche la pubblicità mi ha divertita tantissimo, perché trovavo molto divertente realizzare in breve tempo uno spot che deve trasmettere qualcosa in un pochissimi minuti. Devo dire che mi veniva anche abbastanza spontaneo e naturale. Ma la passione per la recitazione deriva da qualcosa di più profondo che richiede uno studio continuo.
In un certo senso, cresci in un ambiente artistico tra nonno pittore e madre scultrice, ma ho letto che ti sei sentita “osteggiata” nell’intraprendere la carriera recitativa. Pensi che questo divieto ti abbia aiutata? Se sì, in che modo?
Allora, aiutata non credo tanto, (ride). Mio padre, avvocato, in tutti i modi cercava di persuadermi a cambiare strada. Diceva che l’avvocato è l’attore per eccellenza e voleva che prendessi quella che sembrava una strada più sicura. L’arte spaventa tutti perché oggi lavori e domani non si sa. Ci sono tanti fattori che non hanno a che fare con il talento. Quindi, mio padre aveva ragione sotto certi aspetti. (ride) Al contempo, però, non si può bloccare una passione.
Non mi ha facilitata (il divieto n.d.r.) perché spesso ho tenuto il freno a mano tirato, avevo quasi il senso di colpa. – ha affermato Grazia Schiavo, che ha proseguito – Perché dentro di me albergava questa sensazione del “però non l’ho fatto contento”. Ma ad oggi dico “ma chi se ne frega dei sensi di colpa”. (ride) I genitori dovrebbero essere felici che i figli perseguano la loro felicità. Bisognerebbe non cercare in maniera ossessiva di corrispondere alle aspirazioni dei genitori, che spesso sono costruite sulle paure. Le ho incamerate poi mi sono detta “potranno essere utilizzate per i personaggi”. Nella vita mi hanno un po’ frenata, ma è stato anche il segno di un carattere che si andava costruendo. Ho avuto anche modo di riprendere gli studi di psicologia che era una delle mie più grandi passioni e ho capito molte cose in più.
L’esperienza in Divorzio a Las Vegas
In virtù di questa influenza, è arrivato poi il ruolo di Sara, un avvocato per l’appunto, in Divorzio a Las Vegas. Come una sorta di riscatto o magari per “ironia della sorte”
L’ho pensato. (ride) Mi sono detta che almeno mio padre sarà contento, anche se non l’ha ancora visto. Almeno lo faccio come attrice. Io penso che i personaggi non arrivino mai per caso: anche quelli più lontani hanno a che fare con me. Mi devono ricordare o far affrontare qualcosa che magari nella vita rimando.
Come ricordi quest’esperienza in Divorzio a Las Vegas?
Mi sono divertita tantissimo. Abbiamo girato a Las Vegas, anche il personaggio mi piaceva: aveva un suo arco narrativo e anche il rapporto con Andrea Delogu è stato molto divertente. – ha confessato Grazia Schiavo, che ha aggiunto – Lei è una persona fantastica ed è importante trovarsi umanamente. È stato molto bello e poi non accade tutti i giorni. A me era capitato di andare a Las Vegas e dire: “Sarebbe bello girare un film qui” e poi è accaduto. Insomma, mai dire mai. (ride) Nulla accade per caso: a volte avere visione delle cose in qualche modo aiuta a raggiungerle.
Grazia Schiavo ci parla di Quasi Orfano, al cinema dal 6 ottobre
Parlando più del presente sta per uscire al cinema Quasi orfano di Umberto Carteni, che segna per così dire il tuo “ritorno” in Italia dopo la breve parentesi a Las Vegas. Come descriveresti e cosa ci dovremo aspettare dal tuo personaggio?
Il mio personaggio mi ha divertito tantissimo e spero che diverta anche il pubblico perché è la cognata di Riccardo Scamarcio, Valentino Rocco (nel film, n.d.r.). Fa parte di questa famiglia dirompente, perché irrompe in un mondo perfetto, milanese, di questo designer. Per un errore arriva a scompigliare un po’ tutto.
Il mio personaggio mi ha divertito fin dall’inizio, già per l’approccio al barese, perché ho dovuto studiare un dialetto, anzi una lingua. (ride) Sono stata supportata da Azzurra Martino, che è stata una coach essendo lei pugliese. Ti devo dire che a un certo punto ho sentito di aver assorbito questo dialetto e non potevo fare a meno anche al di fuori di parlare in barese. Ero arrivata a un matrimonio e parlavo in dialetto. È stato molto bello, un po’ scioccante all’inizio: io dico sempre “viva Dio” quando noi attori abbiamo la possibilità di cambiare, cioè di vederci noi diversi e di farci vedere diversi. Il regista mi ha detto fin da subito “guarda Grazia ti voglio abbassare”, mi ha voluto un po’ smorzare e rendermi più credibile come donna semplice.
Il film nasce come remake di una commedia francese e abbiamo giocato sul barese come in Francia hanno giocato sugli accenti del loro sud. Esiste dappertutto, anche a Roma tra nord e sud. (ride) Quando si incontra l’alterità il diverso fa paura ma è un arricchimento. Nel film sono vestita colorata, spesso in ciabatte e ho questi capelli ricci sciolti: a me piace fare le foto glam, truccarmi, sentirmi bene. Ma con i personaggi è diverso, è tutto molto liberatorio, ti liberi di certe ansie di perfezione della follia di doversi sempre vedere al meglio.
Ci puoi raccontare un episodio o un aneddoto divertente sul set?
Ce n’è uno ma spoilererei la scena. Un episodio divertente: scena d’amore io e Antonio Gerardi, c’è stato tutto un preparativo, ma alla fine non è stata tutta montata. Ma guarda ce ne sono tanti, legati anche al mio personaggio perché è una donna forte. In quanto donna del sud ha anche carattere, ha una sua fierezza. Mi ha divertita tirare fuori momenti di rabbia nei confronti di certe situazioni. Guarda, tu passa a un’altra domanda e magari mi viene in mente altro. (ride)
Vorrei tornare al rapporto tra Divorzio a Las Vegas e Quasi orfano. Nonostante abbiano solo due anni di differenza, sono figli di due periodi diversi pre e post-Covid: pensi che questa diversa impostazione ti abbia influenzato nel corso delle riprese?
Sicuramente c’era tanta più spensieratezza prima. Io sono tornata da Las Vegas che era dicembre e poi è scoppiato tutto. Viaggiare con le mascherine, fare un vaccino, dover fare un tampone ogni tre giorni: sono tante le cose che appesantiscono il tutto. Cambiano tanti aspetti e anche quella vicinanza con i compagni di lavoro che ho avuto due anni prima non è stata la stessa cosa tra di noi, nonostante fossimo tamponati. Si, probabilmente questa cosa ci ha cambiati. Nel mio caso, quando lavoro sono sempre gioiosa, felice e cerco sempre di metterci il cuore e tutta la mia passione. O almeno, provi a farlo. Non bisogna lasciarsi condizionare.
A proposito di condizionamenti, Quasi orfano si pone anche come una sorta di riflessione di differenze fra classe ma anche di differenze in senso lato. Pensi che abbia senso parlarne, soprattutto adesso?
Secondo me ha sempre senso parlare dell’assurdo. Fortunatamente il film alla fine, in qualche modo, lo risolve questo aspetto. Lo mette su un piano costruttivo e non di giudizio, proprio perché è una cosa così stupida: indipendentemente dalle classi, per come sono, per quello che portano, per il loro vissuto, le persone sono sempre un arricchimento. Cosa saremmo se fossimo sono una classe, solo un colore, solo una dimensione e una visione: saremmo molto poveri.
Hai un progetto che ti piacerebbe realizzare, magari un sogno nel cassetto?
Adesso sto iniziando a girare qualcosa, per cui ho già una cosa prossima. Però mi piacerebbe portare un progetto mio che è da un po’ nel cassetto: io scrivo e vorrei lasciar vivere i miei personaggi e la mia storia. E poi sicuramente il teatro, che mi manca. Dopo il Covid c’è stato un lungo periodo in cui non l’ho praticato ed è sempre casa. C’è sempre bisogno di aprirsi davanti a un pubblico.
Nel frattempo, mentre parlo sto ripercorrendo per trovare l’aneddoto. (ride) Guarda, ti posso dire che ho iniziato a girare in Puglia, in una masseria piena di animali, di maiali. E mi ricordo questo odore molto forte che ci accompagnava dalla mattina e, talvolta, non vedevo l’ora di tornare in camper perché era parecchio invadente. (ride) Era veramente campestre e ti sentivi veramente integrato. Divertente anche lavorare con Antonio Gerardi che è, per così dire, un animale da palcoscenico, perché è un attore istintivo, forte e aggiunge quel qualcosa in più.